[02/05/2013] News

Clima nuovo ai Climate change talks Unfccc di Bonn? Isolata l'Arabia Saudita

Preoccupa il raggiungimento della soglia di 400 ppm di CO2

Domani a Bonn si conclude la nuova tornata dei climate change talks dell'United Nations framework convention on climate change (Unfccc) per discutere di come arrivare all'accordo globale sul clima previsto per il 2015. Il meeting di Bonn iniziato il 29 aprile è la seconda sessione dell'Ad hoc working group on the Durban platform for enhanced action (Adp), e sta discutendo anche di come accelerare e catalizzare le azioni esistenti per contrastare il cambiamento climatico.

Pochi giorni fa il Mauna Loa Observatory ha detto che il livello di CO2 giornaliero misurato nelle Hawaii si attestava 399,72 parti per milione, quindi il summit di Bonn si svolge in un clima di preoccupazione per questi ultimi dati scientifici che confermano una forte crescita dei gas serra a livello globale. Aprendo il meeting Christiana Figueres, segretaria esecutiva dell'Unfccc, ha detto: «Siamo in procinto di oltrepassare la soglia delle 400 parti per milione, quindi questa conferenza si riunisce in un accresciuto senso di urgenza. Dobbiamo rispettare le scadenze fissate dalla Conferenza delle parti dell'Unfccc. Il working group Adp ha già utilizzato un terzo del tempo assegnatogli, quindi dobbiamo usare il tempo rimanente con saggezza. Dobbiamo essere creativi, costruttivi e disposti a farsi avanti con azioni, iniziative e nuove proposte su come i governi nazionali, le città, il settore privato e la società civile e le iniziative internazionali possono fare di più e più velocemente. Dobbiamo essere in grado di dimostrare i nostri successi e le ulteriori opportunità per colmare il divario delle emissioni alla Climate Change Conference dell'Onu a Varsavia alla fine di quest'anno».

Nel 2012, alla Cop 18 Unfccc di Doha i governi avevano ribadito il loro impegno per raggiungere un accordo globale entro il 2015 ed assicurato che avrebbero intensificato gli sforzi per colmare il divario tra quel che è stato promesso finora e ciò che la scienza dice che è necessario  perché le temperature del pianeta restino al di sotto dei 2 gradi centigradi di aumento, ben prima che il nuovo accordo entri in vigore dal il 2020. Poco è stato fatto, ma qualcosa sembra cambiato, a cominciare dall'isolamento dell'Arabia Saudita riscontrato a Bonn. I sauditi nelle ultime Cop Unfccc si sono segnalati come la testa d'ariete del blocco anti-Protocollo di Kyoto e per la loro determinazione per impedire un ambizioso accordo globale sul clima ed anche a Bonn la delegazione della più potente monarchia assoluta del Golfo ha ribadito che gli obiettivi di mitigazione proposti sono difficili da rispettare. E' chiaro che il secondo produttore di petrolio del mondo vedrebbe diminuire il valore delle sue enormi riserve petrolifere se si raggiungesse un accordo giuridicamente vincolante nel 2015 che apra la strada ad un'economia low carbon.

A Bonn la delegazione saudita ha chiarito ulteriormente la sua opposizione a mosse che potrebbero compromettere le sue esportazioni petrolifere: «Dobbiamo stare estremamente attenti La mitigazione è un'azione fatto per una ragione ambientale che ha grandi implicazioni per altri settori: economici e sociali. Si tratta di aree che sono altamente politiche e sensibili. Molte parti sentono che ci sono grandi implicazioni,  sociali ed economiche. Conosciamo queste aree. Vogliamo passare questi due anni a discutere... perdendo forze e tempo in sforzi altamente politici... qualunque accordo ne verrà fuori avrà un cattivo sapore»

L'Arabia Saudita è nota per la sua capacità di far sprofondare i climate change talks in discussioni frustranti, ma i delegati hanno trovato comunque sorprendenti queste dichiarazioni, dato il contesto della discussione, che ha lo scopo di evidenziare efficaci strategie di crescita verde che i sauditi hanno liquidato come roba politica e di attivo gusto. «Speriamo di poter fare meglio di quanto lei ha indicato», ha risposto secco il presidente dell'assemblea,  Harald Dovland, ex capo negoziatore della Norvegia, quando il saudita ha concluso il suo intervento

Ma le altre delegazioni sono state molto più propositive su come l'azione per il clima e per la green economy possono essere integrate nella pianificazione economica, «Non vogliamo mettere un freno allo sviluppo, ma vogliamo un modello migliore - ha detto il delegato del Messico - Non è in questione di se vi prenderemo parte. Abbiamo identificato chiaramente i benefici». Il Messico si è dotato di leggi climatiche tra le più rigide del mondo e i timori che il nuovo presidente Pena Nieto le rivedesse in parte sembrano limitati alle leggi approvate nel 2012, mentre il nuovo governo del Partito rivoluzionario istituzionale sembra voler mantenere gli incentivi per l'efficienza energetica e per le rinnovabili.

L'isolamento dell'Arabia Saudita è stato ancora più evidente con gli interventi delle delegazioni di Norvegia, Etiopia, Senegal, Giappone, Corea del Sud, Samoa, Cina, Unione europea ed addirittura del Canada che aveva tentato di far saltare il banco a Durban e poi aveva abbandonato il Protocollo di Kyoto.

Il delegato etiope ha detto che il suo Paese «E' sulla buona strada per gestire un sistema elettrico a emissioni zero entro il 2014, basato sull'energia idroelettrica, fonti solari e termiche. Il governo si è dato come obiettivo un'economia carbon neutral entro il 2025. Che il mondo lo voglia o no, prima o poi l'intera umanità dovrà muoversi per combattere le emissioni globali. Se partiamo dal principio di non essere prigionieri di una forte crescita economica, nel lungo periodo è a nostro vantaggio, soprattutto se viviamo in Africa, il continente che è più o meno equamente diviso dell'equatore e dove di conseguenza il riscaldamento globale sta per diventare il più intenso».

Il Canada, che recentemente ha abbandonato anche l'United Nations convention to combat desertification (Unccd) a Bonn è stato stranamente accomodante e ha addirittura detto che l'abbandono dei combustibili fossili porterebbe grandi vantaggi per la salute, «La progressiva dismissione delle centrali a carbone che non utilizzano la tecnologia carbon capture and storage (Cs) fornirebbe vantaggi per 7 miliardi di dollari», ha detto il delegato canadese. Che il Canada punti tutto sull'inquinantissimo petrolio delle sabbie bituminose, gas shale e fracking sul nucleare e che abbaia impianti pilota di Ccs non sembra estraneo a questa repentina conversione canadese. loro delegato ha detto.

La delegazione cinese ha sottolineato che l'accesso alla tecnologia potrebbe determinare il successo dgli obiettivi mondiali di riduzione delle emissioni di gas serra ed ha chiesto maggiore attenzione per i Paesi in via di sviluppo, emettendo loro di sfruttare soluzioni energetiche pulite esistenti. Zou Ji, vice direttore generale del Centro nazionale per il cambiamento climatico della Cina, ha detto che il suo dipartimento «Ha identificato 40 tecnologie che potrebbero essere sfruttate se potessero essere negoziati i diritti di proprietà. L'efficienza energetica dovrebbe essere la priorità nei prossimi anni, soprattutto in termini di cooperazione internazionale. Possiamo fare di meglio, settore per settore, come per il cemento e l'acciaio, e sviluppare maggiori opportunità di ricerca e sviluppo in comune».

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