[15/11/2007] Parchi

I boschi, il paesaggio, la biodiversità e il cemento

FIRENZE. Oggi sulle pagine fiorentine della Repubblica Mauro Agnoletti, docente di storia forestale e ambientale alle facoltà di agraria e di architettura e coordinatore del progetto per il monitoraggio delle trasformazioni del paesaggio toscano, dice una verità incontestabile: in Toscana i boschi sono raddoppiati rispetto alla loro estensione nell’800. E lancia quella che ai più può sembrare una provocazione: rispondendo ad una domanda sulla necessità di ridurre i boschi con interventi mirati dice: «Se vogliamo restaurare il paesaggio, favorire la fauna e aumentare la biodiversità, sì. Nel Pratomagno lo hanno fatto in via sperimentale utilizzando mezzi meccanici per salvaguardare i pascoli, ma si potrebbe fare, come una volta, con fuochi controllati. Un vero tabù. Eppure lo fanno sui Pirenei, d´accordo con amministrazioni e popolazione».

La cosa può sembrare ancora più strana perché l’intervista appare nell’ambito di una pagina che sottolinea con un titolo cubitale che per la Toscana è “effetto deserto” e che la forestazione è vista come uno degli interventi prioritari per contrastare la desertificazione. Agnoletti però, oltre che a quello del recupero di funzioni tradizionali del bosco e dell’utilizzo agricolo del territorio, pone un problema ancora più serio, quello del mantenimento di una naturalità e biodiversità complessiva che in Italia, e in Toscana in particolare, è anche il frutto di un uso del territorio da parte dell’uomo, di un ambiente e di un paesaggio costruiti.

Infatti le foreste mature dei climi temperati non rappresentano un aumento di biodiversità (a differenza di quelle tropicali), in particolar modo quelle di impianto artificiale e rimboschimento. Le aree più ricche di biodiversità sono le fasce di transizione tra i vari ambienti, le radure e per la sopravvivenza di molte specie animali e vegetali sono essenziali aree a pascolo o strutture naturali agricole, come ad esempio le siepi, ed alcuni tipi di coltivi tradizionali che prevedono il “riposo” e la rotazione dei terreni.

Non è un caso se molti di questi ambienti (alcuni dei quali hanno davvero bisogno del fuoco o dell’intervento umano per rigenerarsi e non essere sostituiti da vegetazione più “evoluta”) sono compresi tra gli habitat prioritari delle direttive per la difesa della biodiversità dell’Unione Europea, così come alcune specie si sono specializzate ed hanno bisogno di habitat agricolo-pastorali per poter sopravvivere.

E’ innegabile quindi che il fatto, perfettamente (ma non sempre) naturale, delle foreste appenniniche e dei boschi di lecci sulla costa e sulle isole dell’Arcipelago toscano che rioccupano i terreni lasciati liberi da un’agricoltura spesso marginale o che non regge più il confronto con il turismo o l’attrazione esercitata dalle città, ha importanti ricadute paesaggistiche ed ambientali e rappresenti uno sviluppo di cui tener conto nella difesa complessiva della biodiversità.

Ma c’è una cosa altrettanto innegabile che non viene presa in considerazione dall’intervistatore, anche se è presente nella pagina accanto a quella che ospita l’illuminante intervista di Agnoletti, che le aree marginali, di fascia, agricole (e spesso anche quelle umide e costiere) e il paesaggio spesso non sono occupati dagli alberi che avanzano ma da una metastasi cementizia che per Vittorio Emiliani negli ultimi anni si è mangiata 150 mila ettari di Toscana, mentre per l’assessore al territorio Riccardo Conti “solo” 8.135 ettari, cioè circa 800 ettari all’anno.

Conti dà anche i numeri sull’uso del suolo, rilevato dai satelliti, per i 2 milioni e 298 mila ettari di superficie della Toscana: «1 milione e 37mila ettari di territori agricoli, 1 milione e 152 mila ettari di territori boscati, 8.297 ettari di corpi idrici, 6.017 ettari di zone umide, e finalmente i famigerati spazi, suoli e terreni destinati all’edificazione: cioè 93.657 ettari di territori "edificati" a vario titolo (case, villette, certo, ma anche centri commerciali, zone industriali, reti di comunicazione, zone estrattive, discariche e cantieri cosi come tutto il verde urbano) che corrispondono al 4% del totale del territorio toscano».

Al di là di chi abbia ragione tra Emiliani e Conti, è chiaro che è sulla relazione tra terre ancora agricole, boschi ed aree umide che bisogna porre l’attenzione per il mantenimento di un equilibrio ambientale e paesaggistico che deve fare i conti con l’urbanizzazione, ma che soprattutto è essenziale per contrastare i cambiamenti climatici che investono anche la Toscana con sempre maggiore evidenza.

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