[24/04/2013] News

Quel che la Bp non vuol far sapere sul disastro della Deep Water nel Golfo del Messico

Tre anni dopo l'esplosione e il naufragio della piattaforma offshore Deepwater Horizon della Bp nelle acque del Golfo del Messico, quello che Barack Obama definì il più grande disastro ambientale della storia Usa sembra in gran parte dimenticato, relegato nei trafiletti dei giornali  mentre la rabbia popolare si assopiva. I media statunitensi e stranieri parlano di altro e solo i giornali economici si stanno seriamente interessando di quello che il Financial Times definisce «Il processo del secolo», cioè quello in corso a New Orleans, dove la Bp sta facendo di tutto per non pagare le decine di miliardi di dollari di potenziali sanzioni per il disastro. 

Lo stresso presidente Obama, che all'inizio della crisi della Deepwater Horizon denunciò «Il rapporto scandalosamente stretto»  tra le compagnie petrolifere e le autorità di regolamentazione del governo federale, durante la sua campagna elettorale si è vantato di aver approvato numerosi permessi per nuovi pozzi di petrolio e gas.

Ma "Newsweek" non solo non sembra essersi dimenticato della catastrofe della Deepwater Horizon, ma tira fuori una vicenda della quale in pochissimi si sono occupati e che la Bp cerca in tutti i modi di tenere nascosta e riporta la storia di Jamie Griffin, una capo-cuoca che preparava i pasti per gli uomini che stavano lavorando alla bonifica del disastro petrolifero e si occupava della pulizia della mensa. Secondo Griffin l'uomo inviato dalla Bp a coordinare i lavori disse che il "gunk",  la melma vischiosa, viscida ed iridescente che si era infilata anche dentro gli stivali dei lavoratori, «E' sicura come il detersivo per piatti Dawn», Griffin, cercava di ripulirlo dalla mensa, ma non funzionava nemmeno l'acqua bollente, il rappresentante della BP disse che bastava sfregare bene, come per qualsiasi altro pavimento sporco.

Quella sostanza che si attaccava agli stivali degli operai e che penetrava sotto i loro vestiti era quella che stava vomitando il pozzo di Macondo esploso alle 21,45 ora locale del 20 aprile 2010, uccidendo 11 operai e ferendone 17 feriti, provocando una marea nera nell'area che fornisce un terzo del pesce mangiato negli Usa ed insozzando le spiagge dal Texas alla Florida che hanno un'economia turistica da miliardi di dollari.

In molti se lo sono dimenticati, ma il disastro della Deepwater Horizon, la debole reazione di Obama e la controffensiva di repubblicani e Big Oil rischiò di compromettere la sua rielezione a presidente degli Stati Uniti, la sua popolarità nei sondaggi calava a picco e anche la sua figli 11enne gli chiese: «"Daddy, did you plug the hole yet?».

Griffin fece come le era stato detto e ora spiega a  "Newsweek"  «Ho cercato di toglierlo con il  Pine-Sol, candeggina, ho anche provato il Dawn  su quei piani», ma mentre rimuoveva questo "sporco" resistentissimo, il mix di detergente e "gunk" gli ha imbrattato anche braccia e  viso e nel giro di pochi giorni questa madre single  32enne fu colta da tosse con sangue e da fortissimi mal di testa, dopo perse la voce: «Avevo la gola come se avessi ingoiato lamette da barba». Poi le cose sono andate molto peggio: come centinaia, forse migliaia, di lavoratori impegnati nella bonifica del greggio, Griffin presto si è ammalata di un insieme di quelli che "Newsweek"  definisce «Strazianti, bizzarri e grotteschi disturbi». A luglio la capo-cuoca e molti lavoratori si contorcevano per spasmi muscolari inarrestabili e le loro mani si erano trasformate in artigli inamovibili, poi hanno iniziato a perdere la memoria a breve termine. La Griffin, dopo aver lavorato 10 anni come cuoca, non riusciva a ricordarsi nemmeno la ricetta della zuppa di verdure, una mattina è salita in macchina per andare al lavoro e poi si è accorta di non aver indossato i pantaloni. Non era finita, come racconta lei stessa, «Il lato destro, ma solo il lato destro, del mio corpo ha iniziato ad agire follemente. Mi sentivo come se i nervi mi stessero venendo fuori dalla pelle. E' stato così doloroso. La mia caviglia della mia gamba destra era così gonfia da sembrare quella di un vitello e la mia pelle prudeva incredibilmente».

Michael Robichaux, un medico ed ex senatore della Louisiana che ha curato Griffin e 113 altri pazienti con sintomi simili, dice che «Questi sono gli stessi sintomi sperimentati dai soldati che tornavano dalla guerra del Golfo, con la sindrome della Guerra del Golfo. Non ho mai visto questo gruppo di sintomi insieme: problemi della pelle, disturbi neurologici, oltre a problemi polmonari».

Solo mesi più tardi, dopo che Kaye H. Kilburn, un ex professore di medicina presso la University of Southern California e uno dei massimi esperti statunitensi di salute ambientale, è arrivato in Louisiana ed ha eseguito test su 14 dei pazienti di Robichaux, i due medici hanno fatto il collegamento con la sindrome della Guerra del Golfo, una malattia che affligge circa 250.000 veterani di quella guerra per il petrolio con una misteriosa combinazione di stanchezza infiammazioni cutanee e problemi cognitivi.

Intanto, mentre i lavoratori sguazzavano nel "gunk" tossico, il mondo assisteva con il fiato sospeso alla catena di pasticciati e fallimentari tentativi della Bp  di fermare il colossale sversamento di greggio che intanto veniva irrorato con centinaia di tonnellate di disperdenti ancora più tossici e pericolosi. Ci vollero 87 giorni per fermare un disastro che dal giorno dopo la Bp e le Big Oil hanno iniziato a minimizzare. Ma il 15 luglio, quando l'inferno di Macondo fu turato, 210 milioni di galloni di Louisiana sweet crude erano finite nel Golfo del Messico e il più grande sversamento petrolifero accidentale nella storia del mondo aveva appena iniziato a provocare conseguenze inimmaginabili sull'ambiente e la salute umana.

Alcune di queste, come le sofferenze di Jamie Griffin e degli altri lavoratori che hanno salvato le coste del Golfo da un disastro ancora peggiore, la Bp vorrebbe che non facessero ingresso, che fossero ignorate al processo di New Orleans.

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