[16/11/2007] Comunicati

La comunicazione ambientale si dà i voti...

FIRENZE. La discussione sulla comunicazione ambientale che si è svolta ieri durante gli Stati generali della sostenibilità ha dato diversi spunti di riflessione. Soprattutto per un giornale come greenreport che ha come ambizione principale quella di «fluidificare l’informazione ambientale e disotturare i canali di comunicazione fra soggetti che operano, o che sono interessati, al settore».

La comunicazione – lo abbiamo scritto altre volte - ha due presupposti fondamentali: la padronanza compiuta dell’argomento su cui si vuol comunicare e la capacità di “mettersi al posto dell’altro”, “nella testa dell’altro” (dei diversi altri) a partire dal suo punto di vista (dei diversi punti di vista). Partendo da qui si può capire perché non è un paradosso dire che il giornalista Alan Friedman che dà i voti alla comunicazione ambientale dei media mondiali – come ha fatto ieri – non è assolutamente detto che faccia così una buona comunicazione.

Non è una sofisticheria e un esempio valga su tutti. Sostiene Friedman che «Il più bravo in comunicazione ambientale e sulla sostenibilità è Al Gore con la sua “Verità scomoda” che ha dato un grande contributo a svegliare le coscienze e a cambiare gli stili di vita». Vero almeno in parte, ma se ci si limita a parlare di cambiamenti climatici e non di sostenibilità ambientale. Perché di una riconversione ecologica dell’economia l’ex candidato alla Casa Bianca parla ben poco. Mentre invece lo fa (non sempre, ma spesso) il Sole24Ore che incrocia continuamente l’economia e l’ambiente come quasi nessuno fa in Italia. Ma cosa dice il buon Friedman? Boccia Confindustria, sostenendo che «non pone mai la questione della sostenibilità. Così mentre in tanti paesi occidentali il business della sostenibilità prospera e un 10-15% delle società quotate in borsa lavorano in questo settore, l’Italia è indietro e se ne parla al futuro. Invece bisogna agire subito, non sono concesse dilazioni».

Il giornalista americano forse si è dimenticato che il Sole24Ore è edito da Confindustria e soprattutto che almeno Emma Marcegaglia (vicepresidente) ha ben presente il tema della sostenibilità e forse addirittura più anche di qualche ambientalista. Questa non vuole essere una difesa di Confindustria, tutt’altro, ma semplicemente un’osservazione che non ci si può esimere dal fare.

Quello che è apparso evidente dalla discussione di ieri sta proprio nel fatto che sul tema della comunicazione ambientale si fa ancora una grande confusione e siamo ben lontani da un modello che funzioni. Ad esempio si usano i termini comunicazione e informazione come fossero sinonimi. Ma soprattutto sono state fatte affermazioni che hanno evidenziato qual è ancora l’approccio dei media alla questione. Per Franco Prodi, direttore dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e clima del Cnr di Bologna, la «divulgazione scientifica sui cambiamenti climatici in Italia è discontinua, contingente e non va alla radice delle conoscenze. Siamo lontani dai modelli anglosassoni in cui c’è un obbligo intrinseco alla divulgazione, tanto che il 2% di ogni progetto viene destinato alla comunicazione». Giudizio condivisibile da chiunque legga con attenzione i giornali o veda qual è l’offerta televisiva sul tema, con ‘colpe’ che si distribuiscono equamente tra la scienza che fatica a comunicare e i media che faticano a comprendere.

Tesi invece rigettata da Peruzzi, giornalista del Sole 24 Ore, che dopo aver riportato i dati relativi a quante volte ora si usi la parola sostenibilità sul suo giornale rispetto agli anni passati, ha affermato appunto che «nei media c’è una attenzione crescente per il tema della sostenibilità». Che è vero anche questo, ma con quale approccio, ripetiamo? E qui è stato illuminante l’intervento di Pratellesi, caporedattore del sito internet del Corriere della Sera: «I siti, meno legati al condizionamento del primato della politica, sono molto più sensibili della carta stampata ai problemi dell’ambiente. Sono questi i temi che stanno più a cuore alla gente».

Dalla richiesta del mondo scientifico di una maggiore attenzione da parte dei media alla divulgazione scientifica, si arriva dunque all’affermazione – da parte di un emerito rappresentante dei media – che sono i siti internet i più sensibili e che bisogna leggerli di più per trarne notizie da scrivere sui giornali, come ha aggiunto successivamente. Ci pare un triplo salto mortale con avvitamento. Che significa siti? Che cosa ha di scientifico un sito? Se per sito si intende blog allora c’è veramente da preoccuparsi e senza nulla togliere ai blog. La cui funzione resta quella di condividere tematiche sulle quali discutere e magari fornire anche spunti di riflessione, ma non certo di approfondire le materie scientifiche, come ad esempio lo è la sostenibilità ambientale.

Come è stato ricordato ieri il punto vero è che nelle redazioni dei giornali non c’è il tempo di approfondire certe tematiche (anche a causa della grande precarietà che c’è anche nei quotidiani nazionali) e che quindi il cronista deve saper fare un po’ di tutto con l’idea non di divulgare ma di far vendere il giornale (ovviamente, ma non dovrebbe essere l’unico scopo) e quindi di colpire sempre e comunque con titoli forti e frasi gridate. Così l’ambiente viene percepito non solo come materia a se stante, ma anche come fosse solo un’emozione. “Ambiente al collasso”; “Ecomostro”; “Mega”; “Iper” solo per fare i più banali esempi di quali siano le parole che si usano nei media quando si parla di ambiente.

Questa ricerca avrebbe dovuto fare Peruzzi, non solo quella sulla parola sostenibilità. Perché accanto alla sostenibilità ambientale e alla sostenibilità sociale c’è anche la sostenibilità dell’informazione e della comunicazione. Che è sostanzialmente un’informazione e una comunicazione che non si accontenta di guardare le cose solo da un punto di vista ma di approcciarsi in modo complesso ad una materia complessa. Dove le eccessive semplificazioni, invece di migliorare la comunicazione e l’informazione, le confondono e le complicano maggiormente. E anche la tesi di Mario Tozzi portata al confronto - «il punto di partenza per qualsiasi dibattito sulla sostenibilità è che nessun tipo di sviluppo è più sostenibile, perché è sempre a spese di altri» - per quanto non sia un ragionamento astratto o non condivisibile, rischia di comunicare l’assioma che, stante così le cose, non c’è niente da fare. Con il risultato appunto che se non c’è niente da fare, non si fa niente. Dunque una buona comunicazione ambientale non può non partire dalla conoscenza e proseguire con l’approfondimento.

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