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La legge Ue sul ripristino della natura spiegata dal National biodiversity future center

Chiantore: «L’obiettivo della Nature restoration law non è tornare al passato per ricreare la “natura perduta”, ma ripristinare un futuro vivibile»
 |  Natura e biodiversità

A Palermo durante il primo Forum nazionale della biodiversità, che ha riunito gli studiosi del National biodiversity future center (Nbfc), ripristino e recupero della natura sono stati temi centrali.

Incontriamo la prof.ssa Mariachiara Chiantore, docente di Ecologia dell’Università di Genova e co-coordinatrice dello Spoke 2 del National biodiversity future center, per parlare di una misura a dir poco innovativa che l’Unione europea sta discutendo, la legge sul ripristino della natura (Nature restoration law).

Intervista

Prof.ssa Chiantore, di cosa si tratta?

«Si tratta di una legge dell'Unione europea che dovrebbe svolgere un ruolo cruciale nel rispetto da parte dell'Ue dei suoi obblighi e impegni ai sensi del diritto internazionale, tra cui il Kunming-Montreal Global biodiversity framework e l'Accordo di Parigi sul clima, firmato da tutti gli Stati membri. Questa proposta di legge rappresenta un passaggio di fondamentale importanza per mettere la natura, la biodiversità, al centro.

Non si parla solo di ambiente, di clima, ma di conservare e, se necessario, attivamente restaurare ecosistemi terrestri ed acquatici. Restaurare significa accompagnare, attivamente, il processo di recupero dopo un disturbo, al fine di recuperare le funzioni ed i servizi ecosistemici».

In molti sentono parlare del Green deal senza sapere di cosa si tratta. Potremmo dire che sia un manifesto che ha condotto alla definizione di diversi obiettivi. Uno dei più innovativi consiste nell’impegno dell'Unione europea a ripristinare la natura, ovvero cercare di mettere in atto azioni finalizzate al recupero del danno ambientale attraverso la legge sul ripristino della natura.

«La legge è stata ampiamente dibattuta, come inevitabile, anche andando ad attenuare la proposta iniziale, adottata dalla Commissione europea il 22 giugno 2022. La legge è stata quindi approvata il 12 luglio 2023 dal Parlamento europeo e il 27 febbraio 2024 ha avuto l’approvazione del suo testo finale. Si attendeva quindi il passaggio al Consiglio d’Europa, che avrebbe dovuto ratificarne l’approvazione, ma il sentore che tale passaggio non sarebbe stato semplicemente formale ha indotto a ritirarne l’inserimento in agenda,e a posticiparne il passaggio a giugno 2024».

La legge individua obiettivi generali e ambiziosi, come ad esempio ripristinare il 20% delle aree degradate entro il 2030, e ripristinare gran parte degli ecosistemi entro il 2050; quindi al centro dell'idea dell’azione di ripristino di fatto ci sono tutti gli ecosistemi, non ci si limita alle aree protette e vengono inclusi anche gli ambienti agricoli.

«Oggetto della legge sono ecosistemi terrestri e di acqua dolce, habitat marini che fino ad oggi non sono stati oggetto di particolari misure di protezione, ecosistemi urbani per i quali si prevede non solo di non perdere spazi verdi, ma di aumentarli almeno del 3% (al 2040) e del 5% (al 2050), e di raggiungere almeno il 10% di spazi alberati.

Si prevede di rimuovere le barriera alla connettività dei corsi d’acqua, con i programma di restaurare almeno 25.000 km di corsi d’acqua in Ue. Circa gli agroecosistemi, la legge prevede di mettere in atto misure di restauro al fine di aumentarne la biodiversità, favorendo gli impollinatori e l’avifauna, preservando zone umide ed i corridoi ecologici.

L’obiettivo della Nature restoration law non è tornare al passato, ma ripristinare un futuro vivibile: infatti la legge mira al ripristino di ecosistemi resilienti e non obbliga gli Stati membri a tornare al passato, ma al contrario offre l’opportunità di riportare l’ambiente degradato ad un futuro vivibile. Non si tratta tanto di ricreare la “natura perduta”, ma piuttosto di aprire una traiettoria verso un ambiente più adattabile al clima, sia per l’uomo che per la natura.

