[27/02/2013] News

Il camoscio d'Abruzzo, il downlisting Cites e Federparchi

Negli ultimi giorni si è acceso un interessante dibattito sul possibile "declassamento" del Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata) dall'appendice I alla II della convenzione di Washington (CitesS) sulla quale vorrei esprimere la mia opinione.

La  conservazione della natura nel mondo si basa molto sull'inserimento delle varie specie (sarebbe più corretto dire taxa) in liste, elenchi e categorie. Così funzionano la red list dell'Iucn, la direttiva Habitat dell'Ue ed anche le appendici della Cites. Ogni anno la Iucn aggiorna la sua red list e le specie o sottospecie salgono, scendono o rimangono stabili a seconda della evoluzione del loro stato di conservazione. Per fare qualche esempio il Bisonte europeo era considerato minacciato fino a pochi anni fa e oggi è considerato vulnerabile, quindi in una categoria a più basso rischio. La Saiga, negli anni '80, era considerata "a rischio relativo"; dal 1996 "minacciata", dal 2003 a tutt'oggi "gravemente minacciata".

Ovviamente quando cambia lo status di una  specie, determinando l'inserimento in una categoria a minor rischio, questa  é una notizia positiva; quando avviene il contrario è negativa. Credo che tutti quelli che operano nella conservazione sarebbero felici se, ad esempio, la Foca monaca fosse tolta dalla categoria della red list Iucn "gravemente minacciata" e potesse essere promossa in quella "minacciata".

Fatta questa premessa, è necessario porsi una domanda: è  giusto che il Camoscio appenninico cambi categoria perché la status attuale lo consente oppure è sbagliato perché i rischi sono rimasti identici o non sono cambiati in modo significativo? Ovviamente nel primo caso non si potrebbe che essere felici e nel secondo bisognerebbe contrastare la scelta di cambio di appendice, il tutto basandosi su dati oggettivi e scientificamente  corretti.

Il Camoscio appenninico (Rupicapra pyrenaica ornata) è una sottospecie endemica d'interesse comunitario inserita nella Convenzione di Berna, quale specie di fauna rigorosamente protetta. Nella Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione (Normativa Cites), ne è stato - fino a oggi - rigorosamente vietato il commercio. Il quadro normativo europeo e nazionale, di fatto, impone da anni allo Stato Italiano la responsabilità di assicurare uno stato di conservazione soddisfacente alle popolazioni di camoscio appenninico presenti sul territorio nazionale e ai loro habitat, e impegna tutti noi a mettere in atto azioni di tutela, gestione e monitoraggio. Non è un caso che anche per il quadriennio 2010-2014 la Commissione Europea ha finanziato un progetto Life specifico gestito dai parchi nazionali centro appenninici  che sta dando risultati straordinari. Un punto d'orgoglio per il nostro paese.

Ma veniamo al presente. Attualmente sul territorio nazionale sono presenti 3 popolazioni di Camoscio appenninico distinte e isolate fra loro nella porzione centrale degli Appennini (Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, Parco nazionale Gran Sasso-Monti della Laga e Parco nazionale della Majella) più un nuovo nucleo, frutto di una reintroduzione avviata nel 2007 e non ancora conclusa, nel Parco nazionale dei Monti Sibillini.

Federparchi, su incarico del Ministero dell'ambiente, sta redigendo la lista rossa dei vertebrati italiani avvalendosi dei migliori specialisti italiani dei vari gruppi. Per quanto riguarda il Camoscio appenninico gli specialisti stimano circa 1.500 individui distribuiti su tre differenti località. Seguendo i criteri della lista rossa, con queste caratteristiche, in teoria il Camoscio d'Abruzzo potrebbe anche non essere considerato minacciato perché pur essendo complessivamente piccola e distribuita in pochi luoghi, la popolazione totale, non è sottoposta a una minaccia reale. Alla fine, tuttavia, è parso opportuno assegnare una categoria di minaccia, seguendo un principio di precauzione, basando il giudizio sul fatto che la porzione riproduttiva della popolazione è inferiore ai mille individui. Quindi il camoscio d'Abruzzo, nella Lista Rossa, sarà valutato come VU (vulnerabile, il primo livello fra le categorie di minaccia). Appare evidente, però - e deve essere chiaro - che siamo di fronte a un successo in termini di tutela; i parchi sono riusciti a condurre in maniera sinergica e coordinata un ottimo progetto di conservazione.

Da questo successo discende però la questione legata alle cosiddette categorie Cites e al downlisting, inteso, erroneamente, come provvedimento negativo.

In pratica c'è una proposta rispetto al camoscio d'Abruzzo: quella di spostarlo dall'Appendice I all'Appendice II della Convenzione di Washington. Stesso provvedimento previsto per l'Orso bianco... Che differenza c'è? L'Appendice I include specie gravemente minacciate di estinzione per le quali è rigorosamente vietato il commercio. L'Appendice II include specie il cui commercio è regolamentato per evitare uno sfruttamento incompatibile con la loro sopravvivenza. Questo significa che, teoricamente, il Camoscio d'Abruzzo potrebbe essere interessato da fenomeni legati al commercio. Cosa che - è evidente - non ha diretto legame con il suo status o necessità di conservazione. Anche l'Orso bruno marsicano, per fare un esempio, è nell'Appendice II della Cites a livello internazionale.

Le commissioni Cites si riuniscono periodicamente per valutare lo status delle varie specie comprese nella convenzione di Washington, così da non congelare le categorie e monitorare miglioramenti e peggioramenti. Nel marzo del 2012, come detto, è stato stabilito che il Camoscio d'Abruzzo rientrava tra le specie da sottoporre a valutazione. Sulle specie individuate per la revisione e successivamente esaminate vengono poi formulate delle proposte. Se ne discuterà a Bangkok dal 5 al 14 marzo.  Secondo Federparchi, invece di allarmarsi, è interessante soffermarsi sulle motivazioni che spingono questa richiesta. La riflessione da fare è che il camoscio d'Abruzzo è probabilmente l'unico taxon endemico italiano a essere ancora inserito nell'Appendice I della Convenzione e di questo primato non sarebbe tanto il caso di vantarsi, considerato che avere specie minacciate (di estinzione o dal commercio) deve sempre far riflettere sulle capacità di gestione del Paese.

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