[15/04/2013] News

Africa, tra dighe e land grabbing: la valle dell'Omo verso la catastrofe umana ed ambientale

Oggi Suvival international lancia un nuovo preoccupante allarme per alcuni progetti che metterebbero a rischio la sopravvivenza, i mezzi di sussistenza e la cultura di mezzo milione di  indigeni in Etiopia e Kenya: «Secondo tre nuovi e diversi studi indipendenti, sulla bassa Valle dell'Omo, in Etiopia, incombe un'imminente "catastrofe". A causarla sarebbero la controversa diga Gibe III, affidata senza gara d'appalto all'italiana Salini Costruttori, e il land grabbing, l'accaparramento selvaggio di terra».

L'organizzazione che difende i popoli indigeni spiega che «Da anni l'Etiopia è uno dei principali beneficiari degli aiuti della Cooperazione italiana. Nel 2005, La Dgcs ha erogato un credito d'aiuto di 220 milioni di euro per la realizzazione dell'impianto idroelettrico "Gilgel Gibe II", il finanziamento italiano più consistente mai concesso a un solo progetto di cooperazione. Un ulteriore credito d'aiuto di 250 milioni di euro, messo a disposizione per co-finanziare il proseguimento del progetto con la diga Gibe III, è stato sospeso il 31 marzo 2011 in un clima di ferma opposizione da parte di Survival e della vasta maggioranza delle Ong italiane».

Il rapporto The Downstream Impacts of Ethiopia's Gibe III Dam - East Africa's Aral Sea in the Making? (L'impatto a valle della diga Gibe III in Etiopia - Il futuro lago d'Aral dell'Africa Orientale?), pubblicato da International Rivers, avverte che «I cambiamenti idrologici dovuti alla diga, sommati agli impianti di irrigazione messi in opera per le piantagioni e all'uso di fertilizzanti, potrebbero uccidere tratti del fiume Omo, creando zone morte». Inoltre «Nella bassa Valle dell'Omo, la vita di circa 200.000-300.000 indigeni sarà gravemente sconvolta dalla distruzione dei mezzi di sussistenza e dalla violenza usata per appropriarsi delle terre e aprire le piantagioni». Anche  International Rivers chiede che i finanziamenti alla diga siano interrotti.

Secondo lo studio Lake Turkana and the Lower Omo - Hydrological Impacts of Major Dam and Irrigation Projects dell' Africa studies center dell'università di Oxford «Il solo Kuraz Sugar Project del governo etiope farà abbassare fino a 22 metri il livello del lago Turkana, il lago nel deserto più grande al mondo. Gran parte della sua vita acquatica, tra cui le riserve ittiche indispensabili al sostentamento dei Turkana e di altri popoli che vivono nei dintorni, sarà distrutta». Survival ricorda che a causa di questo progetto «I popoli Bodi, Kwegu e Mursi vengono sfrattati con la forza e trasferiti in campi di reinsediamento. Una volta là, le autorità intimano loro di liberarsi del loro bestiame, ad eccezione di pochi capi. Ai Bodi è stato detto che, una volta trasferiti, dipenderanno esclusivamente dagli aiuti alimentari».

Il rapporto Humanitarian Catastrophe and Regional Armed Conflict Brewing in the Transborder Region of Ethiopia, Kenya and South Sudan, dell'Africa Resources Working Group, rivela che «Circa 200.000 indigeni in Etiopia, e 300.000 in Kenya, subiranno gli impatti irreversibili della diga e delle piantagioni. Secondo lo studio, «la diga metterà fine alle esondazioni naturali del fiume Omo riducendo la portata del fiume del 60-70%: le vite delle tribù che vivono lungo le sue rive, e nelle sue pianure, saranno devastate. Si preannunciano anche "gravi conflitti inter-etnici».

Survival International ricorda che «I dipartimenti governativi per lo sviluppo Internazionale di Regno Unito e Stati Uniti, Dfid e Usaid, sono i più grandi, singoli donatori all'Etiopia. Entrambi hanno ricevuto numerosi rapporti che documentano gli abusi dei diritti umani nella bassa Valle dell'Omo».

Dopo le denunce di diverse Ong, il Dfid nel gennaio 2012 ha inviato alcuni funzionari nella bassa Valle dell'Omo per sentire i Mursi e i Bodi che secondo Survival  hanno raccontato loro di «Arresti e pestaggi, distruzioni deliberate delle riserve di grano, accesso negato al fiume Omo e uso diffuso della forza da parte dei militari per intimidire e indurre la popolazione a cedere la propria terra. Numerosi anche i racconti di violenze sessuali. Ci sono voluti nove mesi perché il Dipartimento britannico stendesse un "rapporto" della visita, per poi concludere che sarebbe stata necessaria un'indagine più dettagliata per "confermare" le accuse. Da allora nulla è stato fatto. Sia Usaid, sia il Dipartimento britannico per lo sviluppo Internazionale continuano a finanziare il programma etiope "Protezione dei servizi di base", senza il quale, probabilmente il trasferimento forzato di migliaia di indigeni non sarebbe possibile».

Il direttore d generale di Survival International è scandalizzato: «Il denaro inglese sta finanziando la distruzione di alcuni dei popoli pastori più conosciuti di tutta l'Africa. I contribuenti dovrebbero indignarsi, ma probabilmente non saranno sorpresi. Il governo inglese è rinomato per le sue promesse di facciata quando si tratta dei diritti umani dei popoli indigeni. Se si parla di diritti umani in Etiopia, i tanti impegni del Dipartimento per lo sviluppo internazionale sono inutili:  l'agenzia continua ad ignorare sia le proprie politiche che le importanti convenzioni che ha ratificato».

Qualcuno dovrebbe cominciarsi ad occupare di questa tragedia anche in Italia, visto che Survival oggi tira in ballo anche due  aziende italiane concessionarie di terreni nella bassa valle dell'Omo:«La O.B.M. Ethio Renewable Energie ltd, partecipata di Nuove Iniziative Industriali S.r.l. al 70%, con una concessione di 40.000 ettari di terra destinata alla coltivazione di jatropha, e FRI-EL Green Power con 30.000 ettari». Survival cita il rapporto Gli Arraffa Terre - Il coinvolgimento italiano nel business del land grab di Re:Common, e dice di aver «Scritto a entrambe le società un anno fa, senza mai ricevere risposta. La jatropha coltivata da O.B.M. in Africa rifornisce di biocarburanti varie aziende italiane».

Torna all'archivio