[18/01/2013] News toscana

Cosa non funziona a dovere nel rapporto ambiente-istituzioni

La campagna elettorale e i suoi preparativi sia pure a fatica, tra non poche polemiche ed ancora troppi silenzi sulle questioni ambientali, un passo avanti l'hanno fatto fare. E non mi riferisco unicamente e neppure principalmente al fatto che comunque sui mezzi di informazione se ne parla di più non soltanto  in ordine alle candidature. La novità più significativa è che anche tra i molti  movimenti, associazioni, comitati impegnati in vario modo sui temi ambientali nelle più diverse realtà, cresce la consapevolezza che il loro successo dipende innanzitutto dalla capacità che essi avranno di interloquire e incidere sulle  scelte istituzionali a tutti i livelli di governo. Passa da qui infatti l'avvio di nuove politiche nazionali, regionali e locali in grado di garantire finalmente un governo del territorio che ci porti fuori dai dissesti e disastri attuali.

Devo dire che l'impegno di questi mesi come Gruppo di San Rossore (ora costituitosi in onlus vedi sito www.grupposanrossore.it)   ha confermato e non solo per la Toscana questa novità. Una novità che comporta e implica per tutti coloro oggi impegnati  su questo fronte l'esigenza di  individuare e mettere meglio a fuoco cosa chiediamo e vogliamo dalle istituzioni non genericamente e vagamente intese, ma nella loro complessa articolazione statale, regionale e locale. Altrimenti  c'è il rischio -come dimostrano e confermano già una serie di proposte e sortite anche in sede parlamentare-  che anziché trovare finalmente la giusta risposta ai tanti problemi posti anche dai movimenti, se ne approfitti per rilanciare modelli centralistici e burocratici che sono alla base degli attuali fallimenti.

Esemplare al riguardo è la vicenda del titolo V il cui approdo profondamente deludente a tutto può essere ricondotto tranne che ad un ruolo predominate di regioni ed enti locali a danno dello stato che ora dovrebbe riprendersi poteri e ruoli che gli sarebbero stati sottratti o eccessivamente ridimensionati. Insomma dice Stefano Fassina il titolo V va abolito riducendo il federalismo aumentando i poteri di governo centrale per quanto riguarda le opere pubbliche e le politiche sociali perché bisogna rivoluzionare la pubblica amministrazione. Ancor più drastica la proposta del governo -fortunatamente ora bloccata- in base alla quale l'operato delle regioni avrebbe dovuto essere preventivamente autorizzato dalla Corte dei conti. Il titolo V -è un punto da chiarire bene-ha fatto una brutta fine perché non ha attecchito l'idea di fondo che un governo efficace del territorio richiede e implica che stato, regioni ed enti locali anziché continuare a tirare ognuno la  coperta dalla propria parte  devono  operare su un piano di pari dignità per gestire in collaborazione competenze e ruoli. Il cui primo presupposto specie per quanto riguarda le questioni ambientali è che a partire dai ministeri -specialmente ambiente e beni culturali- dispongano di sedi e strumenti in cui sia possibile raccordare scelte e controlli non a posteriori come avviene con la Conferenza delle regioni e autonomie.

E' innanzitutto sotto questo profilo che il bilancio ad un decennio dell'entrata in vigore del titolo V è assolutamente fallimentare. Il suolo con i suoi bacini e distretti, la natura e il paesaggio con i parchi e le aree protette ma anche le sovrintendenze non hanno da anni sedi, momenti, strumenti -pur previsti dalla Riforma Bassanini- in cui anche le politiche comunitarie potessero integrarsi con le scelte nazionali, regionali e locali. Il decennio è segnato infatti  prevalentemente da una paralizzante conflittualità costituzionale e istituzionale  che ha lasciato campo libero ad un crescendo di scambi di accuse di cui hanno fatto le spese le politiche di ‘governo'. Se qualcuno pensa e si illude che ne possiamo uscire tornando a premiare lo stato che le sue competenze ha saputo spesso rafforzarle anche indebitamente non ha evidentemente capito la lezione. Qualcuno pensa davvero che per rilanciare -facciamo un esempio fresco quasi di giornata- il ruolo delle aree protette marine come ci chiede da tempo l'Unione Europea estromettendo le regioni e gli enti locali come stabilisce il brutto testo approvato dal Senato?

