[05/11/2007] Parchi

Beni pubblici, partecipazione degli spazi verdi e sindrome Nimby

FIRENZE. “Davanti a casa mia io non voglio alcuna modifica, tranne ciò che decido io. No alla tramvia, perchè l’albero davanti a casa mia è più importante ”, disse il maestro cattivo (che in realtà non era cattivo, aveva solo una forte sindrome NIMBY).
“ E il bene pubblico? ” risposero i bambini. “ Il bene pubblico non esiste, bambini. Smettetela di credere alle fiabe. Esiste solo il bene privato. ”

A quella affermazione Martino si rabbuiò. Gisella guardò il maestro con espressione distratta, poi si dedicò al suo disegno. Flavio invece annuì, perchè le parole del maestro le aveva sentite pronunciare anche in famiglia, anche se non ne capiva bene il significato. Ma fu la piccola Bettina che ci rimase peggio di tutti. Disperata, scoppiò in un pianto dirotto, così forte che il maestro(che non era cattivo, era solo un po’ scorbutico) cominciò a carezzarle la testa, domandando perchè avesse reagito così.

“ Il fatto è ” - raccontò Bettina, rasserenandosi e assumendo quel tono saccente che la contraddistingueva - “ che secondo molti analisti c’è nella società attuale un deficit di percezione delle funzioni del verde. La maggior parte delle persone percepisce il verde solamente come un’esperienza estetica, o nel migliore dei casi come uno strumento di assorbimento delle emissioni. E mentre il taglio di alberature stradali viene osteggiato con decisione (se la protesta viene strumentalizzata a regola d’arte), nessuna richiesta di coinvolgimento, nessuna istanza di partecipazione viene sollevata riguardo alla progettazione di parchi e di aree verdi urbane. E dire che molteplici studi evidenziano la necessità di un approccio precoce dell’infanzia alla percezione e alla comprensione del verde, al fine di sviluppare una coscienza ecologica e contrastare la sindrome NIMBY che attanaglia tantissimi, troppi dei cosiddetti che popolano il nostro mondo ” concluse polemicamente Bettina.

E aggiunse: “ ma lo sa, maestro, che ogni volta che una persona (in modo particolare un bambino) viene coinvolta nella partecipazione e nella gestione degli spazi verdi di cui usufruisce, si sente automaticamente responsabilizzato? Lo sa che nessuna persona odia la natura, ma che tutti hanno bisogno di conoscerla a fondo e di sentirla propria per sentirsi coinvolti in prima persona nella sua difesa e per ispirarsi ad un principio di sostenibilità nel corso della propria esistenza? ”

Il maestro, stupefatto, continuava a guardare Bettina in silenzio.

“ Lo sapete ” - domandò infine Bettina rivolgendosi agli altri compagni - “ che è possibile progettare in maniera partecipata la disposizione e il tipo delle strutture ludiche e sportive, la tipologia di alberi e di piante erbacee, l’assestamento stesso dell’area verde? Sapete che attraverso l’accesso alla progettazione e gestione degli spazi verdi pubblici si può non solo diffondere l’amore per la natura, ma anche educare alla sostenibilità del vivere e rafforzare la cultura della legalità ? ”

“ Se diventare grandi deve significare perdere l’innata, atavica attrazione nei confronti del verde che ci caratterizza tutti ” - concluse - ” se essere adulti significa avere dimenticato che il verde deve essere gestito e protetto da tutta la comunità, e non solo dalle istituzioni o dagli addetti ai lavori, allora voglio restare bambina per sempre.”

Attraverso pratiche di progettazione partecipata è possibile gestire le aree verdi urbane con un criterio nuovo. E, così come le aree verdi, le stesse alberature stradali possono e debbono essere oggetto di coinvolgimento della popolazione, nel corso della loro gestione.

Ma il maestro non lo sapeva, questo. E ne aveva motivo, perchè in Italia le esperienze di progettazione e gestione partecipata degli spazi verdi pubblici si contano sulle dita di una mano, o quasi. E nella maggior parte dei casi si limitano a forme di consultazione para-referendaria, a generici quesiti su aspetti marginali della pianificazione. E, spiace sottolinearlo, alcune iniziative si sono rivelate fini a se stesse, o perchè non ispirate al coinvolgimento ma alla sola consultazione della popolazione (e sono cose ben diverse), o peggio perchè il progetto definitivo ha ridimensionato le modifiche apportate dai cittadini in fase di progetto.

E quindi, attonito, si limitò a dire che magari Bettina poteva anche avere ragione, ma solo ipotizzando una società ideale, un’ Utopia in cui i concetti di “ attribuzione di fiducia ” al cittadino e “ responsabilizzazione ” di esso fossero strumenti, e non fini, dell’ educazione alla legalità e alla sostenibilità del vivere. Strumenti che potessero essere esercitati anche riguardo alla progettazione e alla gestione del verde urbano.

Le disse di tornare al suo posto, e mestamente ripetè a tutti di smettere di credere nelle fiabe. La gestione e la progettazione degli spazi pubblici, in modo particolare riguardo al verde, sono tuttora appannaggio quasi esclusivo degli addetti ai lavori, e in Italia questa tendenza è inarrestabile.

..Oppure no?

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