[25/11/2011] News

Verso Durban, č cosė difficile capire il legame tra la salute del pianeta e la salute di chi ci vive?

Ci stiamo rapidamente avvicinando alla 17° Conferenza delle Parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici che avrà luogo a Durban, in Sud Africa, dal 28 novembre al 9 dicembre. Purtroppo non sembra proprio che la comunità internazionale stia finalmente convergendo su un significativo impegno di riduzione dei gas serra che modificano la composizione chimica dell'atmosfera e incrementano il riscaldamento globale.

E questo nonostante il fatto che sono numerosi e ripetuti i richiami all'azione urgente che provengono dal mondo scientifico. La cruda verità è che non possiamo più aspettare. Perdere tempo adesso, temporeggiare, dilazionare, rimandare, vuol dire solo rendere tutto, dopo, maledettamente più difficile da risolvere.

L'idea che si chiuda nel 2012 l'orizzonte temporale indicato dal protocollo di Kyoto e si resti dunque senza un nuovo Protocollo che sancisca una seria regolamentazione internazionale per ridurre le emissioni di gas serra, è veramente insensato e folle e la dice lunga sulle profonde difficoltà culturali che ancora abbiamo nel collegare la salute dei sistemi naturali del pianeta con la nostra salute, il nostro benessere e le nostre economie. Così come la dice lunga sullo straordinario potere delle lobby che desiderano il mantenimento dello status quo che ancora interferiscono pesantemente sui negoziati.

Tra il settembre del 2013 e l'ottobre del 2014 l'IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) rilascerà il quinto rapporto che sarà costituito da tre volumi e un Summary for policy makers e che farà nuovamente il punto sulle migliori conoscenze scientifiche in materia, sullo stato delle tecnologie e delle politiche a favore del clima e sugli scenari possibili per il futuro.

Nel frattempo, prima di Durban, il Programma Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) ha rilasciato il suo rapporto "Bridging the Emissions Gap" (aggiornando ed  ampliando quello che aveva prodotto nel novembre dello scorso anno  http://www.unep.org/publications/ebooks/bridgingemissionsgap/Portals/24152/UNEP_bridging_gap.pdf ).

Il rapporto, a conferma di quanto ripetutamente detto e scritto dai più grandi climatologi internazionali, mostra chiaramente che se non si intraprendono ora delle azioni decisive, il mondo si avvia verso cambiamenti climatici molto pericolosi.  Nonostante tutto anche l'UNEP conferma un messaggio positivo. Possiamo ancora farcela, se ci impegniamo subito per fermare la deforestazione e creare un futuro basato su efficienza energetica e fonti rinnovabili. Il gap infatti, come ben sappiamo, non né tecnico, né economico: purtroppo è una mancanza di volontà politica e di leadership.

Nessuno si aspetta che i governi riescano a colmare completamente il gap a Durban.  Ma i negoziatori devono almeno evitare che il gap venga incrementato a causa di norme deboli e scappatoie sul metodo di calcolo delle riduzioni delle emissioni di carbonio.

Stando al rapporto dell'UNEP, per avere una possibilità verosimile di mantenere l'aumento del riscaldamento globale sotto i 2°C rispetto all'era preindustriale, entro il 2020 le emissioni globali devono essere ridotte a 44 miliardi di tonnellate di anidride carbonica equivalente, ben al di sotto dei livelli correnti. Le emissioni antropogeniche totali sono state al 2009 di quasi 50 miliardi di tonnellate di anidride crabonica equivalente (per l'esattezza di 49.5). Il rapporto fa presente che anche se gli impegni attuali più ambiziosi dei Governi fossero pienamente realizzati, le emissioni supererebbero il limite di 44 miliardi sopra citato di ben 6 miliardi di tonnellate, un valore quasi equivalente alle emissioni annuali degli Stati Uniti. E in pratica il gap potrebbe essere ben superiore, fino a 11 miliardi di tonnellate, a causa di impegni deboli e gravi lacune e scappatoie nei target di riduzione dei Paesi industrializzati.

Nonostante tutto questo l'UNEP conferma che possiamo arrivare a colmare il gap entro il 2020 e mantenere i livelli di riscaldamento globale tra 1,5 e 2° C di incremento rispetto alla temperatura media della superficie terrestre in epoca preindustriale, puntando sull'efficienza energetica, promuovendo le energie rinnovabili, riducendo la deforestazione e migliorando le pratiche agricole; un aiuto importante può arrivare dalla riduzione delle emissioni da parte del trasporto marittimo e aereo internazionale, attualmente non regolamentate e che dovrebbero entrare nelle trattative negoziali.

Tutti i Paesi possono e devono fare di più per ridurre quello che viene definito il "Gigatonne gap" (il gap del miliardo di tonnellate), vale a dire ridurre le emissioni ai livelli che ci consentiranno di evitare gli effetti peggiori. E' evidente che è necessario rafforzare la credibilità delle azioni dei Paesi sviluppati, eliminando le scappatoie nel conteggio delle emissioni e portando gli obiettivi ai livelli necessari per affrontare il cambiamento climatico secondo le indicazioni che provengono dalla comunità scientifica. L'Unione Europea, per esempio, deve accettare che il proprio impegno di ridurre le emissioni di appena il 20% entro il 2020 è troppo debole e purtroppo aumenterebbe il gap, mentre gli Stati Uniti, che non hanno ancora un piano credibile per raggiungere il loro pur debole obiettivo di riduzione delle emissioni, devono al più presto adottare un piano concreto più impegnativo.

