[02/04/2013] News toscana

Le questioni preliminari per un nuovo governo del territorio in Toscana

Massimo Morisi interviene sul dibattito aperto su greenreport.it

Nel mezzo della regressione economica più grave della storia della Repubblica, in un Paese in bilico tra sgomento rancoroso e "rivolgimento parlamentare" (...oltre l'80% di nuovi membri al Senato), occuparsi di governo del territorio non è parlar d'altro bensì aggredire uno dei nodi strutturali della crisi italiana. E' una prova di "intelligenza della democrazia" (per dirla con Charles Lindblom) averlo capito e per tempo in Toscana. Ed è una scelta avveduta e coraggiosa porvi mano senza il timore delle polemiche banalizzanti, dei luoghi comuni sul neocentralismo regionale, delle antiche abitudini consociative tra livelli di governo e dell'avversione di consunti pregiudizi partigiani. Si dirà: ma che bisogno c'era di riscrivere una legge di sistema come la 1 ad appena otto anni dal suo varo? Non serve scomodare Sant'Agostino (Profittiamo del tempo presente perché i giorni sono cattivi) né, più sommessamente, il Rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile 2013) e la crucialità che vi assumono i valori territoriali e paesaggistici, per capire cosa dobbiamo intendere, appunto agostinianamente, per "progresso". Basta rileggere le disposizioni della legge 1 vigente, i suoi buoni propositi (e anche il suo incerto italiano) per comprendere come essa contenesse il rischio di non semplificare i tempi, né i procedimenti, né di prevenire o comporre i conflitti e le discrasie territoriali, né di individuare (a favore dei cittadini, degli operatori e delle stesse amministrazioni competenti) un baricentro nella "filiera istituzionale" cui ancorare il coordinamento delle opzioni pubbliche e private senza il quale non si dà governo alcuno, tanto meno del territorio. Era un rischio calcolato, fondato su una cospicua apertura di credito sia per le propensioni "cooperative" tra livelli di governo slegati da modelli gerarchici, sia per le capacità delle amministrazioni locali di assumere visioni e responsabilità "translocali" pur in assenza di sostanziali incentivi o vincoli coattivi allo scopo. I risultati conseguiti, come al solito, sono improntati al grigio manzoniano: ottimi piani e coerenti strumenti attuativi, si alternano al persistere di incerte o infauste linee di azione ove quadri conoscitivi e invarianti strutturali diventano esercizi esornativi, schiacciati sotto il peso di impegni e promesse pregresse oppure per cogliere opportunità last minute che azzerano programmi e convinzioni da sempre conclamati. Così, dopo otto anni di lungo e faticoso rodaggio applicativo, se vogliamo salvaguardare il valore e l'efficacia dei principi che la legge 1 asserisce dalle aggressioni della crisi e dalle sue semplificazioni mercatiste, dobbiamo auspicare un suo deciso "salto chiarificatore". Ossia, una revisione che conferisca a quei principi la certezza durevole del diritto; alla pianificazione territoriale, la forza di coniugare valori non negoziabili e regole di "lunga durata" per le modificazioni territoriali e la riqualificazione urbana; e al patrimonio territoriale il ruolo di leva e non di strumento dell'innovazione sociale. Alla base di un simile assunto c'è una convinzione assai semplice: la legge attuale persegue «...lo sviluppo sostenibile delle attività pubbliche e private che incidano sul territorio» (art. 1 - oggetto e finalità della legge); la nuova legge, allo stesso articolo, vorrebbe «garantire la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio territoriale inteso come bene comune». Nella prima, il territorio è al servizio dello sviluppo, per quanto sostenibile. Nella seconda, la "crescita" o diventa filiazione conseguente di quel bene comune (...che vuol dire che le opportunità derivano dalla nozione di limite e corrispondono alla funzione di resilienza) ovvero, semplicemente, non si tratta di sviluppo né di crescita ma solo di una loro illusoria mistificazione. La nuova legge 1 lo dice (o almeno si propone di asserirlo) in maniera inequivoca. E, specie ai tempi di crisi epocali, è bene che le parole aspirino ad essere pietre: non per ambire all'eternità ma "solo" per non confondersi con le etichette di maniera. Ebbene, se leggiamo il continuum tra vecchia e nuova 1, le regole che ne derivano per chi pianifica, per chi gestisce e per chi trasforma appaiono dover rispondere ad alcune esigenze cruciali.

