[19/10/2007] Energia

De Vita (Confindustria energia) a greenreport: Regole condivise per una maggiore efficienza

LIVORNO. Si è svolto a Roma qualche giorno fa un convegno organizzato da Confindustria energia, in cui si è discusso di quale può essere il ruolo dell’industria dell’energia per migliorare l’efficienza energetica.
Con l’approccio che l’efficienza energetica rappresenti la principale risorsa alternativa alla crescita della domanda di energia e del suo impatto sull’ambiente. Confindustria energia ha sostenuto infatti, in questo appuntamento, di attribuire all’efficienza energetica e quindi al risparmio di energia, un ruolo fondamentale, sia per le sfide ambientali sia per quelle di competitività che chiamano l’industria all’appello.
Confindustria Energia è un nuovo soggetto, costituito lo scorso anno, che si è dato il compito di rappresentare un articolato mondo di imprese grandi e piccole, espressione del mondo della produzione delle diverse fonti di energia. Ne fanno parte circa 400 aziende per oltre 50.000 addetti, quindi una fetta importante del tessuto produttivo del nostro paese, che se si sposta nella direzione di muovere i meccanismi per migliorare l’efficienza energetica, può sviluppare un motore davvero importante, sia nel senso del raggiungimento degli obiettivi che l’Europa si è autoassegnata dell’aumento del 20% dell’efficienza energetica (assieme al 20% di risparmio e al 20% di incremento delle energie rinnovabili), sia per innovare in termini di maggiore sostenibilità un comparto economico ancora fondamentale per il nostro paese.

I margini ci sono, come ben evidenziato dallo studio condotto dalla fondazione Mattei e presentato al convegno di Confindustria energia.
Il bacino del risparmio energetico appare infatti molto ampio, dal momento che l’Italia seppur dimostra, nel settore industriale, di aver conseguito modesti miglioramenti, ha un andamento analogo a quello europeo in cui si sono avuti incrementi di efficienza minori rispetto ai paesi dell’area OECD. Ed è quello con intensità energetica, ovvero la quantità di energia utilizzata per produrre una unità di pil, più bassa.

Tra l’altro quello dell’efficienza energetica risulta essere un settore che offre l’opportunità di avere un risparmio netto anche dal punto di vista economico, considerati anche gli attuali andamenti dei prezzi dei combustibili.
E nonostante dallo studio emerga che gli interventi sul settore dei trasporti sarebbero quelli suscettibili di fornire i maggiori benefici è indubbio che anche l’area industriale potrebbe fornire un contributo rilevante, assieme a quello residenziale.

Lo studio mette anche in evidenza che riguardo alle politiche efficaci per poter ottenere questi risultati, assieme al credito agevolato, alle misure di informazione e formazione professionale, risultano importanti anche gli standard tecnologici obbligatori. La cui applicazione deriva spesso dall’adozione di direttive europee, quindi di norme comuni a tutta l’area dell’euro.

E questo riporta il tema sulla necessità che vi sia una azione politica capace di orientare l’economia, per fornire strumenti in grado di ottenere vantaggi anche di natura ambientale.
Su cui la stessa economia, pare pronta a fare la sua parte. Con la richiesta però di condividere queste regole. In questo senso si può leggere la lettera inviata al commissario per l’industria dell’Ue, Gunter Verheugen inviata dai costruttori di pneumatici, che si dicono pronti all’impegno di riduzione delle emissioni in atmosfera, ma chiedono però di aprire un dialogo per concertare i limiti imposti da Bruxelles, che risulterebbero tecnologicamente irraggiungibili.
Anche se non sarebbe la prima volta (per non dire che succede sempre) che ciò che viene ritenuto tecnologicamente irraggiungibile è in realtà per l’industria magari solo non economicamente vantaggioso nell’immediato.

«Il problema è che spesso le norme vengono fatte senza consultare chi poi le deve applicare» ci ha detto Pasquale De Vita, presidente di Confindustria energia. «Se la norma non è troppo chiara o non è presentata nella misura giusta è normale che abbia una reazione contraria. Se fosse condivisa sin dall’inizio, sarebbe più evidente la buona volontà delle imprese. Sul Protocollo di Kyoto ad esempio abbiamo accettato limiti troppo bassi, che andavano bene alla Germania che aveva tutte le industrie della Ddr da smantellare e da ricostruire e ha potuto avvantaggiarsi vendendo crediti e ricostruendo con tecnologia più efficiente. Noi che avevamo già valori alti di efficienza, facciamo più fatica a fare ulteriori miglioramenti».

Nel convegno sull’efficienza energetica, lei ha sostenuto che questa costituisce un potenziale motore per lo sviluppo di un’industria manifatturiera innovativa e maggiormente competitiva sui mercati internazionali. È una apertura importante per il settore confindustriale.
«Confindustria energia rappresenta i fornitori mentre il resto di Confindustria si può considerare consumatore. Noi oltre ad offrire la materia prima, vogliamo dare anche una serie di indicazioni su come utilizzarla al meglio e nel modo più intelligente possibile. Questo vuol dire investire nelle strutture perché le nuove tecnologie consentono una maggiore efficienza energetica e quindi risparmio. Perché si può risparmiare riducendo il prodotto finale o farlo ottenendo invece gli stessi risultati.
Quindi è un processo che richiede investimenti, ma che porta anche competitività. Noi abbiamo dato suggerimenti per intervenire sulla struttura, che portano al risparmio e quindi ad una maggiore competitività.
Ma c’è anche un secondo aspetto importante che è quello comportamentale e che riguarda tutto, industria, settore residenziale e trasporti».

Comportamenti delle aziende?
«Parlando di comportamenti abbiamo detto che è necessario fare una grande azione di comunicazione verso le aziende che a loro volta la dovranno fare verso gli utenti. Se consideriamo che dalla rete di distributore passano milioni di consumatori al giorno, quanta informazione si può fare sul risparmio? Tantissima. Spesso con poco si può fare molto. Pensi anche alla mobilità in città. Le aziende si sarebbero dovute munire di mobility manager, che porta vantaggi a costi zero, ma sono poche quelle che lo hanno fatto».

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