[10/05/2013] News

Tunisia, l'ambiente e lo sviluppo sostenibile esclusi dalla nuova Costituzione?

La maggioranza islamista dell'Assemblée Nationale Constituante (Anc) avrebbe stralciato «l'Istanza dello sviluppo sostenibile e della protezione dei diritti delle generazioni future» dalla terza versione della bozza della nuova costituzione tunisina datata 22 aprile. A denunciarlo sono Réseau Associatif pour la Nature et le Développement en Tunisie (Randet), Alternatives, Fédération Tunisienne de l'Environnement et du Développement (Fted) e Fédération Nationale d'Associations Environnementales et de développement durable (Fnaedd) che il 25 aprile hanno inviato una lettera al presidente dell'Anc nella quale chiedono di inserire lo sviluppo sostenibile nella nuova Costituzione e ricordano che «L'istanza dello sviluppo sostenibile non è altro che una versione rivista e corretta del Conseil Economique et Social (Ces), al quale si è aggiunta la dimensione ambientale».

Il Ces fu istituito dalla Costituzione dell'indipendenza tunisina, il del primo giugno 1959 e gli ambientalisti ricordano che «L'istanza dello sviluppo sostenibile, o Conseil Economique, Social et Environnemental(Cese), è un organo consultivo di grande importanza nel futuro paesaggio politico ed istituzionale della Tunisia- Quest'organismo è destinato ad essere l'unica istituzione dello Stato che riunisce i rappresentanti delle diverse parti interessate della società (amministrazione, sindacati, padronato, gruppi socio-professionali, società civile ed esperti) in quanto spazio di dibattito pubblico e di espressione dei diversi gruppi della società- Il Cese costituirà così un organo di regolamentazione e di orientamento delle politiche pubbliche e dei piani di sviluppo, in vista della sostenibilità economica, sociale ed ecologica. Facciamo appello a tutte le componenti della società civile, alle organizzazioni nazionali (tra le quali l'Ugt - Union Générale du Travail - e l'Utica - Union Tunisienne de l'Industrie du Commerce et de l'Artisanat), alle organizzazioni socio-professionali così come a tutti i cittadini che si preoccupano dello sviluppo sostenibile della nostra cara Patria e del futuro dei nostri figli, ad unirsi a questo appello».

Un appello che in Italia è stato accolto e rilanciato da Legambiente che con le associazioni ambientaliste tunisine ha recentemente dato vita a un'alleanza per un Mediterraneo solidale e sostenibile, «Convinta dell'importanza di consolidare le relazioni di cooperazione tra le organizzazioni dei paesi che si affacciano sulle rive del mare nostrum impegnate nel far crescere democrazia, diritti, giustizia sociale, solidarietà, salvaguardia e uso sostenibile delle risorse naturali».

Il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, ricorda che «I diritti ambientali erano stati introdotti nella bozza della nuova costituzione tunisina anche grazie al lavoro e alla forte spinta impressa dalle associazioni ambientaliste. Un'iniziativa di grandissima importanza per la Tunisia del dopo Ben Ali e della primavera araba, tuttora in fermento sul fronte istituzionale e sociale, e che negli ultimi anni ha visto estendersi notevolmente la propria influenza geopolitica con la crescita della globalizzazione. Sarebbe grave che, in questo contesto, arretrassero le ragioni dell'ambiente e della sostenibilità, di cui la Tunisia può rappresentare, invece, il trampolino di lancio per l'area sud del bacino mediterraneo. Per questo continueremo a impegnarci al fianco delle associazioni ambientalista tunisine, per una politica che superi i confini territoriali, a sostegno di un modello di sviluppo capace di garantire un futuro sostenibile ed equo ai cittadini di entrambe le sponde del mare nostrum. Vogliamo riuscire a salvaguardare insieme il mare e le sue risorse dall'inquinamento e dal pericolo marea nera, a espandere le fonti rinnovabili, a promuovere un'agricoltura che garantisca la fertilità dei suoli e il principio della sovranità alimentare, a sviluppare un'azione ambientalista che faccia crescere la coscienza civica dei cittadini del mediterraneo».

Ma c'è anche chi è ancora fiducioso che Hennahda il partito islamico moderato al potere, che non sta dando una grande prova di buon governo, possa rivedere le sue posizioni non molto ambientaliste. Tra questi c'è Mohamed Yahya Chamya, presidente del Groupe arabe pour le développement et l'autonomisation nationale "Tamkeen", ha detto che «La Tunisia può essere una fonte di ispirazione per i Paesi arabi in materia di transizione democratica, a condizioni che essa riesca ad affrontare 5 principali sfide. Si tratta di lottare contro la povertà e la corruzione, di aumentare il lavoro e gli investimenti, oltre alla messa in opera dei fandamenti di uno sviluppo sostenibile nelle regioni. Per cogliere queste è necessario elaborare una road map economica e di sviluppo chiara, oltre alla presa di coscienza della comunità internazionale sull'importanza di sostenere gli sforzi della Tunisia in questi settori. Si tratta inoltre di mettere in atto le fondamenta di una democrazia reale che non sia al servizio di un partito o di una categoria interessata, ma che prenda in considerazione le preoccupazioni dei cittadini, soprattutto nelle regioni sfavorite. L'obiettivo da ricercare è quello di pervenire a soluzioni concrete in grado di alleviare la sofferenza del popolo tunisino».

Il presidente dell'Ong internazionale Tamkeen, che riunisce diverse associazioni della società civile araba, ha chiesto ai governanti tunisini di «Ispirarsi alle esperienze dei Paesi che sono riusciti a ridurre il livello di povertà, come il Sudafrica, il Brasile e le tigri asiatiche». Cosa molto ardua, visto che un rapporto del 2001 dell'United Nations devlopment programme sulle sfide che hanno di fronte i Paesi arabi ha evidenziato fortissime disparità nella distribuzione della ricchezza e per quanto riguarda le tutele sociali e sanitarie, che sono state i veri motivi delle primavere arabe, cominciate proprio in Tunisia con la rivoluzione dei gelsomini del dicembre 2010 - aprile 2011 che ha rovesciato il regime di Ben Alì.

Ma la responsabile del dipartimento Medio Oriente ed Africa del nord dell'Alto commissariato Onu per i diritti umani, Fraj Fennich, ha ricordato a Tamkeen ed ai governanti islamici tunisini che, a più di due anni da quella rivoluzione democratica, «Le disparità, l'assenza di giustizia sociale e la lotta contro la povertà e la corruzione costituiscono ancora le priorità del processo di transizione democratica in Tunisia».

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