Provo a riassumerle:

1. Efficacia e appropriatezza sono le misure del principio di sussidiarietà, dunque di pratiche, di coerenze amministrative specifiche e, a monte, dei rapporti tra i diversi livelli di governo. Troppo spesso la legge vigente è apparsa, per l'appunto, un manifesto accademico, non capace di intercettare, proprio sul piano della cultura amministrativa, i rudi interrogativi di chi premeva sugli uffici tecnici dei Comuni per sapere se e quanto "murare". Massimo Severo Giannini e i suoi allievi parlavano, oltre mezzo secolo fa, di copertura amministrativa delle leggi. Ebbene la legge 1 quella copertura se l'è dovuta conquistare sul campo, più nella sua stessa strumentazione normativa. E ha fatto fatica. Molta fatica nel perseguire tale obiettivo. Al di là dell'insano connubio tra oneri di urbanizzazione e ordinaria finanza locale; al di là delle carenze municipali di prospettiva strategica; al di là dell'incultura e della fragilità di un ceto edilizio-imprenditoriale sovente inconsapevole, quando non rapace, dell'irriproducibile materia prima con cui ha a che fare; al di là di una nozione di sviluppo non solo alternativa alla "decrescita felice" ma anche, e più semplicemente, a caccia di occasioni congiunturali di occupazione territorialmente ...pur che sia (quante aree artgianali-industriali sono divenute concessionarie di automobili?); al di là di un mercato immobiliare che ha a lungo perseverato nelle pratiche espulsive dagli insediamenti urbani più antichi verso nuove consunzioni del territorio rurale, trasformando i centri storici in meri luoghi di loisir commerciale da fine settimana; al di là di un'affannosa ricerca di aree produttive tutte le volte che un (raro) investitore straniero si affaccia sullo scenario toscano, quasi che la pianificazione territoriale dei Comuni debba certificare la propria insussitenza; al di là delle pulsioni costiere di stampo "rimiglianese" e del loro impervio contenimento; al di là dei tantissimi sindaci per bene che si sono misurati con una legge complicata, che richiedeva loro una visione del territorio, del paesaggio e dei valori comuni quanto mai difficile a scala municipale; ...ebbene, al di là di tutto questo universo di temi, vicende e problemi, la legge 1 non ha fallito, semplicemente non è uscita dal rodaggio. Una sorta di adolescente che rinvia le responsabilità dell'età adulta. A cominciare da un quesito cruciale per il territorio toscano e per il suo paesaggio: dove comincia e finisce la città? dove e comincia la campagna? Strillino pure urbanisti e burocrati: ma c'è una linea che abbia il coraggio culturale e strategico di una simile demarcazione? Dove e come tracciarla? Guardate che è essenziale, perché senza quella linea non c'è "Toscana" e non c'é paesaggio e non c'è sviluppo. C'è un'ibridazione con altri paesaggi sociali tra i quali quello toscano deve poter non trascolorare. E' questo il genere di sfide che la nuova 1 è chiamata a non rimuovere se non vuole smarrire il senso stesso della sua utilità propriamente "pubblica" e longeva, e se vuole selezionare i fattori della sua stessa attrattività.

