[17/04/2013] News

Diario da Tunisi, per la costruzione dell'Alleanza ambientalista del Mediterraneo

Per raccontare la nostra missione a Tunisi, vogliamo partire da una cena appassionante. Una cena che per noi ha significato, in termini di conoscenza, di scambio di idee e di amicizia, forse la cosa più importante.

Una premessa, però, è d'obbligo. A poche settimane dalla partenza, erano tutti molto preoccupati per la riuscita del Forum Sociale Mondiale in Tunisia. In parte, perché le associazioni maghrebine avevano di fatto tolto di mano il controllo, sia politico che organizzativo, ai latinoamericani diffondendo un po' di timore rispetto alla loro capacità di garantire un evento che alla fine ha riunito alcune decine di migliaia di persone. In parte, per la scarsità dei mezzi economici a disposizione. Fin dal giorno della marcia inaugurale, nove chilometri di festosa e pacifica camminata per i viali della città, ci è parso chiaro come l'esperimento fosse  pienamente riuscito. La conferma l'abbiamo avuta l'indomani mattina, quando arrivati al Campus universitario di Al Manar, abbiamo trovato tanti giovani volontari che hanno garantito il perfetto e armonioso funzionamento del Wsf 2013. Infine, ci è sembrata molto indovinata la parola d'ordine di questo appuntamento. Dignità è forse la parola più bella che si potesse scegliere.

Ma veniamo alla cena ci cui parlavamo. E' mercoledì e, lasciato il Forum, al tramonto ci aspetta una passeggiata nel cuore antico della città. Siamo nella Medina, dove ormai le botteghe che si affacciano sul reticolo di  vicoli sconnessi hanno chiuso le loro vecchie serrande azzurre, dove l'unico artigiano che ha ancora aperto il suo negozio ci mostra come si fanno le chechìa, i copricapo di lana pettinata color porpora che in Tunisia ormai non usa quasi più nessuno, ma che si esportano ancora, ci spiega, nel continente africano e in medio oriente. E' cominciata così quella che pensiamo sia stata la serata più bella della nostra missione a Tunisi: quella della cena da El Ali, un elegante ristorante caffè letterario che ha suggellato l'amicizia tra Legambiente e Alternatives.

Il nostro amico Mounir ci dà appuntamento a place de la Kasbah, proprio di fronte al palazzo del Governo. Metri di filo spinato e un carro armato, parcheggiato quasi fosse un' automobile di servizio, difendono ancora l'edificio dalle sommosse della rivoluzione. Nessuno li ha più tolti dal gennaio del 2011, quando in Tunisia è scoppiata la Primavera Araba. Accanto, una pattuglia di militari su sedie da giardino in plastica bianca attende pigramente il cambio del turno di guardia. Lungo il cammino incontriamo alcuni dei nostri commensali, sono gli altri colleghi ambientalisti tunisini. Prima di giungere a destinazione, accade un episodio che ci colpisce molto, ma che più di tutti scuote e addolora il nostro amico. Passiamo davanti alla moschea Zitouna e Mounir, che ama profondamente la sua città,  tiene moltissimo a farci vedere uno scorcio dell'interno. Ci spiega che quello non è un orario consono, è l'ora della preghiera e non delle visite degli infedeli. Ma è la moschea della sua infanzia, dove è cresciuto e dove insegnavano suo padre e suo nonno. Ci affacciamo con discrezione, restando sulla soglia dell'enorme cortile lungo il quale non più di una decina di uomini è raccolta in preghiera. Ma inevitabilmente attiriamo  l'attenzione e veniamo avvicinati da alcuni uomini che ci intimano di uscire. Tra questi, un uomo dalla barba rossiccia, con il tipico abbigliamento da integralista religioso che abbiamo imparato a conoscere in questi anni, insulta e aggredisce Mounir con fare minaccioso. La tentazione di reagire all'affronto è forte, ma la cortesia verso i suoi ospiti gli suggerisce di lasciare correre e andarsene. Ci racconta con rammarico che quelle persone non sono di lì, sono salafiti che vengono da fuori, gente intollerante e invasata che ha studiato nei paesi sauditi e che ha preso possesso della "sua" moschea.

