[19/11/2007] Comunicati

Della mobilità insostenibile e di altre contraddizioni

LIVORNO. Dall’Unità di oggi: «Una guerra (…). Ogni anno in Italia oltre 5 mila morti e più di 300 mila feriti, 15 morti e più di 800 feriti al giorno, secondo i dati Istat (…). Ogni giorno nel mondo oltre 1000 giovani perdono la vita a causa di incidenti stradali». Dall’Organizzazione mondiale della sanità per conto dell’Apat alcuni mesi fa: «Ogni anno in Italia muoiono circa 9 mila persone per inquinamento atmosferico da PM10 e ozono». Esempi di insostenibilità sociale. Ai quali vanno aggiunti quelli di insostenibilità economica. Emersi anche durante gli Stati generali della Sostenibilità toscani: nella nostra regione «ogni anno a causa dei rallentamenti del traffico vengono perse 100mila ore, corrispondente ad un costo sociale totale annuo di 148 milioni». Per non parlare della produzione di C02 delle auto, concausa tutt’altro che secondaria del cambiamento climatico e dunque esempio di insostenibilità ambientale, sociale ed economica in un colpo solo.

Di fronte ad uno scenario simile la politica ha cercato e cerca di mettere un freno che tutti – a parole – le chiedono sia il più immediato e il più efficace possibile. Nascono da qui le svariate iniziative prese a tutti i livelli: dai blocchi del traffico, fino alla proposta della Commissione Ue di ridurre a 130 grammi al km la C02 emessa dalle auto nuove a partire dal 2012. A causa dello smog nelle città, ricordiamo che la Procura di Firenze ha chiesto il rinvio a giudizio del presidente della Regione Toscana Claudio Martini, del sindaco di Firenze Leonardo Domenici e di altri quattro primi cittadini dell’area fiorentina per l´inchiesta sull’inquinamento atmosferico da Pm10 e biossido di azoto nel territorio del capoluogo regionale a partire dal 2005. Tutto questo in una regione dove l’anno scorso ad esempio si è cercato di mettere persino un limite al proliferare di Suv nel traffico auto fiorentino con un’ordinanza che ne vieta la circolazione nel centro storico.

Lo Stato italiano, come tentativo di dare una soluzione almeno al problema delle emissioni, ha dato il via già nel 2006 alla rottamazione delle auto inquinanti. Un’operazione condivisibile che porterà sicuramente dei benefici visto che – almeno in Italia – c’era il parco auto più vecchio d’Europa e che quindi, con uno più pulito, almeno non si peggiorerà la situazione. Non mancano neppure qui le contraddizioni (bisognerà occuparsi della quantità di rifiuti che con questa manovra verranno prodotti), ma quello che emerge evidente è soprattutto come ben pochi (per non dire nessuno) pensino minimamente a scendere dall’auto o ad usarla il meno possibile, bensì sperino soltanto che con un’auto meno impattante nessuno gli rompa più le scatole.

Estremizziamo volutamente il concetto per arrivare a capire che cosa oggi Repubblica – con due pagine dedicate all’Incredibile mondo dei Suv – intenda dare come messaggio. Perché se è praticamente incontestabile dire che gli italiani amano questo tipo di auto – lo dimostrano i numeri – lo è molto meno sia il tono con cui è scritto il pezzo d’apertura, sia soprattutto il commento di Valerio Berruti. Che scrive: «Di certo c’è che ormai a guidare un Suv non ci si sente più ‘peccatori’. Già, perché appena un anno fa più di qualche amministrazione aveva pensato di seppellirli con tasse e divieti. La scelta non doveva essere delle migliori. Primo perché non ha avuto alcun seguito. Secondo perché in appena 12 mesi sono arrivati una montagna di modelli nuovi (…)». Insomma, un calcio nei denti a chi aveva osservato che forse servirebbe una mobilità più sostenibile per evitare quelle stragi di cui sopra, ma che invece sono evidentemente ‘effetti collaterali’ indesiderati da immolare sull’altare della imprescindibile necessità di crescita delle vendite auto quali che siano. Citiamo solo un altro passaggio per corroborare le nostre osservazioni ricordando che la scorsa settimana sullo stesso quotidiano si dava notizia della nuova campagna mediatica per fermare le stragi del sabato sera: «Il Suv ha vinto, lo abbiamo capito da tempo (…). I più politicamente scorretti dei veicoli sono una realtà del mercato sulla quale non è più il caso di discutere (…). La Gts (Porche Cayenne, ndr) è un “Suvvissimo” fatto per chi con un mezzo del genere vuole esagerare anche nella guida. Roba forte, per chi non si accontenta di andare velocissimo con un fuoristrada (…)».

La schizofrenia dell’informazione – citiamo sempre a spot per comporre un quadro più completo possibile – ci spiegava invece ieri, attraverso due paginate del Corriere della Sera, che chi va in bici, pur respirando lo smog, sta meglio di chi usa l’auto (nuovo studio della rivista Atmospheric Environment). Notizia diametralmente opposta a quella pubblicata alcune settima fa, ma che soprattutto qualcuno dovrebbe incrociare con (una tra le tante) quella odierna del Sole24Ore che, senza alcun tipo di imbarazzo dice come in Germania il «provvedimento in vigore dal prossimi gennaio (città chiuse per le auto inquinanti, ndr) potrebbe risultare decisivo per rilanciare un mercato ( delle auto, ndr) che continua ad arrancare». Dunque se l’auto è in crisi, la soluzione migliore sarebbe chiudere il traffico ai mezzi inquinanti in modo da spingere non verso una mobilità più sostenibile (giammai!) bensì all’acquisto di macchine nuove.

Un rovesciamento niente male che sintetizza come anche su questo piano siamo in un cul de sac. All’interno di una logica dell‘anchismo’ davvero kafkiana: bisogna ripulire l’aria, ma anche vendere più auto, ma anche costruire più strade, ma anche combattere il cambiamento climatico, ma anche non perdere posti di lavoro ecc. ecc. Osserviamo quindi che – nella situazione data - una riconversione dell’attuale mobilità verso una più sostenibile è ai limiti dell’impossibile. Servirebbero invece politiche condivise con istituzioni che abbiano il coraggio di compiere scelte anche impopolari e sostenere poi il conflitto ovvio e necessario di quella parte che non condivide quelle scelte. Gli stili di vita non si cambiamo spegnendo o accendendo un interruttore. Prenderne atto sarebbe già un passo avanti.

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