2. Il governo del territorio non è azione tecnocratica. Va detto non per captare la benevolenza di chi è sulla cresta dell'onda ma perché la qualità e l'efficacia di quel governo dipendono da noi, dalla nostra operosa condivisione civica, dalle nostre opzioni soggettive. E dipendono altresì dalla nostra capacità di organizzare ed esprimere controllo sociale sui comportamenti delle pubbliche amministrazioni e di chi fa impresa sul territorio. Qui un chiarimento s'impone: la partecipazione è parte costitutiva o no del procedimento amministrativo in cui si articola il pianificare, l'attuare, il gestire valori, risorse e funzioni del territorio? Se si, come auspicano lo statuto della Regione e i principi ispirativi della stessa legge 1, allora è bene che la partecipazione sia ben organizzata e garantisca tanto l'impegno, la reattività e la sensibilità della cittadinanza attiva quanto i compiti e gli argomenti di chi amministra. Ed è altrettanto opportuno che li ponga in stabile correlazione mediante procedimenti sicuri e di qualità dialogica e deliberativa. La nuova legge 1 vi si cimenta e assume la partecipazione come momento organizzativo del procedimento di piano e delle conseguenti determinazioni attuative ad ogni livello di governo, riscrivendo all'uopo le disposizioni sul ruolo dei garanti locali e regionale, e integrando nella progettazione territoriale la responsabilizzazione della cittadinanza attiva. Alcuni detrattori della nuova proposta di legge, per un verso, lamentano questi "eccessi partecipazionistici", per un altro verso lamentano un deficit partecipativo proprio nella formulazione della proposta di legge a loro detrimento. Qui è bene intendersi. Piani territoriali e piani urbanistici sono una cosa. Altra cosa è una legge generale sul governo del territorio che statuisce la formazione partecipata degli uni e degli altri. Legiferare è compito della rappresentanza politica che il Consiglio regionale esprime, su impulso propositivo della Giunta così come dei consiglieri o dell'iniziativa popolare. Ogni preliminare attività consultiva che l'esecutivo regionale abbia posto o ponga ancora in essere è legittima, prevista dall'ordinamento e opportuna, come legittima e opportuna è la sua scelta di recepire o meno istanze e suggerimenti di categorie, associazioni e comitati. Ma non può né deve, neppur implicitamente, ipotecare la volontà del parlamento regionale: espressione dell'eguaglianza dei cittadini di fronte alla rappresentanza politica. Perciò gli istituti concertativi ovvero pratiche che vorrebbero evocare lo "spirito" della legge 69 non possono scalfire la centralità del Consiglio regionale nel procedimento legislativo e nella forma di governo regionale. E' un'ovvietà tanto statutaria quanto costituzionale. Spetta al Consiglio regionale scegliere se e quanto rendersi permeabile alle sollecitazioni di legittime e trasparenti attività di lobbying, ancorché di matrice istituzionale, e alimentare, se lo ritiene, ulteriori forme di discussione pubblica adeguate ai temi sul tappeto.

3.Ma a chi compete la parola finale nell'applicazione della legge e nella formazione degli strumenti del governo del territorio, in una realtà tanto preziosa quanto interrelata nell'intreccio dei suoi fattori e dei suoi esiti come la Toscana? Ecco il quesito che rende la legislazione sul governo del territorio anche, e a priori, una politica istituzionale. La legge 1 vigente contava sul senso di appartenenza regionale dei singoli Comuni, immaginando una loro comune sensibilità circa le responsabilità regionali (e nazionali) che rivestono nell'amministrare i propri territori. Nessuno dubita della lealtà dei Comuni ma è altrettanto necessario che sia proprio la Regione a rispondere all'insieme della comunità toscana, nei suoi riverberi su quella nazionale e internazionale, in merito ai modi in cui il territorio viene qui utilizzato e gestito nel complesso delle sue risorse e dei suoi valori. Vivo fra studenti che si rivolgono al Rettore per valutare le mie prestazioni didattiche pur a fronte della mia autonomia, costituzionalmente garantita, nell'organizzarne contenuti e modalità. Mutatis mutandis, la Regione ha o no il diritto e il dovere di sancire ciò che, ove deciso a livello locale, è congruente o meno con una visione e una pianificazione regionale del territorio e del paesaggio della Toscana?

Il nostro atteggiarci sui singoli profili del tessuto normativo della nuova legge 1 dipende da come affrontiamo questo triplice genere di questioni preliminari.

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