Al ristorante, il gruppo è completo e ci sediamo a tavola in una bella sala riservata alla nostra riunione. Abbiamo subito l'intuizione giusta: stabiliamo di prendere posto in modo alternato, un italiano e un tunisino. E' così che riusciamo a trascorrere alcune ore discutendo amabilmente con persone che ci trasmettono presto simpatia e ammirazione. Oltre a Mounir, che è un economista esperto di questioni energetiche, c'è Samir che insegna geologia all'università. Alì, anche lui professore, ma di agraria, è il cofondatore di Alternatives, mentre Boubaker è il direttore di Randet, la rete delle associazioni ambientaliste e per lo sviluppo sostenibile della Tunisia e dirigente al ministero dell'ambiente. Abdeladhim è un economista che lavora come consulente per le imprese straniere, Kouraich un esperto di comunicazione ambientale che ha lavorato anche in Europa, Fadhel è un ingegnere idraulico libico-tunisino. Infine c'è Ridha, che è un esperto di gestione dei rifiuti. Loro, insieme ad amici e colleghi, due anni fa hanno fondato Alternatives e sono partiti con il progetto Eco-constitution, per ottenere l'inserimento dei diritti ambientali nella nuova Costituzione tunisina. Adesso che questo obiettivo pare sia stato raggiunto, vogliono lavorare per far crescere ambientalismo e sviluppo sostenibile nel loro Paese. Così stanno girando per le città della Tunisia, organizzando incontri pubblici per farsi conoscere e raccogliere adesioni. Sono persone con cui ci sentiamo subito in sintonia, ambientalisti veri, colti e curiosi, che dopo la rivoluzione hanno riscoperto il piacere e la possibilità di occuparsi del futuro anche fuori dalle loro aule universitarie. Rappresentano appieno la classe intellettuale della Tunisia, che per lungo tempo ha vissuto sottotraccia e ora torna a respirare a pieni polmoni. E vogliono dare il loro contributo. La cena, offerta con una splendida ospitalità, sembra un incontro tra vecchi amici, si scherza, si mangia dell'ottimo cibo, si discute di problemi ambientali e di politica. Anche di quella europea, a cui si sentono naturalmente legati.

Ci restituiscono, non solo con gli argomenti, ma anche con i toni, la realtà di un Paese che i nostri giornali non sono in grado di raccontarci. In due anni, ci dicono, la storia della Tunisia ha subito un'accelerazione incredibile, ha cominciato a correre e non si è ancora fermata. Non sanno come andrà a finire, è tutto estremamente nuovo, ma sono convinti che ormai non si possa più tornare indietro. Così come sono convinti che la deriva islamista dei fratelli musulmani e le spinte oltranziste dei salafiti saranno tenute a bada dai giovani, dalla loro energia, dalla consapevolezza del loro ruolo, dalla voglia di libertà. Libertà che significa internet, viaggi, contaminazione culturale, emancipazione femminile. E anche, perché no, diritto alla trasgressione. Tutto quello che gli integralisti religiosi, che tentano di contaminare questa nuova società appena riscattata dal regime di Ben Ali, non gli consentirebbero. E a cui loro, invece, semplicemente non sono disposti a rinunciare. Certo la democrazia tunisina è ancora molto fragile, va maneggiata con cura. Bisogna ricordare che la rivoluzione del 2011 è nata e ha ancora la sua forza propulsiva soprattutto nelle città dell'interno, dove vive la gran parte della popolazione giovane e dove la povertà, acuita dalla crisi economica, ha reso la vita ormai insostenibile. Dove, in fin dei conti, non c'è più niente da perdere. Proprio in quelle zone, più che a Tunisi e nelle città costiere, dove è invece prevalsa la paura, i fratelli musulmani hanno condotto una campagna elettorale più persuasiva, andando di casa in casa, ascoltando i bisogni della gente e promettendo soluzioni. Per contro la sinistra (che è in crisi anche quaggiù) non è stata capace di raggiungere lo stesso obiettivo, si è frammentata, ha fatto leva sulla necessità di grandi cambiamenti, dimenticando quanto la gente avesse bisogno di risposte pratiche a problemi pratici.

Anche l'approccio al tema dei migranti denota il calibro dei nostri interlocutori. La questione degli sbarchi, dell'avventura disumana di chi attraversa e perde la vita nel canale di Sicilia, della negazione dei diritti umani, resta sullo sfondo della nostra conversazione, è data per acquisita. Il tentativo è quello di leggere il problema con una prospettiva più lungimirante, farne cioè un'analisi utile per trovare soluzioni. Parliamo di quanto sia necessario riscattare il Mediterraneo che oggi divide i popoli, perché torni a essere un luogo di conoscenza, confronto e scambio. E sia anche il contesto giusto per un ambientalismo maturo ed efficace. Si ragiona su disillusione e illusione di coloro che partono, alla ricerca di fortuna verso un'Europa che ha sempre meno da offrire. Della necessità, oggi più di ieri, di costruire un paese in grado di fare restare i propri laureati, di accogliere gli stranieri, di garantire il diritto dei giovani a viaggiare. Le parole di Samir ci fanno capire quanto può ferire un professore tunisino vedere che un suo studente non può salire su un aereo e andare semplicemente a visitare Roma, mentre noi siamo arrivati qui senza alcuna difficoltà.

La serata volge al termine, così decidiamo come organizzare il nostro seminario al Social Forum e ci salutiamo.

