[07/11/2007] Comunicati

Le guerre contro l’ambiente

LIVORNO. Nel 2001, l’Assemblea generale dell’Onu ha proclamato il 6 novembre giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in tempo di guerra e di conflitto armato (risoluzione 564), da allora forse l’attenzione è aumentata, ma la situazione non è molto cambiata: i danni causati dalle guerre agli ecosistemi continuano e si sviluppano per molto tempo anche dopo la fine dei conflitti, anche fuori dei confini nazionali dove è avvenuto l’evento bellico.

Durante la Guerra del Golfo del 1991 i pozzi di petrolio in Kuwait sono stati deliberatamente incendiati e milioni di litri di petrolio si sono sversati nei corsi d’acqua e in mare ed i fumi inquinati hanno raggiunto l’Himalaya. In Cambogia il 35% della copertura forestale è stata distrutta in venti anni di guerra civile e scontri armati. In Angola il conflitto fra Mpla e Unita ha provocato la sparizione del 90% degli animali selvatici. Durante la guerra del Vietnam, milioni di tonnellate di agente orange sono state sparse sulle jungle del Paese, defogliando vaste aree che ancora oggi non possono essere coltivate. Secondo l’Unep, oggi le emergenze ambientali più forti dovute alla guerra sono nei Balcani, in Afghanistan, Iraq, Liberia e nei territori palestinesi occupati.

Uno degli effetti più comuni e più devastanti delle guerre e guerriglie é il massiccio spostamento di sfollati che fuggono da conflitti, violenze e insicurezza. Migrazioni imponenti di popolazioni che provocano sofferenze umane indicibili, distruzioni di attività economiche, ma anche gravi danni all’ambiente, in particolare nelle regioni aride o in quelle dove l’ambiente è già degradato. Una valutazione condotta dal Programma Onu per l’ambiente (Unep) in Darfour é arrivata alla conclusione che I profughi, più di due milioni dopo il 2003, hanno causato una grave deforestazione, il degrado di terre ed il sovrasfruttamento delle risorse ambientali e delle falde acquifere sotterranee intorno ai principali campi di accoglienza.

«Per integrare le preoccupazioni ambientali nelle operazioni di soccorso e sicurezza – sottolinea l’Unep – dobbiamo mobilitare tutti i settori interessati a livello governativo, di sistema delle Nazioni Unite, delle Organizzazioni non governative e della comunità dei donatori. Dopo il 1995, l’Unep conduce valutazioni delle situazioni post-conflitto e fornisce un appoggio tecnico per aiutare ad attenuare I rischi ambientali in più di 20 Paesi».

L’Unep fa l’esempio della Repubblica democratica del Congo (Rdc) dove lavora per attenuare l’impatto dei molti campi d sfollati nella parte orientale del Paese che fuggono dall’eterno conflitto che insanguina il Nord-Kivu e ripercuote i suoi devastanti effetti sul parco nazionale dei monti Virunga, patrimonio mondiale dell’umanità, che ospita la metà di quello che rimane al mondo della popolazione di gorilla di montagna. «Senza una gestione sana dell’ambiente – spiega l’Unep – l’arrivo di popolazioni pone un certo numero di rischi agli ecosistemi vulnerabili di questa zona, soprattutto lo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali per assicurare la sussistenza di base ed i bisogni energetici». L’Unep ed I suoi partner aiutano a trovare modalità sostenibili di sussistenza ai rifugiati e per aumentare le capacità locali di prevenire e correggere gli impatti delle comunità di sfollati sull’ambiente.

Lo stesso tentativo di integrare missione Onu e recupero ambientale é in corso in un altro paese africano devastato dalla Guerra civile, la Liberia, dove si stima che 800 mila persone, un quarto della popolazione, sono state costrette a lasciare le loro case durante un conflitto durato 14 anni, provocando un grave degrado delle foreste, delle terre e dei corsi d’acqua nei siti utilizzati per ospitare campi profughi e nei loro dintorni.

Prendere in considerazione le questioni ecologiche per evitare problemi ambientali si sta rivelando cruciale nella gestione della fase post-conflitto ed anche come prevenzione delle guerre stesse, visto che la mancata soluzione dei problemi ambientali può a lungo termine portare ad una diminuzione della sicurezza e dello sviluppo, alla competizione per risorse più scarse e ad innescare nuovi cicli di guerre e spostamenti di popolazioni.

«Da quando la guerra esiste – ha scritto il segretario dell’Onu Ban Ki-moon in un messaggio in occasione della giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell’ambiente in tempo di guerra e di conflitto armato – l’ambiente e le risorse naturali ne sono le vittime silenziose. I raccolti sono incendiati, I pozzi inquinati, I suoli avvelenati e gli animali uccisi. Gli obiettivi non sono sempre gli stessi: si può volersi procurare un vantaggio strategico, demoralizzare le popolazioni locali, venire a capo di una resistenza o semplicemente nutrire i propri soldati. Ma anche se non sono intenzionali, le conseguenze sono sempre catastrofiche. Assistiamo ad atti di distruzione puri e semplici, soprattutto con la diffusione di inquinanti e sostanze pericolose. Siamo testimoni di rivolgimenti sociali, come la creazione di popolazioni di rifugiati che, a loro volta, mettono più rudemente le risorse a rischio. E poiché la maggior parte dei conflitti si sviluppano nei Paesi poveri, constatiamo i disastri economici inflitti dalle guerre a popolazioni vulnerabili che sono le meno attrezzate a far fronte ai danni subiti dal loro ambiente ed a superare un rallentamento dello sviluppo».

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