[14/05/2013] News

Fiat inciampa sulla plastica e la Maserati non parte, in barba all'efficienza delle risorse

Per mantenere i margini di profitto, pochi grammi di plastica fanno la differenza anche sulla vendita di una auto cosė elitaria

La crudele complessità dei moderni processi industriali si rivela in tutta la sua magnificenza quando Selmat, piccolo gruppo industriale piemontese che produce componenti in plastica per gli interni di auto e mezzi industriali, mette in ginocchio il colosso Fiat fermando la produzione in tre fabbriche di tre diversi paesi: Italia (a Grugliasco, dove prende vita la Maserati), Spagna (Iveco) e Serbia (500L).

Le accuse si rimpallano, tra le due aziende. Da parte sua, la Fiat addossa le colpe al fornitore, scrivendo ieri che «il tutto sta creando gravissimi danni al Gruppo Fiat e agli altri fornitori, che stanno regolarmente consegnando il proprio materiale. Sono alcune migliaia le persone che venerdì scorso ed oggi non hanno potuto essere al loro posto di lavoro». Dalla Selmat si difendono affermando che «Le vittime siamo noi - scrive oggi la Repubblica riportando le parole dell'ad Enzo Maccherone - perché siamo nel classico ruolo di Davide contro Golia. La Fiat ci ha ridotto le commesse del 70 per cento. Un effetto della crisi, certamente, ma anche della deliberata volontà di portarci sull'orlo del fallimento. Per rilevare direttamente o far rilevare l'azienda da imprenditori amici». La Fiat replica di aver chiesto «alla Selmat il rispetto degli standard di qualità e degli accordi sui prezzi sottoscritti a suo tempo», mantenendo la posizione. Quel che è certo, come afferma Federico Bellono - segretario provinciale della Fiom di Torino - è che «non è accettabile che un contenzioso tra imprese si scarichi sui lavoratori, siano essi di Fiat piuttosto che della Selmat»: precisamente quello che invece sta accadendo.

Secondo Bellono «Questa vicenda è un caso estremo di una situazione dell'indotto auto che in questi anni ha vissuto in modo più diretto e drammatico la crisi del mercato e le non scelte di Fiat». Ricordiamo però le parole del presidente John Elkann, secondo il quale «Il 2012 è stato il miglior anno di sempre nella storia pluricentenaria di Fiat e Chrysler». Non la pensano così i colletti blu della maggiore casa automobilistica italiana: quando non si vedono costretti a rimanere a casa per la volontà della casa madre di puntare di più sulla forza a basso costo di altri paesi, rimangono fermi perché nella fase di montaggio manca un modesto bocchettone di plastica, dai prezzi evidentemente troppo alti anche nell'assemblaggio di una costosissima Maserati.

Per mantenere i margini di profitto, pochi grammi di plastica sembrano fare la differenza anche sulla vendita di una auto così elitaria. Non sembra possibile (altrimenti lo si sarebbe già fatto), fortuntamente, risolvere il problema cercando la soluzione a minimo costo di lavoro - cioè delocalizzando le commesse, o limando ancora i salari dei lavoratori - e intanto sia Davide che Golia ci rimettono. Un cul-de-sac? Non è un grande sforzi di pensiero laterale ipotizzare che una terza via potrebbe essere quella di puntare sull'innovazione di processo e di prodotto.

Il caso della plastica è emblematico. Le sue dinamiche di prezzo sono particolarmente legate a quelle del petrolio, e soggette più di altre (vedi grafico) a oscillazioni che impediscono un'efficace programmazione della spesa a lungo termine. L'utilizzo di materiali post-consumo per la produzione di manufatti in plastica potrebbe togliere questo debilitante fattore di incertezza. Invece, il gigante Fiat si trova a dover richiamare un fornitore al «rispetto degli accordi sui prezzi» per un elemento in plastica addirittura in una Maserati, e nel mentre ogni anno, in Italia, circa il 49% dei manufatti in plastica viene destinata alla discarica invece di poter essere impiegato come materia prima seconda tramite processi industriali di riciclo.

Sarebbe questa invece la valorizzazione delle risorse che sarebbe utile al Paese, e che si inserisce nell'obiettivo di respiro europeo del Manifesto per l'utilizzo efficiente delle risorse. L'Italia ha già eccellenze in questo campo, e le potenzialità per assumere un ruolo di leader in Europa e nel mondo, valorizzandole. Come ricorda oggi uno speciale del Sole24Ore, nonostante la crisi «il manifatturiero è ancora la forza propulsiva dell'economia europea, con 6500 miliardi di euro di fatturato e 30 milioni di posti di lavoro». Eppure, la produzione industriale in Italia ha registrato un -5,2% a marzo rispetto allo stesso mese del 2012: il peggior dato Eurostat tra le grandi economie continentali (nell'insieme, nell'Eurozona il calo è stato dell' 1,7%, -1,1% nella Ue a 27. Non possiamo permettercelo.

L'innovazione italiana, se coordinata e diretta lungo la spina dorsale della green economy, può e deve rappresentare invece la forza propulsiva per rafforzare una posizione di leadership capace di garantire milioni di posti di lavoro e uno sviluppo ambientalmente, economicamente e socialmente sostenibile.  

Torna all'archivio