[15/03/2006] Consumo

Scheggi a greenreport: «Bilanci e certificazioni ambientali, strumenti da diffondere sempre più»

GROSSETO. Nel dibattito su crescita e sostenibilità in Toscana, è oggi la volta dell’intervista a Lio Scheggi (nella foto), presidente della Provincia di Grosseto, nella sua veste di presidente dell’Unione regionale delle province toscane.

Tutte le analisi convergono del delineare la Toscana come regione in stagnazione-recessione economica. Il gruppo di studio «Toscana 2020» prevede un futuro di slow growth (crescita lenta). In questa situazione alcuni parametri, come l’occupazione, sembrano, almeno al momento, andare in controtendenza (Istat). Lo stato dell’ambiente invece, sembra non svincolarsi dalla tenaglia fra salvaguardia e degrado e di non saper imboccare la strada dell’ecoefficienza. Quantità e qualità dello sviluppo, anche in Toscana, sono in continuo cortocircuito (infrastrutture, rifiuti, industria, turismo). Qual è la chiave secondo lei, se ce n’è una, per sintonizzare quantità e qualità, sostenibilità ambientale, sociale ed economica?
«L’importanza di perseguire la qualità dello sviluppo economico è oramai un dato di fatto, assodato almeno in termini teorici. Ciò detto, credo che l’unica strada percorribile per coniugare sviluppo e tutela ambientale sia quella di fare riferimento al Piano regionale di azione ambientale, utilizzando al meglio la leva della programmazione, a partire da quella urbanistica, e puntando sull’educazione e la formazione. Le Amministrazioni provinciali, in particolare, hanno a disposizione strumenti quali il Piano territoriale di coordinamento (Ptc), che individua le risorse di un territorio, il Piano energetico provinciale, il Piano dei rifiuti e delle bonifiche.
Ecoefficienza e buone pratiche di sostenibilità – che si tratti di bioedilizia, pratiche agronomiche o processi industriali, è lo stesso – sono anche fattori importanti di competitività, soprattutto nelle economie avanzate. Nei prossimi anni, i 15 Paesi che costituiscono il nocciolo duro dell’Europa a 25, punteranno sempre di più su economia della conoscenza e capacità d’innovazione, ma perderanno sempre più impianti produttivi tradizionali. Quest’evoluzione andrà di pari passo con l’affermarsi di modelli virtuosi in termini di efficienza energetica, salvaguardia ambientale e qualità della vita. Basta guardare alle esperienze dei paesi scandinavi o della Danimarca. Mi pare chiaro, quindi, che i sistemi economici locali che sapranno battere questa strada saranno avvantaggiati.
Va da sé che per ottenere questo tipo di risultati, occorrono efficaci politiche nazionali d’indirizzo ed una legislazione e fiscalità premiale per chi persegue questi obiettivi. Finora non è stato così, ed è chiaro che da soli gli sforzi di un’Amministrazione regionale, provinciale o locale, non possono che ottenere risultati molto parziali».

Un grande pensatore del secolo scorso ebbe modo di rilevare che la quantità senza la qualità è possibile, l’opposto non è possibile. Ma è possibile pensare e pianificare una crescita quantitativa dell’economia illimitata, sia pure di qualità?
«Mi sembra evidente che in natura esistono limiti oltre i quali non è possibile andare, motivo per cui il concetto di qualità dello sviluppo economico dovrà comunque misurarsi anche con soglie quantitative, al di là delle quali non si potrà andare. In questo contesto dobbiamo aver presente che esiste un doppio binario: da una parte ci sono gli Enti e le istituzioni pubbliche, dall’altra l’impresa privata. Il confine tra le due realtà non è così netto, anche se in generale possiamo dire che pubbliche amministrazioni e istituzioni in generale hanno una maggiore sensibilità per certi temi, mentre l’impresa è più orientata ad una logica di tipo produttivistico. In Toscana la collaborazione e la contaminazione fra queste due ‘logiche’ è abbastanza frequente, e gli sforzi di concentrare risorse ed idee per innalzare gli standard di efficienza ambientale e sociale non mancano, sia in termini produttivi che di promozione di stili di vita. Il processo, quindi, è in moto, ma la strada da percorrere è ancora moltissima».

Le discussioni sulla crescita economica sono sempre e comunque basate sulla misurazione attraverso lo strumento del Pil. Quasi tutti sono consapevoli della incapacità di questo strumento di misurare il livello di benessere e di qualità della vita complessiva (si sommano i mali con i beni). Tuttavia un analogo strumento per misurare la sostenibilità delle attività economiche e dell’uomo sulla natura non è ancora stato attivato (o non è utilizzato). Bilanci ambientali, Contabilità ambientale, Vas, Agende 21, non si incrociano, né si integrano minimamente con le scelte economiche. Il dibattito è strabico, come la lotta politica: sull’economia si discute in termini di indicatori e di numeri, sull’ambiente si discute in termini politico-filosofici e di punti di vista astratti da misurazioni. Come si fa a discutere di quantità della crescita se non sappiamo quanta aria, quanta acqua, quanto territorio, quante risorse abbiamo a disposizione? Come si fa uscire dalle secche dell’ideologia il concetto di sostenibilità se non si sa qual è il limite oltre il quale c’è l’insostenibilità? Non sarebbe il caso che la discussione sul prossimo Piano regionale di sviluppo si facesse partire da come si recupera questo deficit di conoscenza? Cioè, dallo stabilire quali sono i limiti entro i quali deve svilupparsi la crescita economica e, quindi, dove si ritiene prioritario sviluppare scelte di qualità per non superare questi limiti? Non sarebbe il caso di affiancare (anzi, di far precedere) ad uno strumento come il Prs un analogo strumento (Prca, Piano regionale di contabilità ambientale) che metta finalmente anche «la natura nel conto»?
«Intanto, occorre tenere presente che già esistono alcuni strumenti operativi che ci consentono di fare scelte per lo sviluppo sulla base di valutazioni ambientali abbastanza accurate. Bilanci e certificazioni ambientali ne sono esempi concreti. La stessa Regione Toscana, in questo senso, ha preso l’impegno di avvalersi di indicatori scientifici elaborati da istituti di ricerca internazionali nella predisposizione del prossimo Prs. L’Urpt, che proprio recentemente si è data una nuova e più efficace organizzazione, ha intenzione d’impegnarsi su questo terreno, proprio a partire dal patrimonio d’esperienze che le Province hanno maturato negli ultimi anni, gestendo deleghe che molto hanno a che vedere con il tema dei limiti ambientali: dal dissesto idrogeologico alla protezione civile, dalla regimazione idraulica alla redazione dei piani dei rifiuti e di quelli energetici. Molte Province, inoltre, si sono dotate o si stanno dotando della certificazione Emas per l’intero territorio. C’è quindi un retroterra di sensibilità culturale e amministrativa, sulla base del quale costruire un nuovo approccio di governo allo sviluppo economico».

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