[24/10/2007] Parchi

Un Ipcc anche per la biodivesità

LIVORNO. Dopo la Conferenza di Parigi del gennaio 2005 su “Biodiversité: Science et Gouvernance” è partita una consultazione internazionale per riflettere sulla messa in campo di un Meccanismo internazionale di esperti scientifici sulla biodiversità (International Mechanism Of Scientific Expertise on Biodiversity, IMoSEB), che potrebbe diventare, in materia di biodiversità, quello che l’Ipcc è per i cambiamenti climatici.

Il 2007 è stato utilizzato per sviluppare consultazioni regionali in ogni continente ed il Comitato di pilotaggio internazionale finale è convocato di nuovo in Francia, a Montpellier, dal 15 al 17 novembre 2007. A partire delle conclusioni delle consultazioni regionali e dalle consultazioni “obiettivo” delle parti interessate alla biodiversità, il Comitato di pilotaggio internazionale formulerà le “raccomandazioni di Montpellier” per una «expertise mondiale sulla biodiversità al servizio del processo decisionale».

«Una delle idee – spiega Didier Babin (Nella foto), il segretario esecutivo del processo di consultazione – è quella di creare una reti di esperti internazionali sulla biodiversità, a partire dall’insieme dei network già esistenti. Questa meta-rete permetterà, per esempio, di mobilitare e trattare le questioni mondiali emergenti per accompagnare le prese di decisioni: biocarburanti, influenza aviaria, indici della biodiversità».

La biodiversità é in grave crisi e le riunioni consultive regionali hanno dimostrato l’ampiezza del fenomeno ed un gran bisogno di esperienze scientifiche per affrontarlo. La biodiversità diminuisce nell’intero pianeta a un ritmo senza recedenti, con effetti sulla salute umana, animale e vegetale e lo sviluppo economico. Un tema molto complesso da affrontare per la frammentarietà delle informazioni scientifiche che non giungono efficacemente ai centri decisionali. E’ questo l’obiettivo dell’IMoSEB: «identificare e valutare i bisogni mondiali, lanciare una consultazione mondiale e mettere in comunicazione scienze e conoscenze della biodiversità con i processi decisionali pubblici e privati».

Il primo rapporto Millenium Ecosystem Assessment del 2005, punta a rafforzare la capacità di gestione sostenibile degli ecosistemi per il benessere dell’umanità. Si tratta di un lavoro monumentale, che ha impegnato per 4 anni 1.360 biologi, antropologi, ecologisti e economisti di 95 Paesi, che ha messo insieme per la prima volta, in maniera completa e integrata, le conoscenze sui servizi che gli uomini traggono dalla natura e quanto questi rendono a livello sociale,come le comunità interagiscono con queste risorse e quali impatti tutto ciò ha sull’evoluzione dei vari ambienti.

Un rapporto che traccia un bilancio molto pessimistico, visto che se c’é stato un miglioramento del benessere umano in molte regioni del mondo, intorno al 60% dei servizi forniti dagli ecosistemi e che permettono la vita sulla Terra, come acqua dolce, stock di pesca, cicli dell’aria e dell’acqua e quelli climatici regionali, rischi naturali e dei parassiti, sono degradati o sovrasgfruttati. Gli scienziati avvertono che «gli effetti negativi di questo degrado rischiano di aggravarsi in maniera significativa nei prossimi 50 anni».

Nella situazione attuale le risorse rinnovabili tendono a ridursi drammaticamente «si tratta dunque di trovare i modi di ridurre questa tendenza – si dice nel rapporto – per permettere una ripartizione equa delle risorse durevoli per le generazioni future». Il Millenium Ecosystem Assessment immagina quattro modelli futuri, tra i quali gli esperti preferiscono quello del “mosaico di adattamento“ nel quale le società sviluppano le istituzioni locali e promuovono il trasferimento di competenze tra gruppi regionali. Secondo un altro rapporto, «Vivre au-dessus de nos moyens», del Consiglio di valutazione del Millennio, la quantità di acqua prelevata da fiumi e laghi per irrigazione, uso domestico e industriale é raddoppiato negli ultimi 40 anni. Gli uomini utilizzano tra il 40% e il 50% dell’acqua dolce che scorre nel pianeta. In regioni come il Medio Oriente e l’Africa del nord si util++izza il 120% delle risorse rinnovabili per la dipendenza da falde sotterranee che non riescono a ricaricarsi. Tutto questo nonostante il fatto che dal 1960 al 2000, la capacità delle riserve d’acqua é quadruplicata con la creazione di grandi dighe che contengono te volte più acqua di quanto ne hanno i fiumi « naturali ».

Dopo il 1945 sono stati messe a coltura più terre di quanto fatto nei secoli XVIII e XIX messi insieme ed oggi circa un quarto della superficie terrestre é coltivata. Dall’inizio degli anni 80 sono scomparsi il 35% delle mangrovie e il 20% dei coralli del mondo ed il 20% di questi due ecosistemi sono seriamente degradati.

Le attività umane producono più azoto di tutti i processi naturali combinati insieme e l’afflusso di questa sostanza negli oceani é raddoppiato rispetto al 1860. A causa dell’uso di concimi chimici, il fosforo nei terreni agricoli é quasi triplicato tra il 1960 e il 1990 e, seppure in calo, ci vorranno decenni prima che il suo effetto sull’ambiente cessi. Più di un quarto delle risorse marine sono sovrasfruttate e la pesca d’acqua dolce é in declino, con forti ripercussioni sul tenore di vita dei Paesi poveri.

Il Millenium Ecosystem Assessment sottolinea la necessità di percorrere quattro tappe principali per ridurre il degrado dei servizi ecosistemici: «cambiare gli arretrati piani economici di presa di decisioni; migliorare la politica, la pianificazione e la gestione; influenzare i comportamenti individuali; sviluppare ed utilizzare una tecnologia rispettosa dell’ambiente».
La conclusione di questa valutazione é che «le società umane hanno il potere di allentare le costrizioni che esercitano sui servizi naturali del pianeta, continuando ad utilizzarli per ottenere un miglio livello di vita per tutti» e aggiungono che «le questioni legate alle differenti risorse sono interconnesse : un’azione messa in atto su una risorsa determinata avrà un impatto su un’altra».

Torna all'archivio