[18/10/2007] Comunicati

Le risorse e l’equità nel nuovo mondo multipolare

LIVORNO. Il prezzo del petrolio polverizza i record storici, sbballottato verso l’alto dalle notizie che arrivano da un sempre più infiammato medio-oriente e da un mai pacificato Iraq, ma questo non pare fermare la corsa dell’economia mondiale che, secondo il rapporto “Prospects for the Global Economy” del Fondo monetario internazionale (Fmi), dovrebbe registrare una crescita del 5,2% nel 2007 e del 4,8% nel 2008, solo minimamente rallentata dalla recente crisi finanziaria.

Secondo il rapporto Fmi «il 4,8% di crescita dell’anno prossimo è inferiore di 0,4 punti percentuali rispetto alle previsioni della Banca mondiale di luglio, essenzialmente in ragione delle recenti turbolenze del mercato finanziari. Riguardo ai Paesi più avanzati, le previsioni di crescita per gli Stati Uniti nel 2007 non cambiano e restano ad 1,9% ma sono state riviste al basso per il 2008, 0,9 punti di percentuale in meno del previsto».

Insomma, quella che, partendo dall’Iraq, qualcuno aveva visto come un’azione Usa per assicurarsi il controllo del petrolio e il primato eterno sull’economia mondiale e l’egemonia politica planetaria, si sta forse dimostrando una profezia (o forse un calcolo di Bush e della sua corte di neocon) sbagliata.
Il mondo non si è “semplificato” ma anzi stanno sorgendo nuovi punti di un potere multipolare, non necessariamente nemico degli Usa, ma che punta sull’affrancamento economico ed all’utilizzo delle risorse economiche ed ambientali per ottenere sempre più potere politico. Grandi Stati prima marginali si stanno muovendo velocemente e stendono reti intercontinentali, sembra proprio il caso di quanto è accaduto a Pretoria (o meglio Tshwane con il suo nome africano diventato ufficiale), la capitale sudafricana dove si sono dati appuntamento i presidenti di India, Brasile e Sudafrica per porsi alla testa dei Paesi in via di sviluppo per sbloccare i negoziati del ciclo di Doha sulla liberalizzazione del commercio multilaterale all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto).

Il secondo summit India-Brasile-Sudafrica (Ibsa) è stata l’occasione per i due presidenti Thabo Mbeki, e Luis Inacio Lula da Silva ed il premier indiano Manmohan Singh per chiedere un ordine politico ed economico internazionale più equoe favorevole per i poveri. I capi di Stato delle potenze economiche in rapido sviluppo hanno, con la dichiarazione di Tshwane, ricordato l’importanza delle discussioni di Doha e chiesto di ritirare le «vecchie distorsioni e restrizioni» per l’agricoltura, incluse le sovvenzioni che tengono in piedi le costose attività agricole e zootecniche europee e statunitensi, e le barriere commerciali che impediscono ai prodotti dei Paesi in via di sviluppo di accedere ai mercati dei Paesi ricchi.

«Quel che ci propongono – ha detto polemicamente il presidente brasiliano Lula – è che noi facciamo delle concessioni sul piano industriale, è molto di più di quello che loro sono disposti a fare sul piano agricolo». Ed ogni timore reverenziale verso le grandi potenze mondiali sembra caduto, Mbeki, Singh e Lula dicono insieme che «i Paesi in via di sviluppo devono agire subito per dare forma ad un nuovo ordine mondiale».

Forse il clamoroso e sanguinoso fallimento irakeno farà capire che l’accesso alle risorse può avvenire solo attraverso uno scambio equo (e magari anche sostenibile), alla pari tra possessori delle risorse e utilizzatori e che, soprattutto, sempre più Paesi quelle risorse se le vogliono tenere per svilupparsi autonomamente e senza tutori troppo ingombranti. Rimane un gigantesco problema: uno sviluppo economico più diffuso sarà più equo anche per il pianeta?

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