Ripristinando la natura degradata, gli ecosistemi diventano più resilienti e possono assorbire più fattori di stress ambientale rispetto allo scenario esistente. Contestualmente, gli ecosistemi sani sono una risorsa fondamentale per promuovere la nostra resilienza collettiva ai rischi climatici, nelle aree urbane come in quelle rurali. Peraltro, secondo la normativa vigente sui diritti umani, i governi hanno il dovere vincolante di prendersi cura dei propri cittadini per proteggerli dagli impatti del cambiamento climatico, dell’inquinamento e dal degrado ambientale: il ripristino della natura è un elemento indispensabile di questa protezione, contribuendo a proteggere le persone da inondazioni e incendi e a mitigare l’impatto delle ondate di calore e della siccità».

Come possono, i cittadini, comprendere la differenza tra questo approccio nuovo e quello già regolamentato da leggi che impongono divieti di inquinamento, Valutazioni di impatto ambientale o norme che proteggono parchi e riserve?

«La differenza fondamentale è il focus sulla biodiversità: la legge vuole non solo porre un argine, ma invertire la perdita di biodiversità. Le leggi sopra menzionate sono più indirizzate a ridurre gli impatti sull’ambiente. Inoltre la Nature restoration law esce dai confini delle aree protette, portando il ripristino della biodiversità ovunque sia necessario intervenire»

La legge prevede un processo applicabile direttamente negli Stati membri, messo in atto attraverso dei piani nazionali di ripristino. Gli Stati membri devono assumere una responsabilità diretta in diverse misure come ad esempio dettagliare come finanziare queste azioni. Dal punto di vista finanziario la restoration deve diventare una priorità. Come si procederà?

«Entro 12 mesi dall’entrata in vigore del presente regolamento, la Commissione dovrà valutare eventuali divari tra le esigenze finanziarie per il ripristino e i finanziamenti disponibili dell’Ue e cercare soluzioni per colmare l’eventuale divario.

I negoziatori hanno inoltre concordato un freno di emergenza, come richiesto dal Parlamento, in modo che gli obiettivi per gli ecosistemi agricoli possano essere sospesi in circostanze eccezionali se creano gravi conseguenze a livello dell’Ue sulla disponibilità di terreni necessari per garantire una produzione agricola sufficiente per il consumo alimentare dell’Ue.

L’approvazione della legge avvalorerebbe gli enormi investimenti che l’Ue e l’Italia, in particolare, attraverso il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), stanno indirizzando alla conservazione, valorizzazione e al restauro della biodiversità, tra cui certamente spicca il Centro nazionale per la biodiversità (Nbfc), ma anche altre importanti attività che verranno, per esempio messe in campo da Ispra».

Il ripristino ambientale di fatto viene presentato attraverso questa legge come un investimento, alla luce del fatto che il danno ambientale risulta essere un costo per la collettività e grava su ognuno di noi anche in termini di salute e benessere sociale. Che ruolo sta avendo la ricerca? E i giovani?

«Investire sulla biodiversità è indiscutibilmente investire sul benessere dell’uomo, in un’ottica di planetary health, ma è anche creare nuove opportunità di lavoro, blue e green.

La ricerca ha un ruolo fondamentale, sia per conoscere e mappare la biodiversità, capire quali sono le minacce che subisce, in un’ottica anche di cambiamenti globali, ma anche sviluppare best practice per il restauro ecologico e a testare nuove vie per non impattare le risorse biologiche del nostro pianeta, valorizzando il ricircolo e lo sfruttamento sostenibile.

I giovani in tutto questo sono la nostra forza: si tratta del loro futuro. Dobbiamo formare la loro coscienza ecologica dall’infanzia, formarli nella ricerca scientifica e incentivarne l’imprenditorialità per creare nuove filiere produttive».

Sabrina Lo Brutto

Sabrina Lo Brutto, Professoressa di Zoologia del Dipartimento di Scienze della Terra e del Mare (DiSTeM) dell’Università di Palermo. Insegna nei Corsi di Laurea in Scienze Biologiche e Scienze del Turismo. Svolge attività di ricerca indirizzata allo studio della biodiversità marina mediterranea e alla museologia scientifica. É stata Direttrice del Museo di Zoologia “P. Doderlein” dell’Ateneo palermitano, è membro del National Biodiversity Future Center (NBFC), coordina progetti e iniziative di divulgazione scientifica. È stata membro del Consiglio Direttivo dell’Unione Zoologica Italiana; ad oggi ne è membro della Commissione Fauna e Ambiente.