[01/04/2011] News

L'accaparramento delle terre e la "villaggizzazione" dei pastori in Etiopia

LIVORNO. Ufficialmente in Etiopia la terra è di proprietà dello Stato, ma contadini e pastori hanno diritti di utilizzo sulle terre che coltivano da sempre. Ora il governo sta mettendo in atto una politica di locazione delle terre a grande scala (3 milioni di ettari entro il 2015) con l'intento ufficiale di attrarre investimenti stranieri per milioni di dollari, che dovrebbero permettere di creare posti di lavoro e di migliorare le conoscenze nazionali in campo agricolo, riducendo così sia la povertà che l'insicurezza alimentare cronica del Paese, che spesso sfocia in "epidemie" di fame.

Tutto questo, che fa parte di un Piano quinquennale di crescita e trasformazione, ha già portato alla concessione a basso prezzo ad imprese straniere di migliaia di km2 di terre che il governo centrale di Addis Abeba considera sfruttate insufficientemente o incolte. Si tratta di un piano e di una politica accusati di favorire semplicemente l'accaparramento delle terre delle comunità e che hanno già provocato lo spostamento forzato di popolazioni di pastori.

Inoltre i nuovi padroni stranieri pagano gli etiopi con salari da fame, in molti casi c'è un evidente degrado dell'ambiente e le promesse di migliorare le infrastrutture o realizzarne di nuove non vengono praticamente mai mantenute.

Critiche che infastidiscono molto lo sbrigativo ed autoritario governo centrale. In una recente conferenza stampa il ministro dell'agricoltura dell'Etiopia, Tefera Deribew, ha detto : «So che è una questione delicata e molto controversa a livello mondiale. Ma per quel che riguarda l'Etiopia, noi non la vediamo come una minaccia, perché è la piccola agricoltura che è il motore dello sviluppo agricolo nel nostro Paese. Noi vogliamo estendere le grandi gestioni agricole in delle zone dove disponiamo di abbondanti quantità di terre arabili, senza colpire i contadini che ci vivono. Questa scelta permetterà innegabilmente di sostenere lo sviluppo della piccola agricoltura locale».

La linea era già stata dettata dal primo ministro etiope Meles Zenawi: «La politica del governo dell'Etiopia riguardo allo sviluppo dei terreni agricoli è sempre stata basata sul livello dei piccoli agricoltori. Ma la strategia include anche la possibilità che il settore privato svolga un ruolo supplementare ma fondamentale».

In Etiopia 2,8 milioni di persone quest'anno avranno bisogno di assistenza alimentare proveniente dall'estero e Essayas Kebede, responsabile per gli investimenti del ministero dell'agricoltura etiope, ha spiegato all'agenzia stampa umanitaria dell'Onu, Irin : «Speriamo che le grandi coltivazioni commerciali intensive risolveranno la penuria alimentare in Etiopia». Uno degli accordi più sbandierati, le grandi risaie di un investitore, lo sceicco saudita Mohammed al-Amudi, prevede che il 40% della produzione dovrà essere venduto sul mercato etiope. Ma c'è un problema non da poco: il riso ed altre piante che verranno coltivate nelle grandi fattorie degli stranieri sono tradizionalmente poco consumati in Etiopia. Quello che si annuncia è quindi un radicale cambiamento di utilizzo delle terre fertili e dei consumi alimentari.

Il governo e gli investitori stranieri rispondono che la ricollocazione di migliaia di persone delle zone rurali non ha niente a che vedere con la locazione delle terre, ma che fa parte di un altro progetto, distinto e su base volontaria, chiamato "Villaggizazione" che punterebbe a migliorare l'accesso ai servizi essenziali delle comunità rurali isolate. «Non abbiamo espulso gli allevatori dalle loro terre e non gli abbiamo impedito di accedere al fiume. L'espulsione non è la nostra intenzione. Noi vorremmo assumere più personale possibile nelle nostre fattorie e vorremmo essere competitivi sul mercato mondiale», ha detto all'Irin Birinder Singh, direttore marketing e logistica di Karuturi Agro Products, una società indiana che ha avuto in concessione 100.000 ettari a Gambella, une regione dell'Etiopia occidentale con una scarsa densità di popolazione, dove diverse imprese, in maggioranza straniere, stanno investendo in grandi progetti agricoli.

Ma le cose non stanno proprio così, almeno a sentire cosa dice all'Irin Ujulu, che prima viveva con i suoi 7 figli sui pascoli del fiume Baro a Gambella, in un'area oggi occupata e sfruttata dalla Karuturi, che è stato ricollocato in un nuovo villaggio, a diverse ore di cammino dai pascoli: «Non ci hanno detto che le nostre terre sarebbero state date a degli investitori stranieri. Tutto quel che so, è che il governo ci ha promesso delle nuove scuole per i nostri bambini, dei centri sanitari e dell'acqua potabile se noi rientriamo nel programma di villaggizzazione. E' per questo che tre mesi fa sono venuto in questo villaggio».

