[26/10/2007] Urbanistica

La crisi edilizia e l’alibi del conservatorismo ambientale

LIVORNO. Oggi l’urbanistica e il cemento conquistano le pagine dei giornali. Da una parte la polemica su modernità e immutabilità del paesaggio urbano “storico” sul progetto di Renzo Piano di un grattacielo da realizzare a Torino, come sede della San Paolo Intesa. Che sovrasterebbe, con i suoi 200 metri di altezza e circa 70 piani, i 167 metri della la Mole, cambiando la sky-line del capoluogo piemontese. Dall’altra le cifre rilanciate dal Comitato per la bellezza di Vittorio Emiliani, Vezio De Lucia e Luigi Manconi. Che ci informano che nell’ultimo sessantennio, il cemento e l’asfalto hanno coperto più di 12 milioni di ettari , «vale a dire un terzo dell’intero territorio dello Stivale: una regione più grande del Nord Italia, sino al 1950 libera da costruzioni e infrastrutture e coltivata a prato, è stata coperta dal cemento». E per finire l’accusa opposta di Roberto Rossi, presidente regionale dell’Associazione costruttori edili (Ance), che accusa il conservatorismo sull’ambiente di mettere a rischio di sopravvivenza piccole imprese e chiede il rilancio degli appalti pubblici come rimedio per una crisi che arriva dopo anni di crescita intensissimi e non sempre segnati dalla legalità.

Lo stanno ad attestare i dati dei condoni edilizi che raccontano di un’attività parallela abusiva, ed anche più lucrosa, che ha accompagnato la cementificazione “autorizzata” e delle quali si sono rese protagoniste spesso proprio quelle piccole imprese delle quali oggi si denuncia la crisi. Non è un caso se le due parole “Condono edilizio” associate sono intraducibili nelle lingue degli altri Paesi europei.

Gli imprenditori edili si lamentano di un rallentamento e, dopo aver sfruttato all’osso un lunghissimo periodo positivo, dopo aver chiesto di liberarli di lacci e laccioli (per la verità ben poco stretti, visto il tasso di costruibilità che le cifre attestano), oggi chiedono allo stesso potere pubblico a cui chiedevano di mettersi da parte ma di tenersi a disposizione, di intervenire per rilanciare con interventi pubblici un settore di economia matura (e a volte puramente speculativa) che si è spappolato spesso in una miriade di piccole imprese che si sostengono e sostengono una rendita edilizia che sembra aver raggiunto un nuovo culmine per scivolare verso un nuovo inevitabile declino, almeno fino alla prossima fiammata, quando la crisi americana sbarcata su mercato edilizio europeo rifluirà.

Una febbre edilizia che ha fruttato tanto, prodotto scarso lavoro qualificato e molto in nero e in subappalti, un settore con il più alto rischio di infortuni e un altissimo tasso di evasione e di mancato rispetto delle leggi sulla sicurezza, e che, malgrado tutto questo non ha mitigato i prezzi e minimamente risolto l’emergenza casa (tanto che il governo è costretto a varare in finanziaria misure di emergenza-casa) perché rivolto soprattutto alla cementificazione a fini di lucro, quella delle seconde e terze case che hanno sommerso di brutti villaggi i luoghi più belli delle nostre coste e montagne «una tipologia – dice il Comitato per la bellezza - che certo non incrocia la domanda abitativa delle giovani coppie, di immigrati, di ceti deboli alla ricerca di alloggi economici».

L’illusione che possa continuare all’infinito la cementificazione di un Paese in calo demografico sembrerebbe avere una battuta d’arresto, visto che l’indebitamento delle famiglie aveva già toccato i 160 miliardi di euro nel 2004. Ma l’economia legale e in nero che si è creata intorno al boom non è preparata a trovare sbocchi, non ha avuto bisogno di innovazione vera e non trova localmente alternative. Da qui la pressione sulle istituzioni locali, la richiesta di aiuti per non pagare l’inevitabile prezzo di una crisi annunciata, il tentativo di rilanciare gli appalti pubblici (mentre si chiede di diminuire la spesa pubblica) per salvare piccole imprese che difficilmente potranno vincere quegli appalti.

Il conservatorismo ambientale in questo c’entra poco, se non come tentativo di tamponare gli scempi peggiori, le cifre record dei consumi pro-capite di cemento, quelle degli abusi e quelle dell’occupazione legale di territorio ci dicono che finora l’ambiente ha giocato, nei confronti dell’espansione edilizia, solo il ruolo di vittima.

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