[02/11/2007] Comunicati

Sostenibilità e sinistra del 2000

AREZZO. Qualche neofita pensa che sia la prima volta nella storia che si affrontano tumultuosi cambiamenti nella società e nell´economia. E´ invece un pleonasmo affermare che le fasi nuove si presentano ( ma che scoperta!) con caratteristiche nuove. La fase attuale può essere concisamente descritta così: globalizzazione economica orientata dalla finanziarizzazione, la quale opera in tempo reale in ragione della "informazionalizzazione" ( Castells ) e che non vede un corrispettivo livello di governance ( l´economia è globalizzata i livelli democratici di governo non lo sono). Questo processo di mercatizzazione della società mondiale si muove sostanzialmente in modo autonomo dalla politica ( anzi questa tende ad essere asservita a quella) e quindi a-democratico. Epicentro e risultato, al tempo stesso, di questo processo è l´individualizzazione della società. Comunque la si valuti.

In questa situazione, l´uso di strumenti e categorie del passato, anche quelli/e testati come funzionanti, si rivelano spesso inutili quando non controproducenti. Coerenza, linearità, etica comportamentale, affidabilità, serietà e sobrietà di comportamenti, sforzo analitico-progettuale, riferimenti alle parti deboli anche se silenziose; emancipazione universalistica dai bisogni: sono categorie interpretativo-comportamentali che, comunque la si pensi, non funzionano più. Per la destra non è un problema ( di qui i suoi successi), per la sinistra sono diventati un orpello ( di qui le sue difficoltà). Dimenticare completamente e subito ciò che si è detto e fatto solo qualche tempo prima è, di fatto, più importante per il successo personale futuro che memorizzare norme passate e costruire strategie basate su quanto si è già appreso, ci ricorda Bauman.

Il tempo reale pretende la superficialità che diventa cifra e merito per l´affermazione personale, insieme alla capacità di dire (e anche di intuire) all´uditorio del momento, ciò che quell´uditorio si vuol sentir dire. Salvo spostarsi su un altro uditorio e dire e spostare così anche le cose che si son dette prima. E’ esattamente questa, in sostanza, la politica marketing. Queste sono le strategie del consenso. Questa è la perdita assoluta di quella funzione della politica (la funzione pedagogica) che sola ( in passato) poteva permettere alle parti politiche in campo di lottare per l´egemonia. Ma, sempre per citare Bauman, “la virtù che viene proclamata come la più utile per servire l´individuo ( da sottolineare: l´individuo) non è la conformità dei comportamenti alle dichiarazioni e ai progetti, bensì la flessibilità ( che potrebbe meglio definirsi come disinvoltura), la prontezza a cambiare idee, opinioni, tattiche, stile a breve scadenza; ad abbandonare impegni e lealtà senza rimpianti e a cogliere le opportunità a seconda delle disponibilità del momento”. Una volta veniva criticata la politica del "fatto compiuto": oggi siamo alla politica "dell´annuncio compiuto". E questo viene sia “venduto” che percepito come un fatto. Anche il mutamento del lessico è la spia più evidente di questo trasformismo elevato a cultura politica. Il Partito non è (più) parte che si candida a governare secondo un punto di vista e di rappresentanza, no! Il Partito rappresenta i cittadini tutti (sic!). Quintessenza di questa cultura è il “Sarkosismo”.

E così assistiamo, in Italia, al grottesco per cui una miriade di (rappresentanti di) partiti, in una babele di linguaggi e di posizioni, si elevano a interpreti degli "Italiani" e dei "cittadini" tutti proprio nel mentre si registra una segmentazione della società mai vista prima. E così assistiamo a grottesche rappresentazioni indistintamente rovesciate a seconda dei luoghi e delle situazioni, non solo fra le diverse formazioni politiche ma anche fra e dentro le stesse formazioni politiche. E dunque, in una situazione dove tutti pretendono di parlare a nome di tutti, nessuno rappresenta nessuno. Nessuno è affidabile per nessuno. Sbaglia chi pensa che ciò riguardi solo “la casta”: ciò riguarda tutti i soggetti collettivi indistintamente.

