Cosa c’è nella caldera dei Campi Flegrei? Una nuova ricerca svela le strutture sismiche
Mentre lasciano ancora molto a desiderare i provvedimenti normativi messi in campo dal Governo nazionale per affrontare il continuo rischio bradisismico nell’area dei Campi Flegrei, la ricerca scientifica va avanti con successo per indagare meglio la natura di questi rischi.
La rivista scientifica ‘Communications Earth & Environment’ di Nature ha appena pubblicato un innovativo studio – realizzato dai ricercatori dell’Ingv in collaborazione con quelli dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli –, che suggerisce importanti passi avanti.
«L'obiettivo della ricerca – spiega Anna Tramelli, ricercatrice Ingv e prima autrice dello studio – è stato quello di comprendere come le caratteristiche della crosta, lo stress a cui è sottoposta e la sua temperatura influenzino la relazione tra il numero totale dei terremoti e le loro magnitudo, nota come relazione di Gutenberg-Richter, al fine di identificare aree sismogenetiche con comportamenti differenti e di monitorare eventuali variazioni di comportamento nel tempo. Il parametro che si analizza è chiamato b-value e dipende dal rapporto tra il numero dei terremoti di magnitudo elevata e quelli di magnitudo minore. Ad esempio, il valore di b uguale a 1, osservato analizzando il catalogo sismico globale, indica che per ogni terremoto di magnitudo 4 si osservano 10 terremoti di magnitudo 3».
In questo modo sono state identificate diverse strutture sismiche all'interno della caldera dei Campi Flegrei, grazie all’analisi della distribuzione delle magnitudo dei terremoti nello spazio.
«Analizzando 7670 eventi sismici verificatisi in 18 anni, da gennaio 2005 a ottobre 2023, e rilevati dall'Osservatorio vesuviano – prosegue Vincenzo Convertito, ricercatore Ingv coautore della ricerca – è stato possibile evidenziare che al di sotto delle aree Solfatara e Pisciarelli, fino a una profondità di circa 2 km, l'elevata fratturazione delle rocce e la presenza di fluidi idrotermali favoriscono il verificarsi di terremoti di bassa magnitudo (fino a Md=3) rispetto a quelli di magnitudo più elevata (fino a Md= 4.4). Al di sotto dei 2 km, invece, per le aree circostanti il rapporto tra le magnitudo dei terremoti è coerente con quanto osservato a scala globale; ovvero il valore di b stimato è molto prossimo a 1».
La scoperta di variazioni nel rapporto tra le magnitudo dei terremoti all'interno della caldera dei Campi Flegrei rappresenta un importante passo avanti per il monitoraggio delle aree vulcaniche.
«La capacità di rilevare automaticamente le variazioni di questo rapporto potrebbe migliorare significativamente il monitoraggio sismico e la comprensione delle dinamiche vulcaniche», prosegue Anna Tramelli.
L’Ingv sottolinea comunque che la ricerca pubblicata ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile, rappresentando un contributo potenzialmente utile in futuro per affinare gli strumenti di previsione e prevenzione di protezione civile. Al momento i risultati della ricerca non hanno alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione.