[30/01/2013] News

Aree protette e stati generali, o stato generale delle aree protette?

Federparchi avvia il percorso verso gli Stati generali delle aree protette. Un'iniziativa interessante, perché cerca di mettere un punto sulla situazione fluida del mondo delle aree protette. Sarebbe stato meglio avviare un confronto concreto sul futuro dei parchi prima, e allargato. Meglio prima, perché c'è un disegno di legge di riforma della legge quadro sulle aree protette in avanzato esame legislativo, esaminato e approvato dalla commissione ambiente del Senato a fine legislatura, che costituirà un riferimento, comunque, malgrado non soddisfi gran parte dei portatori di interesse delle aree protette. Allargato, perché non si può pensare di parlare concretamente di futuro e gestione delle aree protette se non si coinvolgono anche gli operatori dei parchi.

I soggetti che vivono l'applicazione delle leggi e i problemi gestionali tutti i giorni. Non solo i Presidenti, quindi, sebbene componente importante e determinante. Comunque ben venga che di parchi si parli il più possibile, e magari si colga l'occasione per evidenziare processi rocamboleschi, come quella delle plurime e contestuali proposte di modifica dei Consigli Direttivi. Quanto valgono le aree protette per i legislatori? Una  esemplificazione eloquente ci viene dal processo di riforma della legge 394, con proposte da un ramo all'altro del Parlamento, inserite sia nel disegno di legge 1820, sia in modo che pare occasionale,  in altri provvedimenti legislativi. Purtroppo , però, ciò sta accadendo  senza un inquadramento nel complesso mondo delle aree protette. Il documento base di Federparchi contiene molte considerazioni generali , in parte condivisibili, ma che vanno riempite di contenuti specifici. Tra le altre cose si evidenzia l'assenza del ruolo guida del Ministero dell'Ambiente. Infatti, nonostante numerose sollecitazioni da parte degli addetti ai lavori (394 lo ha scritto per anni), manca evidentemente dal Ministero referente dei parchi naturali il riconoscimento dell'utilità della 3° Conferenza nazionale sulle aree protette, ora più che mai necessaria in vista del rinnovo del Parlamento. 

Che il riconoscimento dell'importanza delle aree protette sia non più rinviabile, è un concetto su cui tutti sono d'accordo, salvo in caso contrario una consapevole eutanasia. Che questo possa avvenire attraverso, per dirne una,  le modifiche della legge 394 così come risulta dal testo del disegno di legge 1820 a fine dicembre scorso, è un'altra cosa. Sui vari emendamenti, da tempo 394 diffonde le proprie considerazioni, spesso in buona compagnia.

Ancora oggi, ribadiamo che le nostre posizioni sono tutt'altro che da "conservatori" e sicuramente non idealistiche. I nostri dubbi nascono dalla profonda conoscenza dell'applicazione quotidiana della legge, che non ha perso la sua forza propulsiva, tutt'altro! La 394, malgrado le criticità, ha funzionato bene. E' espressione di princìpi costituzionali (tutela di salute, paesaggio, ambiente, ecosistemi) e non è certo la causa di paventato spettro di progressiva inutilità delle aree protette o del loro isolamento. Sempre che applicare la legge non voglia dire isolarsi. Ma poi, chi isola chi? C'è da chiederselo. 

La 394 è in gran parte inespressa (si vedano ad esempio gli strumenti di gestione, le aree contigue, gli incentivi al territorio, la carta della natura, ecc), perché non partire da questo e cercarne le cause? La 394 è stata mutilata di importanti articoli (come ben ricorda il documento di Federparchi). La 394 è una legge decisamente ben fatta, che si fonda su un efficace equilibrio dell'articolato.  Certo, è una legge quadro, bisogna rammentarlo, che lascia  spazi agli enti gestori, su certe materie,  per l'applicazione. Qui si può lavorare. Raccogliere le esperienze e ragionare su regolamenti attuativi. E poi la 394, da sola, non basta a gestire gli enti, come diremo più avanti.

