[27/05/2013] News

Due italiani a Stoccolma: ecco cosa non va nella civilissima Svezia

Sabato mattina i quartieri di Husby, Kista e Rinkeby sembrano essere tornati alla normalitá dopo quasi una settimana di disordini, sommosse e scontri. A Husby ci sono pochissime persone in strada, ma famiglie e bambini camminano tranquillamente per il vicinato. Dobbiamo girare quasi venti minuti in bicicletta prima di vedere i resti di un camion bruciato parcheggiato ai bordi della strada, segno dei disordini delle sere precedenti. Nel quartiere di Kista, la vita scorre tranquilla, nonostante giovedì notte una scuola elementare sia stata bruciata quasi completamente. A Rinkeby, forse il quartiere con la peggiore nomea della cittá, e in cui pure sono stati  bruciati alcuni locali scolastici, il mercato del sabato nella piazza adiacente l'uscita della metropolitana si svolge come nulla fosse accaduto.

Nonostante l'attenzione mediatica rivolta ai disordini della settimana scorsa in Svezia e all'estero, é necessario dire che i tumulti di Stoccolma sono molto diversi da quelli accaduti a Londra nel 2011 o nel 2005 nelle banlieue di Parigi. Non ci sono stati conclamati episodi di violenza contro le persone, con l'eccezione di una decina di poliziotti feriti durante le notti di lunedì e martedì dalle sassaiole di alcuni giovani. Gran parte della cittá ha continuato a funzionare normalmente, i trasporti non sono stati interrotti e molti "Stockholmare" hanno saputo degli scontri solo da TV e giornali.

Le sommosse hanno però destato scalpore  perché avvenute in Svezia, un paese considerato modello di civiltá ed esempio di tolleranza. Secondo un articolo apparso sul Corriere della Sera il 22 Maggio, si sarebbero manifestate "le prime crepe del celebrato modello svedese di giustizia sociale e accoglienza".

Tuttavia, nonostante il welfare svedese sia stato fiaccato da sette anni di governo di centrodestra, chi come noi vive da anni da immigrato in Svezia, sa bene che il famigerato modello di integrazione svedese non affronta oggi "le prime crepe", ma si trova a fare i conti con la progressiva marginalizzazione degli immigrati e una segregazione abitativa che nelle grandi città è quasi istituzionalizzata.

Marginalizzazione e segregazione possono essere toccate con mano da qualsiasi turista che fosse curioso di esplorare i quartieri periferici si Stoccolma (ma anche di Göteborg e Malmö). In Husby, Kista e Rinkeby la vita procede tranquilla, le zone sono ben collegate al centro città e non mancano biblioteche, ospedali, scuole, piscine e altre strutture presenti in ogni moderna città europea. Ma, dopo uno sguardo agli abitanti del quartiere, si potrebbe avere difficoltá a credere di essere in Svezia. A Husby, il quartiere centro della rivolta e dove una degli autori di questo articolo ha avuto il piacere di risiedere per qualche mese al suo arrivo in Svezia, la popolazione di origine straniera (definita come chi è nato all'estero e chi ha entrambi i genitori nati all'estero) è dell'80 per cento, mentre nei quartieri centrali è di meno del 20 per cento (statistiche ufficiali della città di Stoccolma). Gli abitanti di origine africana sono il 23 per cento nell'area di Rinkeby-Kista, mentre in centro sono meno dell'uno per cento. Le antenne paraboliche appese alle terrazze dei palazzi sono un indicatore infallibile della composizione della popolazione, e lo svedese è la lingua franca utilizzata tra i vari gruppi etnici, anche se non è così scontato che sia la lingua più usata.

