[19/11/2007] Comunicati

Uncertainty: un´analisi comparata del IV e del III rapporto Ipcc

FIRENZE. “Incertezza”. Sul concetto e sulla definizione di “incertezza” (uncertainty) si è giocata in questi anni la partita politica e diplomatica internazionale riguardo alle misure da adottare per l’ attenuazione del cambiamento climatico. E sulla riduzione, sulla rimodulazione, o sull’ eliminazione di molte delle incertezze che gravavano sulle valutazioni contenute nei tre precedenti rapporti IPCC (1990, 1995, 2001) si sono combattute battaglie diplomatiche ben più aspre di quelle riguardanti la riduzione delle emissioni.

L’ assenza di una vera e propria “pistola fumante” che desse incontrovertibile prova della prevalenza del ruolo antropico nel cambiamento climatico in corso, e la conseguente prudenza nell’uso delle definizioni di probabilità (very likely, likely, unlikely ; confidence, high confidence) delle affermazioni contenute nelle parti più “bollenti” dei tre precedenti rapporti, avevano finora fornito molteplici scusanti (o molteplici pretesti) ai più scettici tra i governi dei paesi industrializzati nel loro approccio alla pianificazione delle politiche da adottare.

Come ha infatti ricordato il direttore dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera del Cnr di Bologna, Franco Prodi, nel suo intervento agli Stati generali della sostenibilità di Firenze, non possiamo fare altro che desumere l’importanza del ruolo dell’uomo in maniera indiretta, attraverso l’analisi della coincidenza dei pattern climatici comprendenti il ruolo antropico con le osservazioni effettuate, e la discordanza da dette osservazioni dei modelli che non lo comprendono (vedi immagine).

Ma, come ha aggiunto Prodi e come viene ribadito dalla sintesi del Quarto Rapporto IPCC sui Cambiamenti Climatici presentata alla stampa nella conferenza di Valencia del 17 Novembre, la prevalenza del condizionamento climatico di origine antropica su altre possibili cause naturali è ormai data come “molto probabile”, in particolare dalla metà del ventesimo secolo in poi (“Most of the observed increase in globally-averaged temperatures since the mid-20th century is very likely due to the observed increase in anthropogenic GHG concentrations”, e si tenga presente che l’espressione” very likely” indica una probabilità superiore al 90%. Nel Rapporto del 2001 l’ espressione usata era più generica: “The Earth’s climate system has demonstrably changed on both global and regional scales since the pre-industrial era, with some of these changes attributable to human activities”). Anzi, si afferma che il risultato del sommarsi dei soli fattori naturali in grado di modificare il clima terrestre, e cioè l’ attività vulcanica e quella solare, sarebbe stato al 66-90% (“likely”) un raffreddamento della temperatura rispetto all’era pre-industriale, e non un aumento (circa 0,8 gradi) come è invece avvenuto. Va detto però che, mentre un’influenza antropica sul clima è pressochè certa, maggiori dubbi insistono sulla sua importanza: la probabilità che il ruolo dell’uomo sia significativo (“significative ”, “discernible ”) va dal 66 al 90%. Indipendentemente dalle cause di esso viene ormai dato come sicuro (“ unequivocal ”), invece, il riscaldamento in atto nel sistema climatico, che invece veniva posto come “ molto probabile ” nel terzo Rapporto IPCC del 2001.

L’ aumento della temperatura terrestre nel periodo 1906-2005 è stato di 0,56- 0,92 gradi: vengono quindi aggiornate al rialzo le osservazioni contenute nel terzo rapporto, che avevano calcolato un trend secolare di riscaldamento (riferito agli anni 1901-2000) di 0,4- 0,8 gradi. Le previsioni sul possibile massimo aumento del livello dei mari, invece, vengono – almeno a breve termine - parzialmente ridimensionate, così come già era avvenuto nel Terzo Rapporto riguardo ai precedenti: se nel 2001 era previsto un possibile incremento del livello medio marino entro il 2100 di 0,09-0,88 m, il Quarto Rapporto prevede un range di 0,18-0,59 metri di crescita. È però messa in chiaro una maggiore incertezza su questo punto rispetto ai modelli di previsione della temperatura, che causa un’ accuratezza minore nello stabilire i possibili limiti massimi di crescita del livello marino.

Diventano inoltre più ampi i range probabilistici dei 6 possibili principali scenari di evoluzione della società umana posti come probabili dall’IPCC, e degli eventuali connessi aumenti della temperatura terrestre. Di conseguenza aumenta anche il possibile intervallo della temperatura media che potrebbe essere raggiunta nel 2100: dall’ incremento da 1,4 a 5,8 gradi rispetto al 1990, come previsto nel Terzo rapporto, si passa ad una previsione di 1,1-6,4 gradi di aumento. Ciò a seguito di calcoli più accurati effettuati sui possibili meccanismi di feedback, in particolare riguardo alla possibile riduzione dell’ assorbimento di CO2 da parte dei mari e delle terre emerse causata dal riscaldamento stesso, fenomeno che non era stato adeguatamente analizzato nei Report precedenti.

L’impressione è di un documento meno vago dei precedenti Report IPCC, e caratterizzato da una impostazione più “ politica ” e meno “ tecnica ”. Un documento che cerca di sottolineare, anche se con equilibrio spesso forzoso e con alcune parti contraddittorie che fanno intuire la cruda trattativa diplomatica che ha portato alla sua pubblicazione, come il ruolo antropogenico nel cambio climatico sia oggi non solo praticamente sicuro, ma anche probabilmente molto significativo. Non cambia molto rispetto alle politiche da adottare, ma si prosegue nel passaggio da una impostazione cautelativa, basata sul principio di precauzione, ad un impianto più perentorio, in conseguenza dell’aumentato grado di informazione ma anche dell’incremento dei range di previsione climatica futura.

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