[07/02/2013] News

E il deserto fiorì. Grazie ai batteri

L’università degli studi di Milano alla guida di Biodesert

L'Emirati Journal of Food and Agricolture pubblica lo studio "Isolation and characterization of salt-tolerant rhizobia native to the desert soils of United Arab Emirates" nel quale ricercatori del Birla institute of technology and science (Bits) e dell'International center for biosaline agriculture (Icba) di Dubai dicono che «I microbi del suolo del deserto potrebbero contribuire a fermare la desertificazione ed a promuovere l'agricoltura nelle regioni aride del Medio oriente e del Nord Africa». Gli scienziati degli Emirati arabi Uniti (Uae) hanno isolato ceppi locali di Rhizobium, batteri del suolo che fissano l'azoto quando si stabiliscono all'interno dei noduli radicali delle leguminose, resistenti alla salinità ed alla siccità, e spiegano che «I batteri Rhizobium  stabiliscono un rapporto di reciproco beneficio con la loro pianta ospite», fissando l'azoto per le piante che producono sostanze nutritive attraverso la fotosintesi, e potrebbero essere utilizzati per migliorare la qualità e il contenuto di azoto del suolo: «Le scoperte potrebbero aprire la strada a migliorare la produzione dei legumi coltivati in ambienti aridi».

Il principale autore della ricerca, Nanduri Rao, dell'Icba, ha spiegato a SciDev.Net. che «Il progetto è stato concepito quando ho notato, in una fattoria di ricerca a Dubai, alcuni legumi da granella che formavano noduli per fissare l'azoto atmosferico», allora il team di Rao ha iniziato ad isolare diversi ceppi di Rhizobium ceppi dai noduli radicali di tre leguminose: sesbania (Sesbania sesban), lablab (Lablab purpureus) e caiano o pisello piccione ( Cajanus cajan ) ed ha anche studiato in laboratorio la loro tolleranza a stress ambientali come  temperatura elevata, salinità, acidità e concentrazioni di metalli pesanti. Rao sottolinea: «Si è scoperto che i ceppi originari del deserto degli Emirati Arabi Uniti avevano una elevata tolleranza a tali stress».

Philippe Normand, professore di ecologia microbica presso l'Università Claude Bernard di Lione e che collabora al progetto Biodesert, un consorzio tra le università di Milano, Tunisi e Ioannina (Grecia), sottolinea  che «Il progetto degli Emirati Arabi Uniti ha un grande potenziale per migliorare la produttività degli impianti in ambienti estremi ed è un approccio interessante per i deserti» .

Secondo il coordinatore di Biodeset, Daniele Daffonchio, del dipartimento di scienze per gli alimenti, la nutrizione e l'ambiente dell'università degli studi di Milano, intervistato da  SciDev.Net, «L'identificazione dei microbi in grado di sopravvivere in condizioni di stress ha importanti implicazioni per l'agricoltura nelle regioni aride». Biodesert è un progetto di ricerca che punta ad avviare laboratori con una capacità avanzata per la microbiologia e studi di ecologia microbica all'università di Tunisi per sfruttare i microbi dei deserti e degli ambienti aridi per migliorare le pratiche agricole. Daffonchio  evidenzia che «Il progetto si propone di identificare i microbi che possono migliorare la resistenza delle piante agli stress idrici ed alla siccità e potrebbe quindi dare un importante contributo al  risparmio idrico, riducendo il consumo di acqua».

Lo scorso ottobre Plos One ha pubblicato un'importante ricerca, "A Drought Resistance-Promoting Microbiome Is Selected by Root System under Desert Farming" alla quale hanno lavorato, oltre Daffonchio un team dell'università milanese composto da Ramona Marasco, Eleonora Rolli, Francesca Mapelli, Sara Borin, Claudia Sorlini, Gianpiero Vigani, Graziano Zocchi; Besma Ettoumi dell'università El Manar di Tunisi ed Ameur Cherif dell'università tunisina La Manouba; Ayman F. Abou-Hadid ed Usama A. El-Behairy del dipartimento orticltura dell'università Ain Shams del Cairo. La ricerca, finanziata dal ministero dell'università e della ricerca italiano e dall'Unione europea nell'ambito del progetti Firb "Strategy to improve crop productivity under water stress" è supportata dall'università degli studi di Milano, dall'European social found e dalla Regione Lombardia.

Cherif, professore di biotecnologia microbica all'università di Manouba, Tunisia, afferma che «Batteri isolati o intere comunità di questi microbi del deserto  sono adattati alla carenza idrica ed alla siccità e costituiscono un elemento chiave in una  più ampia strategia anti-desertificazione che potrebbe essere previsto per i Paesi del sud» . Nella  ricerca italo-tunisina-egiziana si legge infatti che «Gli agro-sistemi tradizionali nelle zone aride sono un baluardo per preservare la stabilità e la fertilità del suolo, al cospetto della "reverse desertification". Tuttavia, l'impatto delle pratiche agricole del deserto sulla diversità e l'abbondanza del microbioma associato alla pianta è poco caratterizzato, compreso il suo ruolo funzionale nel sostenere lo sviluppo delle piante in condizioni di stress da siccità».

Il team capeggiato dall'università milanese ha studiato il  microbioma associato al peperoncino comune o pepe della Cayenna (Capsicum annuum L.) sensibile alla  siccità in una fattoria tradizionale egiziana, facendo particolare attenzione al contributo microbico ad un servizio di ecosistema fondamentale, cioè la crescita delle piante in deficit idrico. Ne è venuto furori che il micro-habitat svolge un ruolo determinante per la struttura e la diversità della comunità batterica. I Bacillus spp. (68%) sono stati recuperati principalmente nel'endosfera, mentre nella rizosfera e nelle frazioni di suolo intorno alle radici dominavano le specie di Klebsiella  (61). La maggior parte dei batteri isolati (95%) favorisce la "plant growth promoting"  (Pgp - promozione della crescita delle piante) ed aumenta la resistenza agli  stress, ma hanno diverse distribuzioni nelle varie parti del sistema. Lo studio ha dimostrato che la rizosfera delle coltivazioni di Caspicum annuum  del deserto arricchite di batteri Pgp è in grado di valorizzare l'attività fotosintetica delle piante e la sintesi di biomassa (fino al 40%) sotto stress da siccità». La conclusione è che «Le colture forniscono  servizi ecosistemici essenziali nelle terre aride con il sistema delle radici delle piante che agisce come una "resource island" in grado di attrarre e selezionare comunità microbiche dotate di caratteri Pgp multiple che sostengono lo sviluppo delle piante in condizioni di acqua limitanti».

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