Per quel che riguarda il Forum, cosa raccontarvi? Le suggestioni sono state davvero tante e diverse per ognuno, ma molte le abbiamo condivise. Di sicuro, restano impressi nella memoria i suoni, quelli dei canti e degli slogan, e quello dell'arabo, di certo, insieme al francese, la lingua dominante tra i partecipanti. E poi l'atmosfera, piena di energia e di giovani con il desiderio di prendere in mano, insieme, il proprio destino.

Nelle giornate passate tra i cortili assolati e le aule del campus universitario Al Manar abbiamo deciso di dividerci, per partecipare ai seminari per noi più importanti tra le centinaia di incontri in programma, ma anche per conoscere le tante associazioni del Maghreb e, soprattutto per fare pubbliche relazioni e raccontare il nostro progetto. Abbiamo volantinato e appeso locandine per promuovere il nostro dibattito del 29 marzo. Possiamo dire che il forum è stato, nei fatti, un doppio forum. C'erano quello dei seminari all'interno delle aule, una miriade di incontri, alcuni affollatissimi e altri più raccolti, su decine di argomenti. E c'era quello all'aperto, nei viali e nei cortili delle facoltà animati da piccoli ma rumorosi presidi per rivendicare i diritti negati dei popoli palestinese, siriano, tunisino; ma anche dai gazebo e dalle bancarelle, dal campeggio degli studenti e dalle partite di pallone, dai concerti e dalle mostre. E' stato il Social forum dell'Africa. Tanti africani dai paesi del Maghreb, ma anche dal Senegal, del Camerun, del Congo, dell'Angola, del Togo, della Nigeria, dal Ghana, dall'Etiopia e da molti altri posti. Ed è stato il Social forum delle donne, tante donne. Così come tanti sono stati i seminari ‘sulle donne'. Donne giovani, molte quelle fiere di indossare il foulard con i jeans e le scarpe da tennis, oppure coperte fino alle caviglie dalla jilbab, la veste lunga e chiusa come un cappotto. Fuori dalla sala stampa, c'erano anche alcune ragazze con il niqab, sedute accanto a un banchetto e al cartello "il niqab è una scelta, non un'imposizione, chiedimi perché lo indosso". Ma comunque tutte, a vederle, ci sono sembrate donne molto determinate, ragazze che abbracciavano e scherzavano con i loro compagni di studi con la naturalezza della loro età. Questa immagine di ‘emancipazione con il velo' (molte di loro, va ricordato, sono tunisine e affermano oggi la libertà ritrovata proprio mettendosi il foulard, fino a ieri osteggiato dal regime di Ben Ali) è decisamente spiazzante e ci costringe a considerare almeno semplicistico ogni nostro ragionamento a distanza. E ancora, donne che gestivano la logistica e donne che conducevano le riunioni, donne che scandivano slogan e sventolavano bandiere. Donne felici di essere protagoniste del Forum.

I seminari organizzati dagli europei avevano spesso un ospite locale, un esperto africano previsto tra gli interventi in programma. Anche i nostri amici Samir, Alì, Boubaker e Mounir sono stati coinvolti in molti di questi. Legambiente ha scelto di condurre il workshop "Une alliance écologiste pour une Méditerranée solidaire et durable" insieme a un'associazione tunisina, Alternatives, condividendone la paternità e la conduzione. E il risultato è andato oltre ogni più rosea aspettativa. Partecipato e interessante, l'incontro ha coinvolto anche alcuni studenti tunisini, che ci hanno incalzato con domande e richieste molto concrete. Tra i presenti, anche due eurodeputati verdi che si sono resi disponibili a collaborare e a portare al parlamento europeo le nostre istanze. Si è poi unito a noi anche Amouda, il nostro amico del Forum delle Alternative del Marocco.

Nel pomeriggio, ci siamo visti in un nuovo bilaterale Italia - Tunisia, per condividere le nostre considerazioni e per avviare operativamente la nostra collaborazione.  Abbiamo deciso di concedere due mesi di tempo a tutti i partecipanti al dibattito per emendare il documento. Quindi, di stilare una carta d'intenti che sancisca ufficialmente la nascita dell'alleanza. Possiamo però fin d'ora dire che in autunno Alternatives organizzerà Puliamo il Mondo a Tunisi, che ci scambieremo giovani ambientalisti, che condivideremo conoscenze e competenze, che approfondiremo la conoscenza reciproca, dei nostri Paesi e del Mediterraneo, che metteremo in campo azioni comuni sui temi più importanti, a partire dall'agricoltura, dalla salvaguardia del mare e dalla transizione energetica. Allargando il gruppo, strada facendo, alle associazioni che vorranno aderire alla rete ambientalista condividendone filosofia, strumenti e finalità.

Siamo rientrati con entusiasmo e voglia di fare. Il viaggio a Tunisi si è dimostrato un'occasione davvero utile per allargare gli orizzonti. Per noi e per Legambiente.

Speriamo di essere riusciti a farvi arrivare le nostre sensazioni mediterranee. Almeno un po'.

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