[26/02/2013] News

Dieci ragioni (e qualche norma) per puntare sul biotech

Dieci buone ragioni per puntare sulle biotecnologie, rosse e verdi. Le propone il Council on Biotechnology, un gruppo internazionale di esperti - manager e ricercatori - che fa capo al World Economic Forum ed è presieduto da Lee Sang Yup, il direttore del Korea Advanced Institute of Science and Technology (KAIST).

Le biotecnologie (le pratiche biologiche fondate sulle tecniche del Dna ricombinante) sono - insieme alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ICT) e alle nanotecnologie - uno dei vertici del «triangolo dell'innovazione». Il triangolo che, a detta di molti analisti, costituirà il motore dell'economia della conoscenza in tutto questo secolo.

Non sappiamo se la previsione si avvererà. Ma è certo che molti, in giro per il mondo, ci credono. Gli Stati Uniti, per esempio, che investono ogni anno 22 miliardi di dollari nella ricerca e nello sviluppo (R&S) del biotech. La cifra, per intenderci, è superiore a quanto l'Italia investe per tutta le ricerca scientifica e lo sviluppo tecnologico. Gli investimenti Usa sono opera soprattutto delle imprese. E quei 22 miliardi costituiscono il 7,6% degli investimenti BERD (Business Enterprise R&D), ovvero degli investimenti in ricerca delle aziende americane, e addirittura i due terzi degli investimenti mondiali privati nel settore biotech. Una quantità di soldi enorme, che dà una misura della fiducia degli Usa nel settore.

Eppure c'è chi ci crede di più, almeno in termini relativi. La Corea del Sud, per esempio. Il paese di Lee Sang Yup punta sulle biotecnologie il 20,4% dei fondi pubblici in R&S. Seguita a ruota dalla Germania (18,3%) e dalla Spagna (13,3%).

Bene, ma quali sono i motivi per cui il World Economic Forum's Council on Biotechnology invita a incrementare l'interesse per il biotech? Si tratta, come abbiamo detto, di dieci diversi motivi, che noi potremmo dividere in tre diversi blocchi, uno (quattro motivi) riferito alle biotecnologie rosse, ovvero alle biotecnologie utilizzate in campo biomedico; l'altro  relativo alle biotecnologie verdi (quelle usate nel settore agroalimentare) e il terzo blocco relativo al biotech industriale.

Quello biomedico è il settore che assorbe la maggior parte degli investimenti mondiali in R&S delle biotecnologie: il 66% del totale. Inoltre è il settore che crea meno problemi nell'opinione pubblica. In America come in Europa o nel resto del mondo la gran parte dei cittadini è favorevole non solo alla ricerca, ma anche all'impiego delle biotecnologie rosse. Dunque non ci sono controindicazioni di rilievo alla proposta del Council on Biotechnology di puntare su: sulla biologia rigenerativa per creare nuovi organi (anche con cellule staminali); lo sviluppo rapido e preciso di farmaci e vaccini; la messa a punto di strumenti accurati, rapidi ed economici per la diagnosi e la prognosi; usare le informazioni genetiche per cure personalizzate. Le biotecnologie rosse costituiscono quanto di più promettente esista oggi nell'innovazione del settore biomedico. Ai motivi per crederci indicati dal Council on Biotechnology occorrerebbe, semmai, aggiungere il nuovo campo della biologia sintetica (la possibilità di creare materiale biologico o anche organismi che non esistono in natura).

Anche il blocco dei motivi per investire in R&S delle biotecnologie da impiegare nelle industrie suscita notevole interesse senza forti controindicazioni. Il Council on Biotechnology sostiene che le biotecnologie saranno molto utili per la produzione sostenibile di sostanze chimiche, di energia e di materiali vari; processi per produrre combustibili e sostanze chimiche in ambiente marino; processi di bio-combustione per raggiungere l'obiettivo ecologico dei "rifiuti zero"; l'utilizzo di anidride carbonica da usare come materia prima (cosa che fornirebbe un contributo a ridurre le emissioni del gas serra in atmosfera). Non saranno applicazioni miracolistiche, ma certo possono aiutare a costruire un'economia sostenibile.

C'è, infine, il blocco delle biotecnologie rosse. La proposte del Council on Biotechnology sono, in sé, più che accettabili: usarle per produrre cibo più abbondante e nutriente; migliorare la qualità dei suoli. E, tuttavia, ci sembra che nella proposta ci siano tre omissioni che andrebbero chiarite. La prima è come coinvolgere nella messa a punto di biotecnologie verdi sostenibili i cittadini, che, almeno in Europa, hanno una spiccata diffidenza per gli ogm (organismi geneticamente modificati) nel piatto; la seconda è come sviluppare biotecnologie verdi che offrano vantaggi non solo ai produttori (come avviene per quelle oggi usate nei campi), ma anche ai consumatori. La terza è separare nettamente il discorso economico e sociale da quello scientifico, ecologico e sanitario.

Dal punto di vista ecologico e sanitario, dopo un quarto di secolo di utilizzo di ogm nei campi, non sono emersi problemi particolari. Dal punto di vista scientifico, invece, si può e, come sostiene il Council on Biotechnology, si deve fare di più. La ricerca ha dimostrato che l'ingegneria genetica può essere utilizzata nel settore agro-alimentare per scopi di maggiore utilità che non per mettere a punto poche piante capaci di resistere ad alcune pesti.

Ed eccoci, dunque, alla dimensione economica del problema. Le biotecnologie verdi non sono dannose in sé e possono essere molto utili. Ma finora poche aziende se ne sono assicurate il possesso, costituendo una sorta di oligopolio. Facendone un uso discutibile, tutto a vantaggio del produttore e senza evidenti vantaggi per i consumatori. Occorre chiedersi - e il Council on Biotechnology avrebbe fatto bene a farlo - a chi appartiene la conoscenza biotech e a vantaggio di chi devono essere utilizzate. Solo se si scioglie questo nodo la percezione pubblica delle biotecnologie potrà modificarsi.

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