[12/11/2007] Monitor di Enrico Falqui

Metamorfosi del villaggio

FIRENZE. Negli anni 80 e 90, nei paesi meni ricchi e sviluppati, ha cominciato a profilarsi un declino a livello mondiale della realtà di villaggio, le cui caratteristiche fondamentali erano:
a) la durata nel tempo dei gruppi che risiedevano in una determinata località
b) il rapporto di generazioni con la terra, in un intreccio strettissimo dei principi di territorialità e di parentela.

Con l’unificazione del mercato mondiale, la globalizzazione ha infatti attivato su scala mondiale processi di inurbamento di massa che ricordano quelli intervenuti nel secolo precedente nei paesi sviluppati.

Oggi però i processi migratori dalle campagne terzomondiali verso le metropoli producono una sorta di “ reazione a catena”, per cui ogni migrazione altera il contesto di origine, rendendo più facili ulteriori decisioni di migrare. Si creano così le premesse per uno spostamento di massa che coinvolge a volte villaggi interi.
Questo fenomeno ha assunto oggi dimensioni gigantesche, stimate dall’Onu (Rapporto 2007) in circa 20-30 milioni di persone che ogni anno si muovono dagli ambienti rurali o della wilderness del paese verso le città terzomondiali, aumentando il numero delle megalopoli oggi esistenti.

In Europa, alla fine dell’Ottocento, Max Weber aveva messo in luce l’irreversibilità delle trasformazioni che travolgevano le strutture tradizionali del mondo contadino tedesco. Un altro sociologo tedesco, Leopold von Wiese, aveva messo in evidenza il declino della mentalità rurale, rural mind, in relazione al venir meno di valori storicamente condivisi, quale il primato della famiglia sul valore dell’individuo. Eppure, in Italia, la nostra è stata la civiltà con la più accentuata e produttiva polarizzazione tra città e campagna; l’omogeneità del villaggio veniva a contrapporsi all’eterogeneità della dimensione urbana.

E’ proprio verso la fine degli anni 80 che in Europa si manifesta la nascita di una dimensione di vita “ post-urbana”, in grado di proporre stili di vita originali rispetto a quelli urbani declinanti.

Tra la campagna e la città, anche in Italia, comincia formarsi un territorio “ ambiguo” in cui sono compresenti caratteristiche del mondo urbano e di quello rurale. Anche in Toscana, in prossimità dei principali centri urbani ( Firenze, Arezzo, Siena, Pisa) si sviluppa un fenomeno che alcuni sociologi italiani chiamano “regionalizzazione del villaggio”, da parte di cittadini che riscoprono la piacevolezza dell’abitare in un contesto rurale, portando però con sé la propria cultura urbana, esigendo la percorribilità e la permeabilità dello spazio rurale, dando luogo a un fenomeno di pendolarismo città-campagna che cancella definitivamente i principi fondativi del villaggio rurale.

E’ difficile conciliare la vita nel “ borgo” con l’utilizzo di infrastrutture adeguate sotto il profilo culturale e sociale, senza acquisire nuovamente le regole invariate della comunità rurale.

La globalizzazione economica ci mette di fronte ad un paradosso: nei paesi in via di sviluppo i flussi migratori verso le megalopoli distruggono l’identità dei villaggi e l’abbandono delle comunità rurali cede il passo alla trasformazione dell’economia rurale di villaggio da parte di imprese multinazionali agro-alimentari dei paesi occidentali.

Nei paesi occidentali invece, a partire dagli anni 80, l’inurbamento dello spazio rurale distrugge in egual misura la cultura materiale contadina e l’identità delle comunità rurali, sia pur con modalità e trasformazioni completamente diverse.
Un geografo francese, Roger Brunet, ha definito il “ villagisme” come una nostalgia, tutt’altro che moderna, verso la vita in piccole comunità, che astuti speculatori immobiliaristi solleticano nell’abitante della città, caotica e inquinata, o nel turista eclettico per requisire borghi antichi abbandonati e trasformarli in “ residences“ all’aperto, nei quali però è assente quella “rural mind“ che costituisce l’autentica risorsa di quei luoghi.

Una riflessione attenta su questo apparente paradosso, servirebbe a farci scoprire che la modernità delle innovazioni non si misura soltanto da ciò che si rende utile per soddisfare una domanda sociale o un bisogno, ma anche dalla capacità di saper conservare la memoria necessaria alle future generazioni per poter trasformare le risorse disponibili. Proprio come accade con il Paesaggio, la cui trasformazione non deve essere ispirata solo all’utilità materialistica che ne deriva, ma anche alla conservazione e al miglioramento di un bene che possiede un valore “ in sé”.

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