[06/04/2011] News

Il cimitero Mediterraneo e l'economia dei morti

LIVORNO. L'ultimo  orribile naufragio, l'ultimo tributo della disperazione umana, i 250 poveri cristi somali ed eritrei, che hanno attraversato l'Africa per giungere nelle braccia crudeli di Gheddafi e nelle sue prigioni blindate con i nostri soldi, che la Libia in guerra ha risputato verso le coste di quella che fu la loro vecchia e crudele comune colonia fascista, sono probabilmente il velo visibile di un'indicibile tragedia della libertà  umana che ha trasformato le acque del piccolo Mediterraneo in uno dei più grandi cimiteri dei  senza nome del mondo.

Un fiume interrotto di cuori e speranze, di disperazione e sogni, di fughe da guerre e persecuzioni, di ritorni sperati, di nostalgie che non ci saranno e di amori affogati nel mare, coperti dalla sabbia infuocata nei deserti, sfiniti nelle camere di tortura e di stupro dalle quali distogliamo lo sguardo.

Bimbi annegati senza vedere il futuro tra le braccia terrorizzate  di madri che cercavano nel mare mai conosciuto e navigato la pace di una vita senza fame e violenza.

Vite e sogni che meriterebbero almeno la pietà di un popolo come il nostro che quelle speranze e quella miseria le  ha conosciute e sognate, morti, sofferenze, naufragi, sporcizia, vessazione, insulti e fame che abbiamo vissuto e che oggi uccidiamo nella nostra memoria collettiva con un osceno razzismo padano senza solidarietà e pietà, in difesa di un benessere conquistato con quelle stesse sofferenze e discriminazioni e mantenuto facendo lavorare gli stessi extracomunitari che riduciamo a numeri, senza nemmeno il diritto ad un nome sulle fosse scavate in fretta nelle spiagge libiche o nelle profondità oscure e glaciali di un Mare sempre più nostrum, ridotto a fortezza non difendibile. La globalizzazione delle merci che produce la frammentazione dei diritti dati in pasto ai pesci.

Niente sembra far più paura ai liberi e democratici occidentali della richiesta di libertà e democrazia che sale dal bacino del Mediterraneo. La democrazia e la libertà sembrano diventati merce per i ricchi e disponibile davvero solo per i più ricchi tra i ricchi. Come se la libertà non fosse desiderio di cambiamento e come se quei barconi non fossero pieni di voglia di cambiamento.

Scrive  John Berger: «La Libertà non costituisce il suo appagamento, ma il riconoscimento della sua supremazia. Oggi l'infinito è acanto ai poveri». Oggi l'infinito e finito in fondo al Mediterraneo.

Quello che fa più pena e schifo è che qualcuno, quelli che hanno chiesto di respingere a cannonate questi poveri cristi, di affondare le barche marce sulle quali li stipano i commercianti di carne umana, oggi godrà contando i negri morti, che qualche nazi-padano invocherà la punizione divina.

Sempre Berger nel 1994 scriveva nelle "Dodici tesi dell'economia dei morti": «Che rapporto hanno i morti con ciò che non è ancora accaduto, con il futuro? Tutto il futuro è la costruzione a cui la loro "immaginazione" partecipa. In che modo i vivi vivono con i morti? Fino a quando il capitalismo non ha reso disumana la società, tutti i vivi attendevano l'esperienza dei morti. Era il loro futuro ultimo. Da soli i vivi erano incompleti. Perciò vivi e morti erano interdipendenti. Sempre. Solo l'egotismo tipico della modernità ha spezzato questa interdipendenza. Con risultati disastrosi per i vivi, che ora pensano ai morti come agli eliminati».

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