[20/04/2011] News

I limiti della finanza

In un recente articolo proposto tra le pagine de "Lavoce.info", dal titolo Se la finanza supera il limite, gli autori hanno modo di presentare i risultati di un loro recente studio, inerente al problema dell'esponenziale finanziarizzazione dell'economia. Partendo dall'assunto che un sistema finanziario ben funzionante è un preludio necessario per favorire la crescita economica di lungo periodo (tesi sostenuta dalla maggior parte degli economisti), è un dato di fatto come l'attuale strapotere dei mercati finanziari stia portando ad una accentuata volatilità dei prezzi di beni e commodity, ormai slegati dalla concretezza dell'economia reale e figli delle proiezioni e delle aspettative degli speculatori che operano nel trading finanziario. L'importanza dei profitti, un tempo prevalente, è stata scalzata dalla comodità delle rendite.

Gli autori, nel tentativo di segnare una soglia di demarcazione che individui fin dove la finanza può spingersi, sostenendo al contempo la crescita economica, hanno individuato un limite al 110% del Pil: quando i prestiti al settore privato oltrepassano tale limite, il sistema finanziario deve mordere il freno per non provocare ricadute negative sulla crescita. Questa utile conclusione porta alla rassicurante osservazione per cui anche l'economia nel senso più classico del termine riconosce gli sbagli fatti, indicando come standard di credito più restrittivi possano giovare anche alla crescita economica tout-court, e una più rigida regolamentazione del settore finanziario sia diventata una necessità improrogabile, in barba alla propaganda degli istituti a difesa delle lobbies dell'alta finanza.

Certo è che un'analisi cogente della questione non dovrebbe porre al centro gli effetti della finanziarizzazione sulla crescita economica, o almeno non solo su quella, ma dovrebbe concentrarsi sul concetto, ben più ampio, di sviluppo, che non vuol portare alla mera possibilità di possedere portafogli sempre più gonfi, ma a quella di sperimentare una qualità della vita complessivamente più elevata, svincolata da metri di paragone puramente quantitativi.

Ci sarebbe da considerare se una stima al 110% del Pil non sia un verdetto ancora troppo morbido per la finanza: se il prestito da ripagare supera le possibilità di produzione di un Paese del 10%, la rincorsa all'accumulo di liquidità da versare per ripagare i creditori potrebbe dunque rimanere affannosa, e la logica del debito prevarrebbe, a tutto interesse dell'archetipo del cittadino-consumatore. Lo stesso indice del Pil dovrà invece perdere progressivamente di rilevanza, pur senza disconoscerne la validità circoscritta ad alcune valutazioni, per passare ad indici più adeguati per una valutazione complessiva della sostenibilità economica, nonché sociale ed ecologica dell'intero sistema.

A prescindere dai numeri, quel che è certo è che c'è l'impellenza etica di costringere la finanza a mollare le redini del potere di cui si è impadronita, spodestando il potere politico sull'onda della globalizzazione. Le democrazie devono tornare ad esprimere la volontà dei cittadini che rappresentano, e dev'essere proprio questa volontà ad avere l'ultima parola sulla scelta delle mosse da compiere sulla scacchiera, e non altri interessi, più o meno leciti o nascosti, di minoranze di plutocrati.

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