[12/04/2011] News toscana

Il Piano regionale di sviluppo è debole sul clima e sulla politica industriale

FIRENZE. La settimana scorsa si è conclusa la concertazione sul Piano Regionale di Sviluppo 2011-2015.
All'avvio dell' attuale legislatura regionale il presidente eletto Enrico Rossi disse, in un messaggio alla società toscana sui temi del lavoro, dell'economia, del welfare e del governo del territorio, che il suo mandato si sarebbe caratterizzato all'insegna della "discontinuità" con le legislature precedenti. E' quindi questa la chiave di lettura migliore per valutare il lavoro di concertazione fatto sul PRS.

Intanto si può rilevare che tra il DPEF (giugno 2010) e quello della finanziaria (novembre 2010, di accompagnamento al Bilancio 2011) che, pur contenendo indirizzi e scelte annuali, individuavano alcune priorità, per trarre la Toscana dalla "stagnazione" in cui si trova da tempo (complici dal 2008 la crisi finanziaria globale e le scelte scellerate del governo nazionale), e i materiali del PRS 2011-2015 c'è una grande distanza. E in questo senso a nostro parere questo PRS si frantuma in troppi rivoli, cancella l'obiettivo della discontinuità.

Infatti nel PRS c'è solo una novità che però si riduce ad un elenco di progetti più o meno compiuti (i PIS i cui titoli e obiettivi difficilmente sono non condivisibili in quanto generici) che potranno servire per concorrere ai finanziamenti UE ma che richiederanno, a quel momento, una più precisa definizione e stringente discussione. E di questo non c'è certezza, rimane una forte ambiguità sul fatto che i PIS siano oggetto solo di discussioni bilaterali e tra lobby.

Di fronte alla crisi e ai tagli del governo (senza crescita e qualità) affermare la discontinuità per la Toscana avrebbe voluto dire, crediamo, concentrare e non disperdere le risorse disponibili e i progetti (PIS), in tre direzioni soltanto: lavoro (e conoscenza), istruzione (conoscenza e ricerca), cambiamenti climatici (territorio-politica industriale ed energetica).

E invece sono proprio le politiche sul clima e la politica industriale, o almeno indirizzi finalizzati a tale scopo, che si "perdono" nel PRS. E una politica industriale ha senso economico, tanto più a livello di sistema regionale allargato, solo nella misura in cui riesce a posizionare o guidare o favorire i processi di trasformazione dell'accumulazione di capitale e, per questa via, trovare degli equilibri superiori macroeconomici sia nella formazione che nella redistribuzione del reddito.
Per fare cosa?

Affrontare i problemi demografici (invecchiamento della popolazione), del benessere (stock di capitali in servizi), della tecnologia (mezzi per produrre per chi e cosa, con quale lavoro; ad es., le difficoltà dei distretti industriali nella crisi che non si risolvono con il distretto unico toscano) e degli impatti sul territorio.

Superare la frammentazione integrando la tutela dei beni comuni (dal diritto all'acqua allo stop consumo di territorio), con le risorse umane (diritto al lavoro e alla sua qualità, la libertà delle persone nel lavoro, contro lo sfruttamento degli immigrati, la precarizzazione dei giovani e i differenziali diritti/salari a sfavore delle donne), con le risorse energetiche (produrre rinnovabili e utilizzabili localmente escludendo le tecnologie centralistiche/rigide e autoritarie/insicure, l'opposto di un distretto industriale "energetico", di cui mancano i presupposti di conoscenza diffusa e partecipata, quell'humus ambientale becattiniano che non si "crea" concentrando in una provincia 2/3 grandi impianti gas).

Produrre ambiente" attraverso sistemi agricoli e industriali per beni di qualità, duraturi, riciclabili a basso consumo di materia energia (che aiutano a ridefinire e riqualificare anche poli industriali a tecnologie mature, ma necessarie, come la siderurgia a Piombino), sostenuti dalla domanda pubblica aggregata. Cioè crescita sociale ed evoluzione economica che non si misurano col solo PIL.

 

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