[20/02/2013] News

La Cina adotterà una carbon tax ed una tassa per la protezione dell’ambiente, ma c’è l’imbroglio

John Lee (Università di Sidney): «Non farsi ingannare. Capire il gioco bifronte della Cina»

Jia Chen, direttore della divisione delle politiche fiscali del ministero delle finanze cinese, ha annunciato in un articolo pubblicato sul sito internet del ministero che «La Cina introdurrà in modo proattivo una serie di politiche fiscali destina a preservare l'ambiente, tra le quali una tassa sulle emissioni di biossido di carbonio».

Mentre in Europa si discute animatamente dell'efficacia dell' Emission trading system (Ets), la Cina  sembra pronta ad imboccare la strada della carbon tax, secondo Jia, «I costi attualmente imposti sugli scarichi di inquinanti saranno rimpiazzati da una tassa di protezione dell'ambiente. Il governo cinese adotterà anche una tassa sulle emissioni  di biossido di carbonio. Sarà compito dell'amministrazione locale, e non del dipartimento della protezione dell'ambiente, percepire queste tasse».

Jia ha spiegato che «Il governo sta studiando inoltre la possibilità di tassare i prodotti energicamente inefficienti, come le batterie, così come i prodotti di lusso, soprattutto gli aerei non destinati al trasporto pubblico».

Per proteggere meglio le risorse naturali, il governo centrale cinese «Proseguirà la riforma delle tasse sulle risorse. Tasserà soprattutto il carbone secondo i prezzi e non più secondo il volume delle vendite ed appesantirà le tasse su questo combustibile - scrive Jia - Una tassa sulle risorse sarà applicata anche all'acqua». Però l'articolo non precisa quando entreranno in vigore queste misure.

La Cina è ormai diventato il più grande emettitore di gas serra del mondo e si è impegnata a ridurre, entro il 2020, dal 40 al 45% rispetto ai livelli del 2005 la sua intensità di carbonio, cioè la quantità di CO2 emessa per unità di produzione economica. Gli ambientalisti sostengono che una carbon tax cinese sarebbe il segnale di un reale impegno di Pechino a tagliare le emissioni di gas serra e che questo spingerebbe altri governi a seguire l'esempio. Ma sul The Wall Street Juornal  John  Lee, del Centre for international security studies dell'università di Sydney, invita a non farsi ingannare: «La proposta di Pechino è poco più che un intelligente teatro politico mescolato allo scaricabarile economico. Per alcuni, la scelta del tempo appare strana. Perché annunciare ora l'intenzione di una carbon tax, quando si stanno allargando le crepe dell'economia cinese? La verità è che al governo cinese non è piaciuta tutta l'attenzione negativa a livello internazionale che raccolse a Copenaghen (al summit Unfccc). Il nuovo sistema di tassazione ambientale proposto in realtà dovrebbe quindi essere visto come un attacco preventivo contro la pressione internazionale, non un impegno contro il cambiamento climatico».

La Cina con il suo ultimo Piano quinquennale e la carbon tax, che rientra nei suoi  progetti di sviluppo green e low carbon, punterebbe quindi a prendere sul serio il cambiamento climatico, ma secondo Lee «Rimane altrettanto fermamente convinta che le soluzioni non devono mettere a rischio la crescita economica. Come dimostra il suo braccio di ferro con l'Unione europea sulla tassa che quest'ultima ha messo sulle emissioni degli aerei, la Cina non ama imporre  costi onerosi sulle sue imprese in nome della lotta al cambiamento climatico. Ma dal momento che è costretta a prendere in considerazione una soluzione, vuole farlo alle sue condizioni. Pechino farà tutto il possibile per ammorbidire la sua proposta. Questo spiega perché il ministero delle finanze ha già osservato che la crescita economica ha la priorità rispetto alla data di applicazione della carbon tax. Ancora più importante, la scelta della carbon tax invece di un cap-and-trade scheme rivela l'intenzione del governo. Quest'ultimo avrebbe significato un limite rigoroso alla quantità totale di carbonio emesso. Il primo aumenta solo il prezzo del carbonio, ma non fissa alcun limite amministrativo».

Ma come si è visto anche la carbon tax proposta  dai cinesi impone costi economici, allora perché il regime comunista prende questi impegni? Per Lee «Una ragione è che Pechino si lascia un certo spazio di manovra nei negoziati internazionali. Una carbon tax darà a Pechino la copertura politica per emettere ancora di più. Per ogni centrale elettrica a carbone chiusa nel corso degli ultimi cinque anni, due sono sorte al suo posto. Il consumo di carbone è aumentato di circa il 17% ogni anno. International energy agency  stima che quasi l'80% del fabbisogno energetico della Cina nel 2030 sarà coperto dal carbone e dal petrolio. Ogni volta che qualcuno punta su queste statistiche per fare pressione su Pechino perché firmi un accordo internazionale più severo, i funzionari cinesi potranno scegliere un terreno moralmente superiore».

Lee conclude: «Qualunque cosa si possa pensare degli accordi globali sul cambiamento, è importante capire il gioco bifronte che la Cina sta giocando. La crescita del Regno di Mezzo ha causato ansia in molti all'estero e Pechino è pronta ad alleviare queste preoccupazioni. Vuole proiettare di sé l'immagine del cittadino globale responsabile. Ma ha poca intenzione di agire in modo responsabile».

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