[12/11/2007] Urbanistica

Più Stato, meno regioni, fratto partecipazione che risultato dà?

LIVORNO. «I trasferimenti dallo Stato si assottigliano e ora si ventila anche la diminuzione dell’Ici. Dove prenderemo i soldi? I piccoli comuni che necessitano di opere pubbliche non hanno alternativa se non l’aumento indiscriminato delle cementificazioni». Parole testuali, candidamente ingenue quando sadicamente spudorate riferite sabato a Repubblica dal sindaco di un comune dell’hinterland milanese, Maurizio Tornelli, che non fa giri di parole per dire quello che un recente studio dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani, mette chiaramente (ma meno spudoratamente) in mostra. E che ribadisce anche il centro di ricerche per l’edilizia Cresme evidenziando da una parte i 3 miliardi di metri cubi di nuovo cemento che sono stati costruiti in Italia negli ultimi dieci anni, dall’altra l’inarrestabile fuga dalle grandi città.

Più piccolo è il comune è più incide l’Ici, fino ad arrivare a pesare per il 57% sui bilanci ci fa sapere il Cresme. Ma anche l’ipotizzato abbattimento dell’Ici non riuscirà a fermare la corsa al cemento nelle nostre città, visto che almeno negli ultimissimi anni a spingere verso l’opzione cemento, spiega Paolo Pileri, urbanista del politecnico di Milano, «è stata la decisione di “liberalizzare” non solo per le spese correnti, i soldi incassati dai comuni per le nuove urbanizzazioni».

Dall’altra parte della barricata ci sono gli ambientalisti: quindi proprio mentre i sindaci spiegavano che per mandare avanti la baracca è necessario vendere terreni e concessioni, ad Assisi il convegno del Fondo per l’ambiente italiano lanciava il suo grido d’allarme per il Belpaese: «Per proteggerlo si deve stimolare l’uso della consapevolezza e tornare al fascino delle regole» sogna il presidente del Fai Giulia Mozzoni Crespi. Regole che devono essere date quindi dallo Stato togliendo il potere alle Regioni e ai comuni, anche se poi si porta come esempio positivo il piano paesaggistico della Sardegna che dal 2006 ha aumentato il trasferimento di fondi agli enti locali del 43% proprio per contenere al speculazione sugli introiti dell’Ici e degli oneri di urbanizzazione.

In uno scenario del genere appare quanto meno marginale (nel senso letterario dei termini, cioè “ai margini” della discussione) la piattaforma che i 161 comitati toscani riuniti intorno ad Alberto Asor Rosa hanno votato sabato sera a Firenze, con l’intenzione di portarla al confronto con il presidente Claudio Martini. Cinque pagine di no in cui si fotografa perfettamente due cose: il fallimento totale della sussidiarietà e l’incapacità della società di smarcarsi dal cesarismo da una parte e dal populismo dall’altra.

La politica non potrà mai decidere con l’unanimità della popolazione, ma se il Fai chiedeva di dare più poteri allo Stato, la rete dei comitati toscani chiede invece di essere protagonista con propri rappresentanti «nelle varie conferenze dei servizi e commissioni tecniche previste sia nella pianificazione settoriale sia nelle opere soggette a valutazione ambientale». Al di là del paradosso di questa sorta di “centralismo partecipato” che si verrebbe a creare accogliendo le due istanze dal basso, va notato che la tendenza è quella di sostituire al ‘sapere’ (tecnico e scientifico, che può pure essere anche sbagliato e finanche manipolato) quella che è la ‘percezione’ della popolazione.

Il confronto impietoso ce lo sollecita ancora una volta la Repubblica, che poche pagine prima di raccogliere i lamenti dei sindaci italiani, dedica una pagina al piano anti-cementificazione di Zapatero per la costa catalana, intenzionato, come è già accaduto nelle Baleari (dove dopo un eccessivo sviluppo urbanistico, si é proceduto all´abbattimento di strade, infrastrutture costiere e alberghi lungo la costa per ristabilire un equilibrio ambientale e migliorare la qualità del turismo) ad abbattere decine di strutture costruite abusivamente troppo vicino al mare, ma anche stabilimenti balneari e porti turistici (funzionanti!) appena saranno scadute le concessioni in essere. In Italia per abbattere uno scheletro mai utilizzato come Punta Perotti ci sono voluti 10 anni. Per il Fuenti addirittura 30 anni.

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