Dalla Commissione Ue 120 milioni di euro per gli agricoltori colpiti da eventi meteo estremi
In attesa di poter stimare con precisione i danni (agricoli e non) dovuti all’impatto del ciclone Boris che nei giorni scorsi ha scatenato alluvioni su mezza Europa, Emilia-Romagna compresa, la Commissione Ue ha avanzato oggi una proposta di sostegno per gli agricoltori colpiti dagli eventi meteo estremi tra primavera e inizio estate.
Si tratta di fondi totali per 119,7 mln di euro provenienti dalla cosiddetta riserva agricola della Pac, così suddivisi: 37,4 milioni di euro all'Italia, 10,9 milioni di euro alla Bulgaria, 46,5 milioni di euro alla Germania, 3,3 milioni di euro all'Estonia e 21,6 milioni di euro alla Romania, da potersi integrare fino al 200% coi rispettivi fondi nazionali.
«I nostri agricoltori non sono soli nella lotta contro i cambiamenti climatici, ma possono contare sul sostegno della Commissione europea per reagire alle crisi, adattarsi alle nuove sfide e proteggere il futuro delle loro aziende agricole e delle loro famiglie», commenta il commissario Ue all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski.
Si tratta comunque di risorse che potranno coprire solo una piccola frazione dei danni effettivi causati dagli eventi meteo estremi, in un copione che si ripete sempre più frequentemente. Per dare una dimensione dei fenomeni in gioco, basti osservare che durante il passaggio del ciclone Boris sull’Emilia Romagna, in appena 48 ore sono stati oltre 350 i millimetri di pioggia rovesciati a terra.
«Non possiamo però ostinarci a definire questi eventi eccezionali – commenta nel merito il presidente del Consorzio di Bonifica Toscana Nord, Ismaele Ridolfi – Per l’Emilia-Romagna è la terza alluvione in poco più di un anno. Quanto accaduto ci obbliga a riflettere sul nostro ruolo come causa dei cambiamenti climatici, nell’emergenza in atto ormai da diversi anni, e su quelli che sono i nostri obblighi istituzionali e civili per adattarci e invertire la situazione, nei limiti del possibile. Non bastano impegni formali: servono azioni concrete da mettere in atto a tutti i livelli. Non è infatti possibile che mentre accade tutto questo il Governo voglia mettere in discussione le politiche ambientali dell'Europa definendole ideologiche. Ideologia, piuttosto, è quella che nega i cambiamenti climatici».
Che fare dunque? I pilastri d’azione sono due. Il primo impone di ridurre rapidamente le emissioni di gas serra legate all’impiego di combustibili fossili, che una volta bruciati emettono quei gas serra – in primis la CO2 – che determinano l’aumento della temperatura atmosferica e il conseguente incremento di fenomeni meteo estremi. Il secondo consiste nell’investire sull’adattamento dei territori, a partire dall’invertire il trend relativo al consumo di suolo.
«Prendiamo coscienza – conclude Ridolfi – di trovarci in un territorio ferito e malato, dove scelte urbanistiche e colate di cemento hanno sottratto lo spazio ai fiumi, ristretto e tombato torrenti e corsi d’acqua. Dobbiamo dire basta. Non un metro quadrato in più di territorio deve essere cementificato perché ne abbiamo consumato già troppo, come dimostra anche il più recente rapporto annuale diffuso da Ispra e dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente: in Italia circa 2,25 metri quadrati di suolo vengono consumati ogni secondo. Bisogna recuperare aree verdi, restituire gli spazi ai corsi d’acqua. Per farlo servono risorse, tante, e un indirizzo chiaro da parte delle istituzioni. Una rivoluzione culturale, strategica e politica che abbracci e coinvolga i cittadini stessi che sono un anello importante nella gestione del rischio idraulico e in ogni piano di protezione civile. Tutti quanti abbiamo poi il compito di combattere l’emergenza climatica: dobbiamo mettere a dimora migliaia di alberi e, soprattutto, smettere di produrre CO2. Ognuno, nel suo piccolo, è artefice del cambiamento: la cura del territorio è l’unica sicurezza possibile».