Se l´epicentro della modernità è l´individualizzazione della società, i rappresentanti della società ( e dell´economia) si confrontano attraverso rapporti personali che, spesso, prescindono dalle posizioni dei soggetti collettivi cui appartengono, con trasversalismi che una volta erano considerati un disvalore e che oggi sono considerati invece come cifra di abilità che “bada al sodo”. Per questi sostanziali motivi si è al paradosso per il quale le parole e i concetti più evocati in spregio a qualsiasi sedimento culturale passato ( innovazione, cambiamento, modernità, ecc...) sono, a ben vedere, niente più che caduco ciarpame. Anch´essi ( ma se ne saranno accorti i cantori del nuovismo?) sono armi del tutto spuntate ad affrontare questa precisa fase storico-politica. Infatti si "innova"... qualcosa! Ma se questo "qualcosa" non c´è, non può darsi neanche innovazione: c´è sbandamento continuo! Si "cambia".......qualcosa! Ma se questo "qualcosa" non c´è, non c´è cambiamento: c´è spaesamento continuo!

Si è moderni rispetto a qualcosa di vecchio! Se non c´è mai "qualcosa di vecchio" perché tutto cambia in tempo reale e in tempo reale diventa vecchio, si rimane sospesi indefinitamente. Insomma, per ridirla con Bauman, "la liquidità" della attuale società rende prive di senso anche le parole e i concetti con le quali ( un tempo come oggi ) si pensava di fare presa su chi si voleva rappresentare: "nuovo", "moderno", "cambiamento". Un tempo a queste parole e a questi concetti era implicitamente collegata, nell´immaginario collettivo, la parola progresso inteso come emancipazione (e per la sinistra si intendeva emancipazione per le classi più deboli) da una situazione peggiore verso una situazione migliore.

Oggi, nonostante l´utilizzo stucchevole di queste parole da parte di chiunque abbia un ruolo di rappresentanza, (anzi, proprio per l´utilizzo stucchevole e indistinto che se ne fa visto che i rinnovamenti a catena degli ultimi 15-20 anni hanno portato ad arretramenti consistenti parti di popolazione ), la loro traduzione, in gran parte di chi le ascolta, non è più: nuovo=migliore=progresso=emancipazione. Di fronte alla parola nuovo, dopo mille scottature, gran parte della gente pensa: "che me ne viene"? Neanche "che ce ne viene", ma proprio "che me ne viene direttamente"? Se non me ne viene niente direttamente, " dove non si guadagna si rimette" e dunque questo nuovo non mi va bene! Ed è così che il bene pubblico per eccellenza ( vedi rapporto Ipcc, rapporto Stern, Worldwatch, ecc..) e cioè l´ambiente in cui viviamo, in ragione di una accezione egoistico-individualista che vagheggia impatti zero negando qualsiasi responsabilità individuale e collettiva verso una possibile quanto concreta mitigazione degli impatti in corso, sta progressivamente degradandosi e rischia di segare il ramo su cui la stessa economia sta seduta.

Eppure, insieme alle vecchie ragioni (che lungi dall´essere venute meno, si sono accentuate, solo che si guardi alla scala giusta, quella globale), questa della sostenibilità ambientale delle trasformazioni umane sarebbe un´intrinseca ragione della sinistra degli anni 2000. Intrinseca perché l´obiettivo della sostenibilità pretende governo, orientamento dell´economia, progetto. Senza di ciò (Stiglitz non è un pericoloso capo di Sendero Luminoso), senza un progetto per un´economia sostenibile non ci resta che discutere su quando si va a sbattere e non sul se!

Ma la “liquidità” di questa fase storica produce incessantemente rotture e ricomposizioni senza senso e senza verso. A prescindere da qualsiasi progetto: questo è esattamente il nocciolo dei problemi che ci troviamo di fronte! Averne cognizione sarebbe già un passo avanti.

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