La crisi climatica sta estinguendo i ghiacciai alpini. Greenpeace: «Perso il 30% in 30 anni»
L’Europa è il continente che si sta riscaldando più velocemente al mondo a causa della crisi climatica in corso, che qui corre il doppio rispetto alla media globale, e che – in base agli ultimi dati Copernicus – ha portato allo scioglimento del 10% del volume residuo dei ghiacciai alpini solo nel periodo 2022-23.
Una dinamica in forte accelerazione, come documenta oggi la nuova spedizione condotta da Greenpeace, Comitato glaciologico italiano e Università degli Studi di Milano sul Ghiacciaio del Lys, in Valle d’Aosta.
Tale ghiacciaio dai primi dell’Ottocento a oggi ha perso quasi 2 km di lunghezza e presenta ormai tre-quattro corpi glaciali disconnessi. Una sorte comune agli altri ghiacciai alpini che si stima abbiano perso «circa il 30% della loro superficie negli ultimi 30 anni», come evidenziano da Greenpeace. Una perdita non solo per gli ecosistemi montani, ma anche per le comunità a valle.
«I dati storici disponibili ci dicono che tra la metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento i ghiacciai italiani erano all’incirca un migliaio, con una superficie complessiva di 650 km²; oggi ne contiamo molti meno poiché molti si sono estinti, e i rimanenti occupano solamente una superficie di 370 km²: una perdita di quasi il 50% – osserva Luigi Perotti, segretario del Comitato glaciologico italiano – L’innalzamento delle temperature e la fusione dei ghiacciai, accelerati negli ultimi 30 anni principalmente a causa delle attività umane, stanno avendo e avranno ancor più in futuro grandi ripercussioni sulla disponibilità della risorsa idrica e sulla sua stagionalità».
Nei prossimi mesi, il nuovo progetto “Fino all’ultima goccia” promosso da Greenpeace Italia continuerà a denunciare le cause e gli effetti della crisi climatica e della carenza idrica, attraverso una serie di ulteriori monitoraggi e di collaborazioni con la comunità scientifica, per contribuire a preservare la nostra acqua su un pianeta sempre più caldo.
«I ghiacciai, come quello del Lys, sono sentinelle del cambiamento climatico, conservano le tracce del nostro passato e sono importanti riserve d’acqua. Per questo – spiega Simona Savini di Greenpeace – occorre studiarli e proteggerli dagli impatti dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento urbano, da agricoltura intensiva e da produzioni industriali, che riesce ad arrivare fino a quote così elevate. Con il nostro progetto “Fino all’ultima goccia” vogliamo chiedere impegni concreti a governi e aziende, per ripensare il nostro modello produttivo e ridurre le emissioni climalteranti e l’inquinamento. Proteggendo i ghiacciai, proteggiamo anche la nostra acqua e con essa il nostro futuro».
Non a caso, durante la spedizione sono stati anche prelevati campioni dalle acque di fusione del Lys, per analizzare la presenza di possibili residui di Pfas (sostanze poli- e per-fluoroalchiliche) e di fitofarmaci, per indagare come l’inquinamento e l’agricoltura intensiva possano avere impatti persino in alta quota. Un inquinamento che si diffonde anche attraverso le precipitazioni, nelle quali la presenza di nitrati, provenienti principalmente dal traffico veicolare e dall’uso di fertilizzanti in pianura, viene monitorata presso l’Istituto scientifico Angelo Mosso, in collaborazione con il Cnr Irsa, come illustrato dal professor Michele Freppaz durante la spedizione.
«Cambiamento climatico e riscaldamento globale stanno accelerando la fusione glaciale, rilasciando non solo acque di fusione, ma anche contaminanti ambientali rimasti intrappolati nei ghiacci a volte per decenni – conclude nel merito Marco Parolini, del Dipartimento di scienze e politiche Ambientali dell’Università di Milano – Sono molecole “storiche”, come il Ddt ormai vietato e altri fitofarmaci utilizzati in agricoltura, o emergenti come i composti perfluoroalchilici (Pfas), estremamente reattive e potenzialmente pericolose per la salute degli organismi che popolano gli ecosistemi montani e vallivi: per questo è molto importante indagarne e monitorarne la presenza».