[09/04/2013] News

Deepwater Horizon e i miracolosi batteri mangia-petrolio: il Golfo del Messico si ripulisce da solo?

Ma i disperdenti chimici impediscono il bio-risanamento e la resilienza del Golfo potrebbe essere al limite

Il Golfo del Messico potrebbe avere una maggiore capacità naturale di auto-ripulirsi dalle maree nere di petrolio  di quanto si credesse. E' quanto emerso da un rapporto presentato da Terry Hazen, un esperto di bio-risanamento al National meeting & exposition dell'American chemical society (Acs), la più grande società scientifica del mondo, in corso a New Orleans.

Hazen ha spiegato che è arrivato a questa conclusione studiando gli effetti del disastro della Deepwater Horizon, la piattaforma Bp esplosa ed affondata nel Golfo del Messico nel 20210 che ha provocato la fuoriuscita di 4,9 milioni di barili di petrolio. Il suo team di ricerca dell'università l'Università del Tennessee di Knoxville ha utilizzato un approccio nuovo ed efficace per identificare i microbi nell'ambiente per scoprire atteri sconosciuti, naturalmente presenti nelle acque del Golfo, che consumano e abbattono il greggio.

«Il petrolio della Deepwater Horizon ha fornito una nuova fonte di nutrienti nelle acque più profonde - spiega Hazen  - Con più cibo presente nell'acqua, c'è stata una esplosione della popolazione tra i batteri già adattati ad utilizzare il petrolio come fonte di cibo. E stato sorprendente quanto velocemente abbiano consumato il petrolio. In alcune località, gli ci è voluto solo un giorno per loro di ridurre un gallone di petrolio a mezzo gallone. In altre la vita media di una certa quantità di petrolio fuoriuscito è stata di 6 giorni. Questi dati suggeriscono che è presente un grande potenziale intrinseco di bio-risanamento nei pennacchi di petrolio presenti nel mare profondo e nei dintorni del Golfo del Messico».

Hazen ha presentato il suo lavoro sui batteri divora-petrolio al convegno Environmental Fate of Petroleum Oils and Dispersants in the Marine Environment" dove sono stati esposti altri studi sul disastro ambientale della  Deepwater Horizon e proprio i disperdenti chimici utilizzati massicciamente sembrano essere uno degli ostacoli al lavoro di recupero naturale dell'ambiente.

I batteri mangia-petrolio si sono evoluti nel Golfo del Messico proprio sfruttando il costante rifornimento di cibo: infatti, sono più di 600 le aree sottomarine dalle quali "trasuda" il greggio dal fondale. Secondo il National Research Council, queste emissioni  naturali di petrolio, proprio come delle sorgenti subacquee, rilasciano tra 560.000 e gli 1.4 milioni di barili di petrolio all'anno, circa 140.000 tonnellate.

Per identificare tipi di batteri mangia-petrolio prima sconosciuti, il team di Hazen ha utilizzato un approccio nuovo ed efficace scoprendo quali siano quelli che hanno contribuito alla pulizia naturale della marea nera della  Deepwater Horizon. L'Acs sottolinea che «In passato, gli scienziati hanno identificato microbi mettendo campioni di acqua in piastre di coltura da laboratorio, attendendo che i microbi crescessero e quindi utilizzando un microscopio per identificare i microbi. Il nuovo approccio, denominato "ecogenomics" utilizza la genetica ed altre analisi del Dna, delle proteine e di altre impronte dei batteri di fornire un quadro più dettagliato della vita microbica in acqua».

Hazen  evidenzia che «La linea di fondo di questa ricerca può essere che il Golfo del Messico è più resiliente e meglio in grado di recuperare dalle fuoriuscite di petrolio di quanto chiunque pensasse. Ciò dimostra che potremmo non aver bisogno del tipo di misure eroiche proposte dopo la fuoriuscita della Deepwater Horizon, come l'aggiunta di sostanze nutritive per accelerare la crescita di batteri che contrastino il petrolio, o utilizzando batteri geneticamente modificati. Il golfo ha una vasta base di batteri naturali ed essi rispondono alla presenza di petrolio moltiplicandosi molto rapidamente».

