[22/11/2007] Parchi

Verso la conferenza nazionale sui parchi (2)

PISA. La terza conferenza nazionale sui parchi che si svolgerà probabilmente il prossimo anno si troverà ad affrontare situazioni piuttosto confuse in molte altre realtà regionali dove pure l’esperienza dei parchi è tangibilmente più radicata. Ieri abbiamo accennato alla Sardegna, ma in più d’un caso si stanno discutendo leggi regionali talvolta al rallentatore che faticano non poco a sintonizzarsi con le esigenze poste dalle stesse aree protette, quando non presentano disposizioni che le mettono chiaramente a rischio di cementificazioni o comunque di ‘tutele’ regionali niente affatto rispettose della autonomia e del ruolo degli enti parco.

C’è poi un allarmante silenzio sui piani dei parchi -specie nazionali- che anche quando –e sono pochi i casi- riescono a tagliare il traguardo regionale si arenano e spariscono nel nulla. La stessa coltre di silenzio è caduta su quei grandi progetti alpini, appenninici, marino-costieri che pure figurano da anni nella nostra legislazione o anche in convenzioni internazionali (Alpi, Santuario dei cetacei etc).

Senza queste grandi coordinate che l’acutizzarsi della situazione ambientale generale ripropone e rende di drammatica attualità si naviga a vista con esiti facilmente immaginabili. Vedi per tutti l’emendamento del governo sulle aree protette marine in cui si rilancia –nientemeno- il ruolo delle commissioni di riserva sia pure dimezzato, ignorandone il fallimento e l’incongruenza e quindi l’improponibilità. L’impressione complessiva è che i parchi si arrangino alla meglio barcamenandosi in troppi casi tra l’attesa di lumi e dritte più chiare e incisive che non arrivano e l’esigenza di fare comunque la loro parte.

Dinanzi poi a certi eventi drammatici -vedi gli incendi estivi- viene naturale chiedere conto anche ai parchi per situazioni o interventi che pur non riconducibili alla loro diretta competenza non possono essere naturalmente ignorati. Salvo magari scoprire che proprio i grandi parchi nazionali non dispongono di organici di vigilanza adeguati i quali per di più dipendono dal CFS e non dall’ente. Ma neppure di questo dopo i titoli di prima pagina, si è preso nota se non per dire genericamente che occorrono più forestali, ma non finalmente una vigilanza dipendente a tutti gli effetti dall’ente parco alla stessa stregua dei direttori oggi invece di designazione ministeriale. Certo, se si parla di prodotti di qualità scopriamo i ‘sapori dei parchi’ almeno nelle aree protette che operano in territori pregiati e il marchio del parco porta acqua pulita al mulino della qualità.

Ma quanto si parla oggi della utilizzazione dei fondi comunitari per la ruralità, che restano pessimamente utilizzati anche nelle aree protette? Si vedano le cifre fornite dalla Corte europea e i troppi silenzi su questo punto. L’immagine del parco oggi appare quindi spesso vaga o confondibile con quella di altri soggetti istituzionali ed è merito della legge quadro e delle leggi regionali se nonostante tutto oggi nessuno o quasi pensi che il parco sia un soggetto istituzionale da abrogare come le province o ridimensionare come le Comunità montane. E tuttavia è innegabile che il suo ruolo non appaia oggi nettamente e chiaramente definito e delineato. Nella polemica -o quanto meno nel dibattito sull’operato concreto dei parchi- ricorre frequentemente il richiamo a non perdere di vista i compiti primari ossia quelli della tutela, della biodiversità etc.

Richiamo che diviene pressante e allarmato ogni qualvolta si parla del parco come opportunità, occasione cioè anche di sviluppo economico-sociale, che specialmente da parte del mondo ambientalista viene sempre collocato in posizione gregaria e derivata. Insomma, prima si pensa ai compiti principali poi eventualmente e se possibile al resto. E’ una divisione che d’altronde trova una sua sanzione anche normativa nella previsione di ben due piani uno più importante sulle funzioni primarie l’altro affidato anche a soggetti esterni al parco appunto per le attività socio-economiche, che risultano quindi distinte e separate dalle prime. Credo che proprio qui sia da ricercare una delle cause principali dell’attuale incertezza sul ruolo dei parchi.

La peculiare novità dei parchi –non è superfluo ricordarlo- è l’aver ricondotto la loro funzione ad un territorio non connotato principalmente dai confini amministrativi ma da quelli ambientali. Ma proprio la gestione di ambiti particolarmente pregiati sotto il profilo naturalistico, paesaggistico, culturale, delle tradizioni anche produttive( è bene non dimenticarlo) richiede oggi politiche in grado di farsi carico dell’intreccio sempre più stretto tra attività economico-sociali e tutela ambientale. E’ il caso della agricoltura, ma anche della pesca etc. In altri termini servono diverse politiche economiche non solo per tutelare meglio l’ambiente ma anche per evitare cadute produttive ed economiche sia nelle attività agricole che della pesca. Un mare impoverito non è solo un danno incalcolabile per la sua biodiversità ma anche per le attività della pesca. Ecco perché il superamento dei due piani non risponde unicamente ad una esigenza pur valida di semplificazione degli strumenti gestionali, ma anche di efficacia dei suoi contenuti. Viene insomma in larga misura meno quel prima e quel dopo a cui facevamo cenno.

E su questo punto come abbiamo cercato di mettere a fuoco in un libro recente ‘Parchi e istituzioni; novità e rischi’ (Edizioni ETS ) i non molti stimoli sembrano tuttora venire più dall’esterno –diciamo così- che dall’interno del mondo dei parchi. Scrive Anna Natali ,’Una ragione per la quale sarebbe importante costruire una politica nazionale dei parchi, una politica in grado di tenere assieme e coordinare tutti i parchi, nazionali e regionali, viene dall’idea che nuove sfide si stanno profilando, le quali richiedono una risposta di sistema; una risposta, cioè, che sarebbe inefficente ed insensato lasciare all´iniziativa di ogni singolo parco.

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