[02/05/2013] News

Il Medioevo dell'economia e la crisi da stupidità

Arriva il nuovo rapporto Ocse, ma le ricette per uscire dalla crisi non cambiano

Dopo due anni di pausa, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico si riaffaccia sul BelPaese per vedere come vanno le cose, pubblicando un nuovo rapporto sull'Italia. Il giudizio è ottimistico: l'Ocse, nonostante le previsioni del rapporto parlino di un «PIL che diminuirà dell'1,5% quest'anno, prima di aumentare leggermente dello 0,5% nel 2014», afferma che «le principali riforme attuate nel 2012, volte ad aumentare il dinamismo del mercato del lavoro e dei beni, devono essere attuate in maniera efficace. Secondo il rapporto, ciò consentirà di migliorare la produttività dell'Italia, consistentemente debole, e di dare slancio alla competitività internazionale del Paese».

La ricetta è sempre la stessa. Il segretario generale dell'Ocse, Angel Gurría, ha affermato: «In una situazione caratterizzata da recessione e aumento della disoccupazione, è a volte difficile vedere la luce alla fine del tunnel. Sono convinto, però, che se si persiste nell'attuale strategia di riforme si otterrà un miglioramento del tenore di vita e l'economia italiana ne uscirà rafforzata e più dinamica».

Il capoeconomista dell'Ocse, Pier Carlo Padoan, a chi chiede se saranno necessarie misure correttive sui conti pubblici se il deficit dell'Italia sarà sopra il 3%, risponde che «qualcosa bisognerà fare. È fondamentale uscire dalla procedura di infrazione» europea, come riporta l'Ansa. Non mancano comunque le aperture sul piano fiscale: «Ridurre le tasse sul lavoro è più importante che ridurre l'Imu», sottolinea Padoan, precisando che a compensazione sarebbe possibile aumentare le «imposte sui consumi come l'Iva, sulla proprietà e sulle emissioni di CO2». Interventi - gli ultimi due, mentre il primo sarebbe sia recessivo che poco equo - auspicabili, nel contesto dato, ma che mancano di essere inseriti in un disegno di riforma più ampio.

Due anni di fallimentari politiche d'austerity non sembrano dunque aver sortito effetti. Come sottolinea perfettamente un grafico elaborato dallo stesso Ocse (vedi in alto), però, per l'Italia gli ultimi anni di crisi sono solamente il momento di picco di una tendenza che dura da più di un decennio. Ci si ostina a incolpare i lavoratori e la loro scarsa produttività quando quella che manca è la produttività di sistema, a causa di un'inefficiente utilizzo di capitale umano e finanziario.

All'interno dei confini nazionali, il simbolo di questa visione della crisi - la riforma del lavoro del ministro Fornero - sta per essere rivista, dopo aver scatenato per mesi un putiferio. In quali termini? Peggiorativi. Si punta a scardinare uno degli elementi (pochi) positivi che conteneva e ancora contiene, ossia la riduzione della flessibilità in entrata nel mondo del lavoro, frenando quel nugolo di contrattini nei quali si annida la precarietà. La giustificazione è che i datori di lavoro, così come stanno le cose, preferiscono passare direttamente al lavoro nero.

Nel mentre, la stessa Elsa Fornero a Focus economia (su Radio24) ritratta parte del suo operato: «Chiedo scusa a tutti coloro cui ho creato angoscia», ha dichiarato. «Dopo le lacrime - riassume il Corriere della Sera - adesso l'ex ministro Fornero prova anche a chiedere perdono agli italiani. Le riforme tanto criticate?», si chiede il Corsera, estrapolando l'uscita della Fornero: «Le ho fatte perché me l'ha chiesto il governo, non per mia iniziativa».

È chiaro che tirare una stoccata per poi provare a far finta di niente di fronte ad un fallimento non gioverà alla crisi del Paese. Eppure è proprio quel che sta accadendo. Il neoministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, ha messo in chiaro che è necessario eliminare quel «fattore di incertezza psicologica» che blocca l'economia. Il vero freno psicologico, però, sembra vivere all'interno della teoria economica, che si riversa in pieno nella pratica politica.

«O questi europei sono stupidi - succede - oppure non vogliono del bene all'Europa», sintetizza pragmaticamente l'economista Jean-Paul Fitoussi. Contemporaneamente, il più grande quotidiano economico europeo (ossia il nostrano Sole24Ore) si preoccupa che ci sia in corso una crisi di stupidità, più che di liquidità o di solvibilità. Il premio Nobel Paul Krugman, come sottolinea l'Economist, da parte sua definisce questi anni una «Dark Age», un Medioevo della macroeconomia.

All'interno di quella che ormai è una crisi di domanda, insistiamo sulla necessità di tagli alla spesa pubblica tout court, quando anche gli ultimi studi economici disponibili (della stessa, apparentemente schizofrenica Banca centrale europea) affermano che la buona spesa pubblica è la via più rapida per tornare sulla strada dello sviluppo e dell'occupazione.

Tagliamo le erbacce, certo, ma non l'intero giardino. Secondo l'associazione Viaggiatori in movimento le infruttuose spese per appalti pubblici immediatamente aggredibili sono il 3% del Pil, 50 miliardi di euro. Sfruttiamoli. Allentiamo al contempo il laccio dei vincoli europei, del fiscal compact. Non rinunciamo alla possibilità di intervenire per cambiare il corso della crisi: tingiamo di verde il buon vecchio Keynes.

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