[25/10/2007] Consumo

Italia, un Paese contraffatto...

LIVORNO. La Coldiretti sta facendo una (meritoria) campagna contro i prodotti taroccati e snocciola cifre: viene dalla Cina l´86% degli oltre 250 milioni di articoli contraffatti sequestrati nell´Unione Europea in un anno. I prodotti sono per lo più: sigarette, abbigliamento, prodotti di consumo tecnologici, ma anche medicinali, generi alimentari e prodotti per la cura personale, venduti anche attraverso internet.

Una falsificazione che è anche grave danno per il made in Italy, visto che molti prodotti arrivano in Italia e vengono rilavorati, trasformati, inscatolati, confezionati ed etichettati come produzione nazionale. Una storia fatta di triangolazioni internazionali, complicità locali, lavoro ed economia neri, gestiti illegalmente e spesso dalle mafie nostrane ed estere, magari alleate.

La Coldiretti chiede, giustamente, più controlli, prevenzione e repressione per un fenomeno che, oltre ai risvolti economici, ha preoccupanti ricadute sulla salute. Ma, come accade spesso nel nostro Paese, quel che accusiamo di fare ai cinesi probabilmente lo hanno imparato da noi, anzi siamo ancora dei maestri nel campo delle falsificazioni, visto che occupiamo i terzo posto al mondo tra i Paesi taroccatori ed eccelliamo proprio nella falsificazione del simbolo del made in Italy, la moda, come racconta tragicamente anche Roberto Saviano nel suo libro Gomorra. E’ probabile che i falsificatori cinesi ricomprino da noi prodotti di “qualità” che sono una rielaborazione dei loro falsi e cibi doc che sono roba più da fast food che da gourmet.

Secondo la Confcommercio il falso realizzato in Italia fattura 7,2 miliardi di euro l´anno, soprattutto abbigliamento (3,3 miliardi), accessori e prodotti informatici. L’origine delle merci contraffatte sono gli stessi distretti dove si produce il made in Italy, una specie di diversificazione economica che si rivolge a due fasce di consumo: i ricchi e gli imitatori o aspiranti ben disposti a comprare merce contraffatta, a volte per esibire uno status simbol taroccato, spesso solo per risparmiare.

Ma a leggere le cifre che circolano in questi giorni sembra che ad essere truccata sia tutta l’economia italiana: sarebbe di oltre il 10% del Prodotto interno lordo, 125 miliardi di euro, la quantità di denaro sporco che viene ripulita in Italia, un fiume di denaro che, se intercettato dal fisco, porterebbe nelle casse dello Stato una cifra pari al 3% del Pil; la mafia e le sue sorelle sarebbero la più grande azienda nazionale con almeno il 7% del Pil (90 miliardi); l’evasione fiscale raggiunge i 100 miliardi di euro all’anno, più di 7 punti di Pil, quattro volte la percentuale dei Paesi europei con un livello economico simile o superiore al nostro.

Probabilmente si tratta di cifre che si intrecciano e si sostengono l’una con l’atra, costituiscono circuiti illegali paralleli e comunicanti, ma secondo il ministero delle finanze il valore aggiunto dell´economia sommersa nel nostro paese è quasi il 18% del Pil e l’evasione fiscale totale sarebbe del 21% per l’Irap ed il 33% dell´Iva.
Sembreremmo un popolo di evasori fiscali e contraffattori, ma non è proprio così: il 75% degli italiani ritengono l´evasione fiscale un problema grave o gravissimo e gli evasori andrebbero quindi ricercarti nel restante quarto, quello che probabilmente si straccia di più le vesti per le troppe tasse e che aspetta fiducioso i vari condoni fiscali ed edilizi.

Ma questo è il Paese nel quale politici e imprenditori chiedono senza arrossire di ridurre le tasse e nel contempo aumentare i finanziamenti alle imprese (magari anche a quelle che evadono l’Irap e l’Iva), costruire costose infrastrutture, migliorare la qualità dei servizi e dare più soldi alle famiglie ed ai pensionati… che quelle solo quelle tasse possono assicurare. Un vecchio slogan sulle tasse diceva: «pagare tutti per pagare meno tutti», guardando le cifre dell’economia taroccata e illegale, del lavoro nero, dell’evasione e dell’elusione viene da pensare che, recuperando legalità e correttezza (collettiva e personale), un’Italia che oggi galleggia in un benessere intorpidito di cui l’economia in nero rappresenta una forte stampella, potrebbe avere grandi risorse per affrontare tranquillamente i grandi problemi che abbiamo davanti, a cominciare da una riconversione ecologica dell’economia proclamata ma mai davvero avviata.
Un Paese che piange e si lamenta si scoprirebbe davvero ricco e più dinamico se recuperassimo (o forse scoprissimo) il senso dello Stato, di appartenenza e di cittadinanza che vuol dire anche condivisione degli obblighi e rispetto delle regole.

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