Il capo del nuovo villaggio, un fuzionario del governo locale, spiega che il centro sanitario è davvero in costruzione ed assicura  «Vogliamo migliorare la sicurezza alimentare degli allevatori. Nessuno è venuto in questo villaggio con la forza o ci è stato sfollato a causa degli investimenti».

Irin racconta un'altra storia, quella del villaggio di Kami, nello Stato etiope dell'Oromia, che è vicino ad una fattoria della Karuturi, dove i contadini accusano impresa e governo centrale : «La nostra terra ci è stata presa in maniera illegale. Anche se non era utilizzata per bisogni agricoli, era il pascolo per i nostri greggi. Attualmente, non ci resta che molta poca terra per far pascolare i nostri animali. Non sappiamo cosa ci succederà in futuro».

Secondo chi si oppone all'affito/accaparramento delle terre, la cosa violerebbe i diritti degli allevatori contenuti nella Costituzione dell'Etipia che all'articolo 40/5 recita : «I pastori etiopi hanno diritto ad una terra gratuita per il pascolo e l'agricoltura acosì come al diritto di non essere espulsi dalle loro terre». Ma nelle aree date in concessione alle grandi imprese straniere vivono comunità di pastori nomadi la cui sopravvivenza dipende dalla terra, dall'acqua e dai pascoli. Popolazioni che utilizzano percorsi ancestrali per spostarsi da un luogo all'altro ed i servizi come l'acqua potabile, le scuole e la sanità, che il governo assicura arriveranno insieme agli stranieri, dovrebbero essere posti lungo questi itinerari, altrimenti questo creerà non solo uno choc culturale ma anche conflitti, degrado dei suoli e impoverimento delle risorse.

Uno degli abitanti dei nuovi villaggi ha detto all'Irin «Siamo degli allevatori nomadi. Come possiamo restare qui più di 3 o 4 mesi? Karuturi e il governo ci avevano promesso che avremmo avuto posti di lavoro migliori, migliori condizioni di vita, ma fino ad adesso non hanno fatto nient'altro che prenderci le nostre terre e ridurci in una profonda povertà. La mia comunità non detesta le imprese straniere che sono qui. Ma vogliamo che rispondano ai nostri problemi perchè ci hanno preso le nostre terre e non hanno mantenuto le loro promesse. Ci pagano molto poco, 12 birr (0,73 dollari) al giorno. Quando Karuturi Farms ha preso le nostre terre ci avevano promesso tra 25 e 30 birr (da 1,5 a 1,80 dollari) al giorno. Non ci pagano quello che era stato stabilito che ci pagassero. Siamo ingannati dal notro governo o da Karaturi, o da tutti e due».

La Karuturi afferma che gli indecenti salari da fame pagati agli etiopi sono in linea con le norme nazionali e Esayas Kebede, respinge ogni accusa per la mancata vigilanza e regolamentazione degli accordi fondiari con gli stranieri : «Non ci accontentiamo di cedere le terre agli investitori. Abbiamo condotto degli studi appropriati e anche l'impresa ha fatto uno studio di impatto ambientale. Tali accuse sono dunque molto lontane dalla verità».

Non sembrerebbe proprio così ed i conflitti tra pastori di diverse etnie e le imprese straniere sembrano destinati ad esplodere, visto che gli allevatori nomadi dicono che le grandi fattorie si sono accaparrate i pascoli migliori e che la loro tecnica tradizionale, quella di bruciare erba e cespugli senza attaccare la foresta, è ben diversa da quello che stanno facendo le grandi imprese agricole straniere, che bruciano le foreste per ingrandirsi ogni giorno di più. Ilea, uno dei pastori "villaggizzati" accusa: «Il governo ci ha detto che dobbiamo proteggere le foreste e gli alberi, perchè ci danno la pioggia. E intanto gli indiani bruciano e devastano la foresta con i bulldozer in pieno giorno». Esayas Kebede minimizza: «Solo una piccola parte della foresta è bruciata Ci potrebbero anche essere degli investitori che abbattono delle foreste. Li perseguiremo e prenderemo le misure adeguate. Già in passato abbiamo preso delle misure contro degli investitori che, in una maniera o nell'altra, hanno degradato l'ambiente».

L'impressione è un'altra: i poveri pastori sono diventati miserabili "villaggizzati" senza terra e le grandi imprese dell'agricoltura globalizzata stanno cambianto il volto sociale, economico e ambientale di vastissime aree dell'Etiopia, appoggiate da un governo che favorisce e sollecita l'accaparramento e permette lo sfruttamento inumano dei suoi cittadini, mentre dovrebbe difendere la terra che dichiara bene pubblico ed i diritti degli etiopi più indifesi e vulnerabili di fronte ad una globalizzazione per loro incomprensibile.

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