In Italia 670 mila edifici pubblici da riqualificare entro due anni: per questo il governo frena sulle direttive green Ue?
In Italia, oltre il 60% dei 12,4 milioni di edifici residenziali è stato costruito prima che entrasse in vigore la legge sul risparmio energetico (la numero 373 del 1976). A questi si aggiungono 1,7 milioni di edifici a uso non residenziale (circa il 12% su un totale di 14 milioni), destinati principalmente a produzione (19%), commercio (16%) e servizi (12%). Sono dati che emergono dal Report “La consistenza del parco immobiliare nazionale”, realizzato dal Dipartimento Efficienza energetica di Enea.
Ma c’è anche un altro dato che non può non richiamare l’attenzione, se si legge per intero il volume di 107 pagine redatto con il sostegno del ministero dell’Economia e delle Finanze e che sicuramente è stato fatto circolare già in fase di correzione di bozze negli ambienti governativi, ora alle prese con gli interventi che bisognerà mettere in campo per raggiungere gli obiettivi di risparmio energetico stabiliti con le nuove direttive Ue. Il dato è questo: nel nostro Paese, ci sono «circa 770 mila unità immobiliari di proprietà pubblica, di cui 670 mila non vincolate e quindi potenzialmente soggette agli obblighi di riqualificazione energetica previsti dalle direttive europee». Il governo è in grado di trovare le risorse economiche per affrontare questa mole di interventi? Sembra difficile, a leggere gli aggiornamenti sul debito pubblico e le dichiarazioni sempre più prudenti, se non esplicitamente preoccupate, del ministro dell’Economia Giorgetti. E allora qualche dubbio sorge spontaneo.
Il dubbio, per esempio, che la contrarietà del governo riguardo le nuove direttive comunitarie non nasca dalla preoccupazione, tra l’altro infondata, per le spese che dovranno affrontare le famiglie italiane per rendere più efficienti dal punto di vista energetico le loro case. Riqualificare quasi 700 mila edifici pubblici non è uno scherzo. Né il governo può drasticamente ridimensionare quel numero, visto che nasce da dati forniti a Enea dallo stesso ministero dell’Economia e delle finanze, dal ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, dal ministero della Salute, dal ministero dell’Istruzione e del merito, dall’Agenzia delle entrate e dall’Istat. E non farebbero una bella figura la premier Meloni e il suo vicepremier Salvini a smentire le cifre fornite dagli uffici di mezzo governo. Né possono rinviare la questione e magari pensare di lasciare ad altri la patata bollente.
I tempi non sono una variabile indipendente, in questa partita. E allora si capisce il nervosismo suscitato in ambienti governativi dall’ultima uscita del ministro Pichetto Fratin. Rispondendo a una domanda sulla strategia dell’Italia per mettersi in regola con le nuove direttive Ue, un paio di giorni fa il ministro dell’Ambiente ha dichiarato: «La direttiva case green ormai c’è, noi ci prepariamo, dobbiamo recepirla e verrà recepita». Domanda: nei tempi previsti, che non sono lunghissimi? Risposta di Pichetto Fratin: «Naturalmente abbiamo due anni di tempo ma non utilizzeremo due anni fino alla fine». Una fretta che non è affatto piaciuta a diversi ministri, che hanno mandato avanti la Lega per tuonare contro una norma, è stata la linea indicata e messa in campo, che andrà a pesare sulle tasche delle famiglie, che farà aumentare le tasse e via dicendo. Questo, mentre commentatori e giornali di destra accusavano il ministro dell’Ambiente di incoerenza, ricordandogli che solo poco tempo fa giudicava sbagliate le norme e irrealistici i tempi di attuazione. Pichetto Fratin non è potuto rimanere in silenzio e ha replicato alle accuse della Lega dicendo che «gli italiani non pagheranno un centesimo in più di tasse», ma intanto il messaggio gli è stato recapitato.
L’Italia non è l’unico paese in Europa che dovrà lavorare duramente per mettersi in regola con le direttive green Ue. «In base a queste norme l’Italia dovrà procedere per il conseguimento degli obiettivi previsti – dice Ilaria Bertini, direttrice del dipartimento di Efficienza energetica di Enea – tutto ciò considerando che gli edifici nell’Ue rappresentano il 40% del consumo finale di energia e determinano il 36% delle emissioni di gas a effetto serra».E l’Italia non è neanche l’unico paese a partire da una situazione disastrosa dal punto di vista dell’efficientamento energetico, considerato che, come commenta sempre Bertini facendo riferimento al Report Enea, «di fatto, quasi il 75% degli edifici in Europa è attualmente inefficiente sotto il profilo economico». Ma è l’unico paese che insieme all’Ungheria, al voto finale dell’aprile scorso sugli edifici green, ha votato contro. E che è governato da forze che appena il ministro dell’Economia prova a rilasciare dichiarazioni da ministro dell’Economia alzano la voce per farlo rientrare nei ranghi.