[13/02/2013] News

L'equivoca idea di "valore dei Parchi" nella proposta di modifica alla legge 394/1991

Il convegno di Federparchi dello scorso 29 gennaio è stata l'occasione per proseguire il dibattito sul futuro delle aree protette, anche in relazione alle proposte di modifica della L. 394/1991. Sulla scia di questo dibattito, Carlo Alberto Graziani ha scritto l'articolo "il valore dei Parchi", pubblicato su Greenreport.it il 4 febbraio scorso. Tra i vari aspetti toccati da Graziani, per lo più condivisi dall'associazione 394, vi è, appunto, quello relativo agli equivoci talvolta generati dal termine "valorizzazione". In un passaggio dell'articolo si legge: "il vero valore da porre al centro della politica delle aree protette non è certo di natura economica, ma è il valore del rapporto tra la natura (la terra) e la persona: un valore che si può declinare in tanti modi (bellezza, spiritualità, radici, autenticità, dono, responsabilità verso le future generazioni), tutti espressione di esperienze profonde vissute in ogni epoca dal genere umano. Oggi i parchi devono essere, e in parte già lo sono, luoghi e modelli in cui è possibile inverare e rendere concreto questo rapporto".

All'articolo di Graziani ha fatto seguito, come implicita risposta, quello di Giampiero Sammuri, Presidente di Federparchi, intitolato "Ma è una bestemmia dare un valore economico alla biodiversità?" pubblicato, sempre su Greenreport.it, il 7 febbraio. In modo molto pragmatico, Sammuri fa rilevare che non c'è nulla di male nel quantificare la biodiversità anche in termini economici; "solo in questo modo, infatti," si legge, "si contrasta, o meglio si viene incontro - numeri alla mano - con chi sostiene che nei momenti di crisi non si può spendere nell'ambiente perchè sarebbe un lusso". Anche queste riflessioni, quindi, appaiono condivisibili. 

Ma la questione su cui vogliamo riflettere è: cosa si intende per "valore della biodiversità" e, più in generale, delle risorse naturali? Su questo è necessario fare attenzione, se si vuole evitare che dietro queste parole si possano insidiare in realtà interessi che nulla hanno a che vedere con le finalità di conservazione delle aree protette. La differenza tra valore del bene naturale "conservato" e quello "consumato" segna uno spartiacque per noi invalicabile; in tal senso, fermo restando che il vero valore da porre al centro della politica delle aree protette non è certo di natura economica, possono essere accolte con favore anche iniziative volte a quantificare, ad esempio, il valore di una foresta vetusta, di un popolamento di flora o fauna rara o endemica o di un paesaggio integro, includendo in tale valutazione anche i costi risparmiati per interventi di risanamento e bonifica, nonché gli introiti potenzialmente derivanti dall'incremento del turismo legato alla qualità ambientale; valutazioni che andrebbero utilmente ad aggiungersi al vero valore, senza quindi sostituirsi ad esso, ben descritto da Graziani e dato da tutti quei benefici sociali, spirituali, culturali e psico-fisici non direttamente o facilmente monetizzabili, derivanti dal  godimento della bellezza e di ambienti salubri, ma anche dalla speranza di un futuro migliore. Ben altra faccenda sarebbe, invece, dare un valore economico al bene naturale in quanto risorsa sfruttabile: questo equivarrebbe ad una mera operazione di mercificazione e svendita della natura, che non può essere accettata, specialmente nelle aree protette.

Purtroppo, come più volte abbiamo evidenziato, con scarso ascolto da parte della Commissione Ambiente del Senato, le proposte di modifica della L 394/1991, al discusso art. 6 sulle cosiddette "royalties", che prevede entrate derivanti dalle attività impattanti, tra cui i nuovi impianti (escludendo quindi quelli gia esistenti) di produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile "aventi un impatto ambientale" (così testualmente recita la proposta di modifica!), vanno proprio verso questa inaccettabile direzione; dare valore ad un fiume di un'area protetta in rapporto all'energia elettrica che può essere venduta deviando l'acqua di quel fiume all'interno di una centrale è, per noi, per dirla alla Sammuri, una vera e propria "bestemmia".

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