Si parlava all'inizio del percorso legislativo, di manutenzione, di aggiornamento, di semplificazioni: ben vengano. Di maggiore partecipazione delle popolazioni residenti, oggi si auspica. Ma certamente! E' già previsto nella legge attuale, con la composizione degli organi, quindi partecipazione alle scelte strategiche, agli indirizzi politici, come il parere della comunità del parco sugli strumenti di gestione e la previsione del PPES (piano pluriennale economico e sociale). Ma la partecipazione non la si fa solo per legge o per ordine di servizio. Infatti moltissimi sono gli esempi di partecipazione in molti progetti attuati dai parchi italiani. Certo che non si possono fare progetti sul territorio senza il territorio. Se poi partecipazione, o la sorella concertazione, possano mascherare il limitare l'assolvimento degli obiettivi di tutela della legge, è una cosa diversa.

Ma poi, perché c'è bisogno di modifiche sostanziali a prescindere?  Quali sono le vere ragioni? A chi giova? .  Qualche esempio. Se le finalità delle aree protette non si vuole più siano quelle dei primi articoli della Legge, perché non lo si dice chiaramente e si propone la modifica dell'art. 1? Si vuole che i parchi privilegino soprattutto "economia" ? Lo si dica, perché oggi non è così, le attività economiche sono subordinate alla conservazione di ambiti speciali. Vogliamo che i parchi si auto-finanzino con le royalty sugli impianti impattanti? Si ammetta l'evidenza, e non si dica che lo Stato non ha qualche spicciolo per i parchi, non è questo il motivo. Nemmeno la cultura si autofinanzia ma, come le aree protette, moltiplica gli investimenti e favorisce la crescita dei cittadini, e dà reddito. Vogliamo che nella gestione della fauna si metta mano all'attuale impianto favorendo i prelievi magari da operatori del mondo venatorio? Lo si ammetta. Vogliamo che i direttori siano poco autonomi e condiscendenti verso il Consiglio Direttivo? Ma questi Direttori vogliono addirittura esercitare la separazione fra indirizzo politico e autonomia gestionale e amministrativa: ve ne  rendete conto, che razza di sovversivi ci sono a capo delle strutture dei parchi?

Analizzare gli effetti della 394, individuarne anche i limiti, chiedersi perché certe parti non hanno funzionato, sono atti prioritari a qualunque modifica utile, equilibrata e consapevole negli effetti: prima l'analisi e le motivazioni, poi le proposte e gli scenari di attuazione, magari con norme di attuazione. Il tutto con ampia partecipazione. 

Ma il ruolo e il futuro delle aree protette è legato a triplo filo ai mezzi per attuare i dettami di legge. Poco si parla delle complicazioni procedurali a cui sono soggetti gli enti, alle norme confuse e in continua modifica (solo al codice dei contratti ci sono state 200 modifiche nel 2012!). E' proprio di questi giorni l'atteso DPCM sull'applicazione della spending review. Dopo mesi di attesa, dibattiti, appelli, manifestazioni, ansie, il testo prevede comunque una riduzione degli organici dei parchi nazionali. Ci pare una sconfitta, secca, che peserà in futuro, perché si è accettato che passi il messaggio che i parchi hanno oggi personale che non serve (con parchi con 7-10 lavoratori..). 

Eppure la "specialità", che non è stata neanche presa in considerazione dai ministeri nell'iter del DPCM, e che avrebbe permesso di esonerare i tagli ai parchi nazionali, perché non è stata riconosciuta? Ma non c'è una legge specifica, "speciale", che regola in Italia le aree protette, la 394? Non è questa che sancisce la specialità della gestione ? Cosa ci voleva di più? Perché se le aree protette sono speciali, allora sono protette. Ma se non sono speciali, allora si apre la strada affinchè non siano protette! E protette significa dare attuazione agli indirizzi internazionali, alle convenzioni, alla stessa strategia nazionale per la biodiversità, con coerenza. Ma protette non deve voler dire passarci sopra per impianti impattanti, anche della cosiddetta "green economy" (meglio la bioeconomia e la decrescita), per giustificare comunque falle alla tutela, ma fare della tutela il perno di una diversa gestione e soddisfazione anche dei territori.

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