[04/04/2011] News

Documento interno di Areva: l'Italia è il punto debole del rinascimento nucleare

Nel mondo crolla il consenso alle nuove centrali

LIVORNO. Mentre Anne Lauvergeon, la zarina della multinazionale nucleare di Stato francese Areva, era in Giappone per «Apportare l'aiuto e l'esperienza di Areva» nella gestione della catastrofe nucleare di Fukushima, il primo aprile Réseau "Sortir du nucléaire" le  ha fatto un brutto scherzo, rendendo pubblico un documento interno in inglese della multinazionale statale nucleare che dirige: "Impact of Fukushima event on nuclear power sector - Preliminary assessment", datato 25 marzo. Secondo i no-nuke francesi «Dimostra che, lontano dal preoccuparsi realmente della sorte dei giapponesi, l'industriale si preoccupa prima di tutto degli eventuali impatti della catastrofe di Fukushima sulla costruzione delle nuove centrali nucleari... e quindi del suo giro d'affari! Lo spostamento di Anne Lauvergeon, parallelo a quello di Nicolas Sarkozy, rivela una strategia di comunicazione da parte del Paese leader sul mercato nucleare mondiale. Si tratta di strumentalizzare la catastrofe di Fukushima per valorizzare le tecnologie nucleari di Areva, sotto la copertura di portare alla Tepco un aiuto per lo meno ipotetico. Réseau Sortir du nucléaire denuncia il cinismo del quale dà prova Areva nel momento stesso in cui la popolazione Giapponese soffre delle conseguenze drammatiche della catastrofe nucleare di Fukushima».

Secondo il documento interno di Areva (redatto prima dell'ultima frana politica dell'atomo tedesco della quale parliamo in un altro articolo, vedi link)  i principali effetti attesi dalla catastrofe di Fukushima sull'industria dell'energia nucleare sono e saranno: «La maggior parte dei Paesi impegnati nel nucleare o in un programma di costruzione hanno avuto delle reazioni piuttosto nazionali in seguito all'evento di Fukushima; L'energia nucleare è necessaria; Non cavalcano l'onda emozionale; Dalla crisi giapponese devono essere tratte delle lezioni; La maggior parte dei Paesi hanno annunciate controlli sulla sicurezza dei loro impianti nucleari esistenti; Per quattordici Paesi europei, questi controlli includeranno dei check-ups; Qualche Paese ha già annunciate che rivedrà gli standard di sicurezza; Solo la Germania ha annunciato subito misure più rigorose riguardo ai suoi impianti  (chiusura temporanea delle sette centrali più vecchie, moratoria di tre mesi sull'allungamento della loro durata di vita); Le nuove costruzioni  - particolarmente quelle con le date di entrata in servizio commerciale più vicine - potranno essere ritardate per tener conto degli standard di sicurezza e delle  procedure di autorizzazione modificate; Non è però in questione - al di fuori del Giappone - di annullare alcuno dei nuovi  programmi di costruzione, o di stoppare delle costruzioni in corso».

Ma Areva in tanto ottimismo atomico della volontà individua (colorandoli di un allarmante arancione nella cartografia del rapporto interno) due punti deboli: Italia e Svizzera.  «Sono pochi i Paesi (Italia e Svizzera) che hanno deciso una pausa di riflessione nel loro programma di nuove costruzioni nucleari. La misura è determinata soprattutto da un approccio di protezione al fine di prevenire/contenere reazioni eccessive. Un anno per l'Italia». Insomma anche Areva sa che il referendum e le manifestazioni fanno paura al governo Berlusconi ed alla lobby atomica italiana/europea. Ecco cosa dice la scheda del rapporto dedicata alla situazione italiana: «Reazioni significative: un nuovo decreto nucleare che si occupa di impianti nucleari (nuove costruzioni e di stoccaggio delle scorie) è stato approvato, Il referendum è confermato per il  12 e 13 giugno 2011 e la strategia politica nucleare rinviata di 24 mesi (23 marzo). Paolo Romani, ha dichiarato: "Al Consiglio dei ministri domani rilascerò una dichiarazione di una moratoria di un anno riguardo alle decisioni e alle attività sull'identificazione dei siti degli impianti dei nuovi reattori". Secondo Quotidiano Energia, la moratoria esclude le attività connesse all'identificazione dei siti per lo stoccaggio delle scorie (Reuters, 22 marzo)». Nuove costruzioni. Il nuovo programma di costruzione potrebbe essere ritardato (1 anno di moratoria)».

Il dossier di Areva si "consola" pubblicando anche i risultati di diversi sondaggi sul proseguimento della costruzione nucleari in diversi Paesi e: «Opinione pubblica. Considerando che i sondaggi sono stati fatti subito dopo l'evento di Fukushima, l'opinione pubblica internazionale ha mostrato una certa capacità di ripresa». A dire il vero, secondo il Pew Research Center, negli Usa i favorevoli al potenziamento dell'utilizzo di energia nucleare passano dal 45% dell'ottobre 2010 al 39% del 20 marzo 2011 (- 6%); in Gran Bretagna i favorevoli alla costruzione di nuove centrali nucleari (Bbc News, novembre 2010  - 22 marzo  2011) passano dal 47% al 35% (- 12%). In Svizzera il crollo è impressionante: secondo i dati di due sondaggi Demoscope, (gennaio 2010) e Matin Dimanche (20 marzo 2011) i favorevoli alla costruzione di nuove centrali nucleari passano dal 55% al 21% (- 34%); nella nucleare Svezia i favorevoli allo sviluppo dell'energia nucleare (Afp, novembre  2010 e 22 marzo 2011)   passano dal 47% al 21% (- 26%); nella Finlandia del disastro economico dell'Epr francese il si al nucleare (MTV3, 23 marzo 2011) cala dal 44% al 36% (-  6%); la botta per il nucleare arriva persino in Bulgaria dove il consenso all'energia atomica (Alpha research, 2007 e 23 marzo 2011) precipita da un, è il caso di dirlo, bulgaro 75% ad uno striminzito  51% (- 24%).

Ma il vero è proprio crollo viene dalla Germania e rivela tutti i perché della terrorizzata e velocissima marcia indietro della cancelliera Angela Merkel sul nucleare. Secondo un sondaggio Emnid pubblicato da Bild am Sonntag, il 30% dei tedeschi chiedono un'uscita immediata e completa dal nucleare; il 27% entro 5 anni; il 20% entro 10 anni. Solo il 17% è favorevole ad utilizzare energia nucleare in Germania oltre il 2030. Il 60% dei tedeschi (contro il 34%) è disposto ad uscire al più presto dal nucleare anche se questo comportasse una perdita economica personale o di posti di lavoro e prosperità nazionale.

Dati che smentiscono quanti (compreso il nostro governo e i nostri cantori del nucleare) dicevano che gli europei erano favorevoli al nucleare e che rivelano quanto oggi siano ancora più contrari a mandarlo avanti.

Torna all'archivio