Sicilia, dighe vuote e metà cittadinanza già senz’acqua: così l’isola sarà a secco entro gennaio
In Sicilia si contano ormai oltre due milioni di persone – quasi la metà dell’intera popolazione isolana – che patiscono ogni giorno gli effetti della siccità, fin dentro le proprie case. Lo stato di calamità naturale è stato dichiarato ormai a febbraio, quello d’emergenza nazionale a maggio (con la richiesta della Regione al Governo Meloni di 590 mln di euro, mai arrivati), ma la situazione continua a peggiorare, nonostante l’istituzione di Struttura tecnica per il coordinamento degli interventi sulla crisi idrica nella Regione Siciliana lo scorso agosto.
Nonostante le proteste della cittadinanza siano ancora assai contenute, in alcuni Comuni l’acqua esce dai rubinetti una volta alla settimana, e non si vede una svolta all’orizzonte. Non solo piove poco e male – la crisi climatica, dovuta all’impiego di combustibili fossili come gas e petrolio, ha reso il 50% più probabile la siccità in corso – ma gli invasi presenti sull’isola rimangono inadeguati a stoccare l’acqua necessaria.
Come informa l’ultimo Osservatorio Anbi sulle risorse idriche, elaborato dall’associazione che riunisce i Consorzi nazionali di bonifica, in Sicilia nonostante alcuni fenomeni piovosi localmente anche intensi, gli invasi sono ormai vuoti: le ultime rilevazioni pubblicate parlano di un volume residuo, negli invasi dell'isola, pari a circa 187 milioni di metri cubi. Ma di questi solo poco più di 60 sono utilizzabili. Delle 29 dighe siciliane, 9 sono vuote, 10 hanno meno di 1 milione di metri cubi utilizzabili e 7 meno di 5 milioni. L'Autorità di bacino ha previsto che, salvo piogge straordinarie, tra novembre e gennaio le riserve idriche si esauriranno completamente.
«La situazione siciliana è atavica e complessa – dichiara il presidente Anbi, Francesco Vincenzi – la gran parte degli invasi sono a riempimento pluriennale e quindi abbisognano di piogge diffuse; inoltre necessitano di manutenzione straordinaria per essere riportati alla capacità originale e vanno completati gli schemi idrici per distribuire la risorsa idrica alle campagne».
Eppure il Servizio informativo agrometeorologico siciliano (Sias) documenta che la media regionale della precipitazione totale a settembre risulta pari a 60 mm, vicina alla norma del periodo 2003-2022. Ma le piogge settembrine hanno portato localmente beneficio ai suoli e alla vegetazione naturale, senza tuttavia permettere in genere un aumento significativo dei deflussi nel reticolo idrografico e verso i corpi idrici sotterranei, tranne isolati casi nelle aree interessate dagli eventi più significativi.
Restano importanti aree agricole dove l’apporto di piogge è stato insufficiente non solo a recuperare un deficit che appare incolmabile, ma anche ad ottenere un beneficio di breve periodo. Basti pensare che la stazione SIAS Paternò ha ad esempio accumulato solo 200 mm negli ultimi 12 mesi, contro una norma di 537 mm, vale a dire con un deficit di oltre il 60%. La precipitazione media regionale degli ultimi 12 mesi ha registrato un’ulteriore lieve ripresa, portandosi a 460 mm, continuano a mancare quindi all’appello mediamente quasi 300 mm rispetto alla norma, quasi il 40% di quanto atteso rispetto alla media del periodo 2003-2022.
A peggiorare la situazione, ha piovuto soprattutto dove non sono presenti invasi: a settembre si sono registrati anche nubifragi sulle fasce costiere mentre sono stati pochi i fenomeni significativi nelle aree interne tra cui le aree sottese agli invasi, affetti da grave scarsità di riserve idriche.
«La precipitazione media regionale degli ultimi 12 mesi ha registrato un’ulteriore lieve ripresa – informa Luigi Pasotti della Sias – portandosi a 460 mm, continuano a mancare quindi all’appello mediamente quasi 300 mm rispetto alla norma, quasi il 40% di quanto atteso rispetto alla media del periodo 2003-2022».
Che fare? «Di fronte alla fotografia idrica dell'Italia, sempre più condizionata dall'imprevedibilità meteorologica, è urgente – spiega il dg dell’Anbi, Massimo Gargano – l'avvio di una strategia che al centro-sud privilegi l'efficientamento ed il completamento delle opere esistenti, mentre al nord punti prioritariamente alla realizzazione di nuove infrastrutture idrauliche multifunzionali, capaci di abbinare e funzioni di prevenzione idrogeologica e riserva idrica. I nostri Piani, composti perlopiù da interventi già cantierabili, sono pronti ed al servizio del Paese».
Basti osservare, ad esempio, che il fabbisogno annuo di acqua indicato dalla Regione per l’intera Sicilia ammonta a 1,75 mld di mc l’anno, e sull’isola sono piovuti nel 2023 circa 15,2 mld di mc d’acqua; oltre la metà è indisponibile in partenza perché soggetta a evapotraspirazione, e molta altra ne occorre per soddisfare i fabbisogni ecosistemici, ma ne resterebbe in abbondanza per soddisfare anche quelli antropici, se la Sicilia si dotasse delle infrastrutture idriche necessarie (da quelle basate sulla natura, come le città spugna, agli invasi) e rattoppasse gli acquedotti colabrodo.
Allargando il quadro dell’analisi a livello nazionale, una prima proposta di Piano nazionale per la sicurezza idrica e idrogeologica per affrontare la doppia minaccia di siccità e alluvioni, c’è già: l’ha elaborata la Fondazione Earth and water agenda – nell’ambito del rapporto Water intelligence promosso proprio da Proger – arrivando a stimare la necessità di investimenti da 17,7 mld di euro l’anno per un decennio, dalle soluzioni basate sulla natura agli invasi, dal servizio idrico integrato agli usi agricoli e industriali dell’oro blu.