[15/03/2011] News

L'acidificazione degli oceani e le cozze di Ischia

NAPOLI. Il pH nel Mar Baltico è sceso addirittura a 7,5. Per i chimici sarebbe ancora alcalino. Ma per le specie marine, abituate per millenni a ph intorno a 8,2 è un ambiente troppo acido. Eppure, sostiene Frank Melzner, un fisiologo ambientale dell'Istituto Leibniz di scienze del mare (IFM-GEOMAR) di Kiel, in Germania, in un articolo comparso da poco sulla rivista Biogeosciences, le cozze di quei mari nordici si sono adattate a vivere in quell'ambiente così ostile. Hanno imparato a controllare il pH interno e, in più, hanno imparato a rivestire le loro conchiglie con una patina di proteine e carboidrati che impediscono agli ioni H+ di attaccarle e scioglierle.

Più o meno come hanno fatto i ricci di mare che il belga Sam Dupont, un altro fisiologo ambientale in forze al Centro di scienze marine Sven Lovén di Kristienberg, in Svezia, sopravvissuti contro ogni aspettativa in un ambiente portato artificialmente a pH 7,7.

E allora perché quello che è riuscito alle cozze e ai ricci del mari nordici - vivere in ambiente acido, o meglio, in ambiente meno basico - non riesce ai ricci, alle cozze e a tutti i gasteropodi e alle alghe corallinacee nei bassi fondali prospicienti il Castello Aragonese di Ischia, dove - come hanno dimostrato gli ecologi marini della locale Stazione Anton Dohrn in un articolo pubblicato tempo fa su Nature - alcune fumarole rendono l'acqua stabilmente più acida della norma? Perché in un mare che da tempo immemore ha un pH inferiore a 8,0 le stesse specie che nel Mare del Nord e in laboratorio hanno imparato a convivere con un'alta concentrazione di ioni H+, non sono riuscite a farlo anche nel Tirreno?

La domanda se l'è posta, nei giorni scorsi, proprio la rivista Nature. E la risposta è che probabilmente nei freddi Mari del Nord e nelle acque di laboratorio ci sono nutrienti sufficienti a sostenere l'enorme spesa energetica che occorre fare per adattarsi in ambiente più acidi. Nutrienti indisponibili nelle acque del Tirreno. L'ipotesi è plausibile. Ma la verità è che non lo sappiamo con certezza.

La questione è di grande rilevanza: perché, con l'aumento della anidride carbonica in atmosfera, tutti i mari e tutti gli oceani tendono ad acidificarsi. Il motivo è semplice. Con una maggiore pressione parziale in atmosfera, l'anidride carbonica tende a sciogliersi in acqua. Dove si trasforma in acido carbonico. L'acido libera ioni H+ e l'acidità (che non è altro che la concentrazione di ioni H+) aumenta. Il pH è un misuratore inverso dell'acidità. Più è alto, meno ioni H+ ci sono.
L'anidride carbonica in atmosfera è aumentata di circa il 40% negli ultimi 150 anni. E, di conseguenza, l'acidità dei mari è aumentata di circa il 30% nel medesimo periodo. In particolare il pH medio è sceso da 8,2 a 8,1 (la scala è logaritmica). Ma si prevede che a fine secolo il pH medio di mari e oceani potrebbe scendere a pH 7,8 o 7,7. Una condizione che gli organismi viventi non conoscono più da alcune decine di milioni di anni (se non in luoghi particolari, come il Mar Baltico o il mare di Ischia).

L'acidità attacca sia i tessuti interni che gli esoscheletri degli animali, oltre che le stesse piante. E, dunque, il grande interrogativo è quali organismi viventi e con quali adattamenti riusciranno a sopravvivere nei mari più acidi? A questa domanda decisiva per l'evoluzione della biodiversità marina, cercano di rispondere alcuni grandi progetti. Come l'europeo EPOCA che, iniziato nel 2008, dovrebbe concludersi nel 2012. O come il progetto varato di recente dalla National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) degli Stati Uniti. Per ora non resta che attendere i risultati. E, magari, impegnarsi per evitare un aumento insostenibile di anidride carbonica in atmosfera.

Torna all'archivio