[29/01/2013] News

"Ecosistema rischio industrie", 1.152 punti interrogativi sparsi per il Bel Paese

Cittadini e amministrazioni comunali sono ancora poco informati

Sono 1.152 in Italia gli impianti industriali che trattano sostanze pericolose in quantitativi tali da essere ritenuti suscettibili di causare incidenti rilevanti in base alle direttive Seveso e ai decreti legislativi che le recepiscono, concentrati prevalentemente in Lombardia, Veneto, Piemonte ed Emilia Romagna. Si tratta di impianti chimici, petrolchimici, depositi di gpl, raffinerie, depositi di esplosivi o composti tossici, censiti dal ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare in un inventario nazionale aggiornato semestralmente.

Questi impianti in caso di incidente o di malfunzionamento, possono provocare incendi, contaminazione dei suoli e delle acque e nubi tossiche: questa fotografia emerge dall'indagine "Ecosistema rischio industrie" realizzata da Legambiente e Dipartimento della protezione civile nell'ambito del progetto di monitoraggio, prevenzione e informazione per la mitigazione dei rischi naturali e antropici Ecosistema Rischio 2012. L'obiettivo dell'indagine condotta dall'associazione ambientalista, è stato quello di verificare se e come le amministrazioni comunali hanno recepito tutte le informazioni sugli impianti presenti nei loro territori (processi di lavorazione, sostanze contenute, potenziali rischi per i cittadini e l'ambiente) e se hanno provveduto a informare i cittadini sul rischio d'incidente e sui comportamenti da adottare in caso di emergenza.

Il quadro che emerge non è affatto confortante ed evidenzia un livello insufficiente d'informazione fornito ai cittadini. «I comuni, a cui non compete la gestione delle emergenze connesse al rischio industriale né la redazione dei Piani di emergenza esterni previsti per alcune tipologie di impianti - ha sottolineato Rossella Muroni, direttore generale di Legambiente - hanno il compito fondamentale di fare da raccordo tra le attività di pianificazione urbanistica e la presenza di insediamenti a rischio d'incidente rilevante. Spetta loro anche l'informazione ai cittadini: uno strumento di prioritaria importanza perché fa crescere la consapevolezza e insegna i comportamenti corretti in caso di emergenza».

Da sottolineare inoltre come al questionario (che prende in considerazione il livello di realizzazione o partecipazione dei comuni a periodiche esercitazioni, del recepimento da parte degli stessi comuni delle informazioni contenute nei Piani d'emergenza esterni redatti dalle prefetture competenti, della pianificazione urbanistica che tenga conto del rischio esistente) inviato a tutti i 739 comuni in cui sono presenti gli impianti riportati nell'Inventario nazionale del ministero dell'ambiente, abbiano risposto solo 210 amministrazioni comunali (29%), dato che mette in luce una sostanziale disattenzione e disinformazione sul tema.

«Alla base della normativa sulla mitigazione del rischio industriale c'è il grave incidente che nel 1976 colpì Seveso e altri comuni brianzoli, la contaminazione provocata da una nube tossica fuoriuscita dallo stabilimento di un'industria chimica, l'Icmesa di Meda - ha ricordato Simone Andreotti responsabile Protezione civile di Legambiente - Quel disastro spinse gli Stati membri della Comunità europea a promuovere una politica comune sul rischio industriale. Siamo oggi alla terza direttiva Seveso, le norme per prevenire eventuali incidenti e circoscriverne al massimo i danni sono sempre più puntuali e rigorose. Ed è di fondamentale importanza che tutti gli attori coinvolti, dalle aziende produttrici all'insieme dei soggetti istituzionali che hanno l'onere di predisporre politiche di prevenzione e di gestire eventuali emergenze, facciano la propria parte per rispettare la legge con precisione».

Nel dettaglio i dati raccolti evidenziano che: il 94% dei 210 comuni che hanno risposto al questionario ha dichiarato di avere recepito le indicazioni contenute nella scheda informativa redatta dal gestore dell'impianto, così come previsto dalla legge. La scheda stabilisce la perimetrazione delle aree circostanti gli insediamenti a rischio di incidente rilevante nelle quali, in caso di malfunzionamento, potrebbero riscontrarsi conseguenze sull'ambiente o sulla salute della popolazione. Sono 181 i comuni che hanno predisposto una planimetria del territorio e individuato le "aree di danno", sottoposte a conseguenze nell'eventualità di un incidente nello stabilimento a rischio. In 104 comuni intervistati sono state individuate nelle "aree di danno" strutture vulnerabili e/o sensibili: nel 18% dei casi sono presenti scuole, nel 13% centri commerciali, nell'8% strutture ricettive turistiche, nel 7% luoghi di culto, nel 2% ospedali.

Per quanto riguarda le attività d'informazione, 148 amministrazioni comunali che hanno risposto al questionario hanno dichiarato di aver realizzato campagne informative sul rischio industriale e sulla presenza sul proprio territorio di insediamenti suscettibili di causare incidenti rilevanti. Solo 105 comuni (il 50% degli intervistati), però, ha detto di aver realizzato campagne informative sui comportamenti da tenere in caso di emergenza, per dare a tutti coloro che vivono e lavorano in prossimità dell'insediamento informazioni pratiche, precise e puntuali su come riconoscere i segnali di allarme e come mettersi al sicuro. 

Torna all'archivio