Secondo il WWF, i governi riuniti a Durban possono fare importanti passi avanti per iniziare a colmare il "gigatonne gap":

Uno dei sistemi migliori per valutare l'impatto dei diversi gas che provocano l'incremento dell'effetto serra naturale è considerare i loro forcing radiativi (i forzanti radiativi), la misura cioè con cui un gas altera l'equilibrio del flusso di scambio dell'energia nell'atmosfera (viene calcolato in Watt per metro quadro, cioè quanta energia raggiunge la superficie della Terra dal Sole per ogni metro quadro).

Si tratta quindi di misurare l'influenza che un fattore naturale o antropogenico esercita nell'alterare il bilancio di energia in entrata e in uscita nel sistema terra-atmosfera ed è, quindi, un indice dell'importanza del fattore stesso come un potenziale meccanismo di cambiamento climatico. I forzanti positivi tendono a riscaldare la superficie mentre quelli negativi tendono a raffreddarla.

Nel 2007, il quarto ed ultimo rapporto dell ‘IPCC, raccogliendo le migliori conoscenze in merito, si esprime così sul tema dei forzanti radiativi nel Summary for Policy Makers :" La comprensione dell'influenza antropogenica nel riscaldamento e nel raffreddamento del clima è migliorata rispetto al terzo rapporto IPCC, portando alla conclusione, con confidenza molto elevata ("very high confidence"), che l'effetto globale medio netto delle attività umane dal 1750 sia stato una causa di riscaldamento, con un forzante radiativo di +1.6 [da +0.6 a +2.4] W per metro quadro.

 Il forzante radiativo combinato dovuto agli aumenti di anidride carbonica, metano e protossido di azoto è di +2.30 [da +2.07 a +2.53] W per mq, ed il suo tasso di crescita durante l'era industriale molto probabilmente non ha avuto precedenti in più di 10000 anni . Il forzante radiativo dell'anidride carbonica è cresciuto del 20% dal 1995 al 2005, il cambiamento maggiore di qualsiasi decennio almeno negli ultimi 200 anni. I contributi antropogenici agli aerosol (solfati, carbonio organico, nero fumo, nitrati e polveri) insieme producono un effetto di raffreddamento, con un forzante radiativo diretto totale di -0.5 [da -0.9 a -0.1] W per mq ed un forzante indiretto dovuto all'albedo (alla loro capacità riflettente) delle nuvole di -0.7 [da -1.8 a -0.3] W per mq.

Questi forzanti attualmente sono meglio compresi rispetto al terzo rapporto IPCC, grazie a miglioramenti nelle misurazioni in situ, da satellite e da terra e anche grazie ad una modellistica più completa, ma rimangono ancora l'elemento dominante l'incertezza del forzante radiativo. Gli aerosol influenzano anche il tempo di vita delle nubi e le precipitazioni. 

Contributi antropogenici significativi al forzante radiativo provengono anche da diverse altre sorgenti. I cambiamenti dell'ozono troposferico dovuti alle emissioni di composti chimici ozono-formanti (ossidi di azoto, monossido di carbonio e idrocarburi) forniscono un contributo pari a +0.35 [da +0.25 a +0.65] Wmq. Il forzante radiativo diretto prodotto dai cambiamenti degli alocarburi8 è di +0.34 [da +0.31 a +0.37] Wmq. I cambiamenti dell'albedo della superficie, dovuti ai cambiamenti della copertura del suolo ed ai depositi di fuliggine sulla neve, esercitano un forzante pari a rispettivamente -0.2 [da -0.4 a 0.0] e +0.1 [da 0.0 a +0.2] W per mq. Si stima che i cambiamenti dell'irradianza solare dal 1750 producano un forzante radiativo pari a +0.12 [da +0.06 a +0.30] W per mq, meno della metà della stima riportata nel terzo rapporto IPCC."

Nel 2005, prima della pubblicazione del quarto rapporto IPCC del 2007, così scriveva Paul Crutzen nel suo libro "Benvenuti nell'Antropocene !" (Mondadori, 2005) relativamente al forzante radiativo : "Secondo i miei calcoli basati sui dati IPCC, esso è attualmente compreso tra i 2,4 e i 3,0 watt per metro quadro. In futuro, aumenterà in proporzione alla concentrazione dei gas serra. Ma in questo bilancio energetico mancano ancora gli aerosol che tendono a raffreddare il pianeta e partecipano al forcing con un contributo negativo, opposto a quello dei gas serra. Una volta incluso, il forcing netto è di circa 1,5 watt per metro. Non sono l'unico a ottenere questo risultato, ma con me i miei colleghi ammettono che si tratta di calcoli ancora molto approssimativi. È poca cosa, 1,5 watt per ogni metro quadro. Corrisponde approssimativamente al consumo di uno dei tanti apparecchi che teniamo in stand-by. Poca cosa, eppure la sua azione costante negli anni scioglie i ghiacciai, riscalda la superficie terrestre e l'atmosfera che la circonda".

Autorevoli ricerche scientifiche sul ruolo del forcing radiativo sono condotte da anni dal grande climatologo James Hansen, direttore del Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA con diversi altri climatologi e dimostrano chiaramente che la Terra ormai a causa dell'attività antropogenica, come riassunto dall'IPCC; assorbe più energia dal Sole di quanto riesca a reimmetterne nello spazio, modificando quindi l'intero sistema energetico del clima e incrementando quindi i fenomeni meteorologici estremi.

Sul sito della rivista "Atmospheric Chemistry and Physics Discussions" è in pubblicazione aperto ai commenti scientifici ( vedasi http://www.atmos-chem-phys-discuss.net/11/27031/2011/acpd-11-27031-2011.html) l'ultimo lavoro di Hansen con i colleghi Sato, Kharecha e von Schuckmann dal titolo "Earth's energy imbalance and implications" che fa proprio il punto sulle conoscenze sin qui acquisite sul tema.

Avremo modo di parlarne nei prossimi articoli della rubrica.

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