Ma proprio le misure drastiche (e più criticate dagli ambientalisti) sono i principali nemici dei miracolosi batteri mangia-petrolio, a cominciare dai "disperdenti chimici" sversati e irrorati dal cielo a tonnellate per "bonificare" la marea nera e che invece vanificano i processi di bio-risanamento. Uno studio pubblicato da Environmental Pollution a febbraio (Synergistic toxicity of Macondo crude oil and dispersant Corexit 9500A® to the Brachionus plicatilis species complex (Rotifera) ha rilevato che la tossicità della miscela olio-disperdente era 52 volte più tossicha per i batteri importanti per l'ecosistema dei singoli componenti. Secondo Dongye Zhao, della Auburn University, «I disperdenti hannocausato anche l'assorbimento di più composti nocivi nei sedimenti, prolungando i loro effetti sull'ambiente. I risultati preliminari ci mostrano che l'aggiunta di disperdenti induce una serie di isteresi - ha detto al meeting Acs di New Orleans - Ciò significa che davvero... aumentano l'assorbimento, il che è abbastanza contro-intuitivo». Il gruppo di lavoro di Zhao ha anche dimostrato che i disperdenti interferiscono con altri processi naturali che degradano il petrolio, tra i quali gli effetti della luce e dell'ozono troposferico.

Naturalmente la scoperta di questi nuovi e più efficienti batteri mangia-petrolio non riduce i rischi per la flora, la fauna e gli uomini di una lunga esposizione agli effetti di un gigantesco disastro come quello della Deepwater Horizon e sulla resilienza dell'intero sistema del Golfo del Messico. Anche Hazen in un'intervista alla Bbc dice che «C'è stato un sacco di petrolio là fuori per 84 giorni. I pesci i batteri e il plancton e tutto il resto stavano nuotando attraverso il petrolio e non sappiamo questo quali effetti a lungo termine avrà. Sono molto preoccupato su quanto sia resiliente il Golfo del Messico. Ha avuto alcuni traumi abbastanza drammatici e sono preoccupato di quanto l'ecosistema possa in realtà tollerare»

Comunque questi incredibili batteri sono in grado di distruggere le molecole del petrolio e sembrano in grado di trovare il greggio. «Sono davvero missili da ricerca per il petrolio», ha detto Hazen al meeting di New Orlean.

In un recente studio (Metagenomic analysis and metabolite profiling of deep-sea sediments from the Gulf of Mexico following the Deepwater Horizon oil spill) pubblicato su Frontiers of Microbiology, il team di Hazen ha cominciato a mappare il genoma di questi microbi e a determinare quali geni contribuiscano alla loro capacità di degradare il petrolio quando le sue concentrazioni aumentano e come riescono a cibarsi e a trasformare il mix di molecole contenenti carbonio, alcani, metano ed idrocarburi policiclici aromatici ognuno dei quali presenta rischi per l'ambiente.

La nuova scoperta riguarda anche organismi "metanotrofi", che si nutrono di metano, uno dei composti più difficili da degradare per gli esseri viventi. Invece Hazen ha rilevato che un'improvvisa emissione di metano, invece che un lento rilascio, ha creato un effetto boom di questi batteri: «Tutto d'un tratto le popolazioni arrivano fino a densità molto alte e sono grassi e felici, e quindi [il metano è] andato. A quel punto,  degradano qualsiasi altra cosa che sia casualmente lì e degraderanno tutto al di sotto della soglia di quel che sia utilizzabile come fonte di carbonio ed energia, quindi è davvero una sorta di effetto di "pulizia in profondità". Ecco perché penso che il Golfo del Messico sia più pulito di quanto ci si aspetterebbe, non solo dal petrolio, ma da tutto il resto che ci finisce».

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