Queste ed altre aree nelle periferie di Stoccolma, come Fisksätra a sud, e Tensta e Spånga non lontano da Husby, furono sviluppate tra il 1965 e il 1975 durante il Miljonprogrammet, per far fronte all'urbanizzazione del paese e al baby boom. Anche se pensate come quartieri modello, la separazione del traffico pedonale e ciclabile da quello automobilistico, la standardizzazione e basse qualitá energetiche degli edifici e la loro costruzione in parti relativemente isolate dal centro città, finirono per farne dei ghetti da cui la classe lavoratrice svedese migrò velocemente per far posto a famiglie di origine straniera. Oggi tali aree portano con sè un grande stigma e  molti problemi (al di là degli scontri occasionali); non solo molti svedesi evitano anche solo di passare per queste aree e ne parlano con malcelato disprezzo, ma un indirizzo che riveli la residenza in questi quartieri è un serio ostacolo nella ricerca di lavoro e le scuole sono risaputamente tra le peggiori del paese, perpetuando così il ciclo emerginazione-bassa scolarizzazione-disoccupazione. Il quartiere di Kista è un esempio illuminante: da un lato della metropolitana (che, guarda caso, proprio qua è soprelevata e non interrata) la "Silicon Valley di Stoccolma" con gli uffici di Ericsson, Samsung, Huawei, Tele2 e altri, in cui lavorano più di 70 mila persone; dall'altro lato le abitazioni del quartiere. Pochissimi dei 70 mila che lavorano per le aziende di Kista abitano nel quartiere.

Come ha pensato il governo svedese di integrare la grande popolazione di immigrati lasciando che si concentrasse in grandi ghetti ai margini delle città? Un giornalista della televisione Al Jazeera commentava ieri che "il governo non ha abbandonato questi quartieri" e citava come esempio la presenza in questi quartieri di infrastrutture come per esempio scuole, biblioteche, centri di cultura e cliniche. Aggiungeremo altri esempi di "integrazione" come la serata "sole donne", organizzata nelle piscine pubbliche e tacitamente dedicata alle immigrate provenienti dai paesi islamici. Altre iniziative per riqualificare certi quartieri e adottate con molta pubblicità hanno avuto pochi risultati, se non quello di aumentare ulteriormente lo stigma dei quartieri stessi.

Il risultato di questi "progetti di integrazione" é stato che le due comunità, quella predominante svedese e quella degli immigrati, hanno da sempre convissuto nella stessa città, ma in spazi separati e distinti. Non si é riusciti a creare integrezione, né si é riusciti a creare benessere tra le comunità di immigrati. Secondo le statistiche attualmente il 16 per cento dei giovani di origine straniera in Svezia é disoccupato, mentre questa percentuale scende fino al 6 per cento tra I giovani svedesi.

Un articolo pubblicato qualche mese fa dal New York Times descrive in modo molto eloquente questa sorta di oppressione e marginalizzazione "a bassa intensità e di basso profilo" che le autorità svedesi conducono verso le minoranze residenti in Svezia. Un esempio di tali politiche é il cosiddetto "racial profiling" dei passeggeri dalle sembianze non svedesi che viaggiano sui mezzi pubblici. Questi passeggeri vengono fermati dalla polizia col fine di controllarne i documenti e sapere le ragioni del loro soggiorno in Svezia. Poco importa che circa il 20 per cento della popolazione svedese sia di orgine straniera e molti, ormai cittadini svedesi, abbiano sembianze non tipicamente nordiche.

Tutto questo accade nella civilissima Svezia, famosa per il suo modello di accoglienza e di integrazione, per il suo stato sociale e per la forte enfasi nelle politiche di uguaglianza, ma dove un partito apertamente anti-immigrati è ormai secondo i sondaggi il terzo partito del paese.

In conclusione, i tumulti di Stoccolma sono il risultato di politiche per l'immigrazione obbiettivamente accoglienti e aperti, che si confrontano però con una segregazione abitativa non degna di un paese civile, e a cui non si è mai voluto porre rimedio, ma anche di una società che per quanto aperta, vuole rimanere omogenea e non ammette nessun tipo di difformità culturale al suo interno.

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