In una  recente presa di posizione della presidenza  di Federparchi  in cui si trova soddisfacente la situazione dei parchi nazionali -meno delle aree marine- e assai più grave quella dei parchi regionali, considera invece questo testo ‘buono' e ringrazia i senatori. Stranamente dall'elenco delle buone cose che sarebbero previste - e più d'una buona non lo è affatto- ancora una volta si omette qualsiasi riferimento alla modifica della legge 394 fissata in premessa e cioè quella con cui si toglie qualsiasi competenza sulle aree protette marine alle regioni ed enti locali cancellando ogni riferimento alle aree marine ‘prospicienti' le regioni. Considerare queste omissioni distrazioni o dimenticanze non avrebbe senso perché è evidente che si tratta dell'imbarazzo a sostenere  una scelta che ha suscitato tante proteste anche tra le associazioni ambientaliste che Federparchi non può limitarsi a invitare a riflettere. Dice nulla che il Comitato nazionale per le aree protette previsto dal testo che piace tanto preveda la presenza del CFS e delle Capitanerie di Porto ma non delle regioni e degli enti locali? E' Federparchi che deve riflettere e seriamente prima di sposare cause perse.

Ecco perché - e torno così da dove abbiamo preso le mosse- il giusto pressing di associazioni e movimenti non deve rimanere indistinto e generico nei confronti delle istituzioni con il rischio -di cui si possono già registrare e percepire più segni- che il referente indistinto sia lo stato. La globalizzazione accentua ovviamente quella dimensione che non si esaurisce in quella nazionale, ma non per questo sparisce -anche se cambia- quella regionale e soprattutto locale che rischia di essere fortemente penalizzata   se non si adeguerà ai nuovi livelli di intervento.

E questa partita si gioca sul piano nazionale ma non di meno in quello regionale a partire dal suolo, la natura, il paesaggio. Basta pensare alle ‘aree vaste' di cui si è fatta indigestione con le province e di cui si tornerà presto a discutere.

Quando a settembre come Gruppo di San Rossore ci siamo incontrati per discutere di questi problemi abbiamo, ad esempio, toccato con mano grazie anche all'intervento dell'assessore Marson che una questione in Toscana ancora irrisolta - la nuova legge sui parchi- non può ignorare quella faticosa messa a punto del piano paesaggistico regionale che in qualche modo deve cercare di rimediare agli effetti negativi del nuovo Codice dei beni culturali che ha sottratto ai parchi la competenza sul paesaggio. Tanto che in alcune regioni si stanno discutendo leggi sui parchi che escludono già in premessa che i parchi possano occuparsi di paesaggio nei loro piani.

Qui non tutto quel che circola anche nei documenti di molti comitati va nella giusta direzione e non aiuta neppure le istituzioni a fare scelte giuste. Ecco perché il nostro Gruppo intende da un lato muoversi nella dimensione nazionale determinante anche per quelle locali e regionali e dall'altro individuare gli snodi di una rete che oggi appare spesso confusa e pasticciata al punto di non cogliere quanto sia decisivo, ad esempio, il ruolo dei bacini idrografici e dei parchi nazionali e regionali e delle altre aree protette già purtroppo penalizzate e non soltanto sul piano delle risorse ma delle competenze. Non può non preoccupare da questo punto di vista che anche comitati autorevoli e prestigiosi come quello di Asor Rosa in Toscana ben poco se ne siano finora fatti carico.

Tanto più negativa nel momento in cui con direttiva di Clini si tenta di rilanciare sul piano nazionale una politica di sistema dei parchi e delle aree protette che non ha mai decollato. Direttiva a cui si aggiunge l'impegno del ministro della coesione Barca per ‘le terre interne' in cui un ruolo importante dovrebbero assolverlo proprio i parchi e le aree protette.

Si tratta finalmente di segnali e input positivi e interessanti a cui tutto il sistema istituzionale deve saper rispondere a dovere senza covare vendette centralistiche del tutto fuori luogo e rovinose se non grottesche come i ministeri di Monza.

Ecco perché riteniamo importante il ruolo del Gruppo di San Rossore che in questo senso si sta dando da fare e non solo in Toscana.

Torna all'archivio