[16/01/2013] News

Niente ambientalismo, siamo inglesi

No del governo britannico alla moratoria delle trivellazioni nell’Artico e all’oil spill response gap dell’Ue

Nonostante il recente naufragio della piattaforma di trivellazione petrolifera Kulluk della Shell sulle coste dell'Alaska, il governo britannico si è detto contrario ad una moratoria sulle trivellazioni petrolifere e gasiere nell'artico e sta facendo di tutto per boicottare la proposta di nuova direttiva Ue in materia di sicurezza petrolifera.

I ministri del governo conservatore-liberaldemocratico dicono che gli sforzi in corso (sic!) per proteggere l'ambiente artico sono probabilmente più efficaci di un divieto e che comunque non è appropriato che la Gran Bretagna prenda un'iniziativa di questo tipo perché non è uno Stato Artico. In realtà la Gran Bretagna ha lo status di Paese osservatore nel Consiglio artico e che multinazionali petrolifere britanniche siano molto interessate alla corsa agli idrocarburi artici evidentemente al governo Cameron (che ha rinnegato tutte le sue proposte elettorali ambientaliste)  non sembra un dettaglio trascurabile.

Ma secondo Environmental audit committee, al quale partecipano parlamentari di tutti i Paesi, dice che «Il  Regno Unito ha una responsabilità morale». La commissione nel 2012 ha svolto un'inchiesta protezione dell'Artico che ha messo in discussione il ruolo e le responsabilità della Shell. A settembre l'Environmental audit committee raccomandò una moratoria immediata sulle trivellazioni nell'Artico fino  a che non fosse dimostrato che si poteva intervenire su eventuali sversamenti in  quelle condizioni estreme e fino a che non fosse stato messo in atto un pan-Arctic oil spill plan, introdotte regolamenti di responsabilità più severi per le compagnie e non fosse istituita una wilderness protection zone riconosciuta a livello internazionale. Inoltre i parlamentari britannici hanno sottolineato che c'è una evidente contraddizione nel proseguire le trivellazioni di idrocarburi nell'Artico perforazione e allo stesso tempo di cercare di ridurre le emissioni di CO2.

Tutto il contrario di quel che dice il governo, al quale i parlamentari pretendono invece che agisca perché quel che succede nell'Artico ha forti ripercussioni sul clima, la politica e l'economia della Gran Bretagna, sia perché le navi e le piattaforme britanniche sperano di sfruttare le sue risorse, sia perché scienza britannica è di vitale importanza nella regione e perché «L'Artico  è un tesoro per tutto il pianeta».

Il governo si è limitato ad approvare le preoccupazione della Commissione sugli effetti esponenziali del global warming nell'Artico,  ma ha respinto molte delle osservazioni e dei suggerimenti specifici. Per il governo «Il petrolio artico sarà necessario per sostituire il calo delle riserve mondiali  e ciò non dovrebbe impedire corrispondenti restrizioni della CO2».

I ministri hanno promesso di approvare entro l'anno un "policy framework" per gli interessi artiche ed hanno detto che potrebbero anche lavorare attraverso l' International maritime organisation (Imo) per ridurre le emissioni di "black carbon" che accelera lo scioglimento dei ghiacci diminuendone la riflettività. Ma i negoziati sulle emissioni e i rischi per la navigazione dell'Imo sono lentissimi e l'agenzia internazionale ha respinto tutte le osservazioni dell' Environmental audit committee.

Il governo Cameron si è anche impegnato a lavorare con altri Paesi per promuovere Zone protette in alto mare, compreso l'Artico, ma non appoggia l'istituzione di un Santuari dell'Artico promosso da Greenpeace.

La commissione parlamentare dice che il governo ha dato prova di mancanza di leadership globale ed il suo presidente, Joan Walley ha detto a Bbc News: «Comprendiamo la delicatezza della questione della giurisdizione in questo caso, ma a pochi anni fa il primo ministro ha guidato una slitta trainata da cani nella regione artica per dimostrare il suo impegno sui temi ambientali. L'Artico è una risorsa per tutto il mondo e pensiamo che il debba assumere un ruolo di guida morale, parlando con forza su questo tema e chiedendo molto più efficace di quella che stiamo vedendo in questo momento. Nell'Artico le salvaguardie semplicemente non sono in vigore. Più in particolare, il naufragio del Kulluk solleva gravi interrogativi sulla sicurezza delle operazioni della Shell nella regione artica».

Al grande interesse delle multinazionali del gas e del petrolio non corrisponde infatti altrettanto interesse per la sicurezza ambientale. Anche se alcuni Paesi artici insistono per standard più severi. La Bbc però cita una fonte del Consiglio artico secondo la quale «L'applicazione delle norme in Russia è stata particolarmente lenta ed è problematico garantire standard uniformi in tutta la regione».

L'associazione scientifico/ambientalista Bellona solleva un'altra questione: «Mentre i negoziati tra il Consiglio e il Parlamento europeo sulla sicurezza delle attività petrolifere e gasiere offshore sta entrando nelle fasi finali, il Regno Unito vuole rimuovere il riferimento all'"oil spill response gap" introdotto dal Parlamento e ispirato alla Legge dello Stato dell'Alaska come modo di descrivere il grado di incapacità di intervenire in caso di emergenza in condizioni climatiche estreme». 

Il primo confronto informale sull'offshore safety dossier si è tenuto il 29 novembre 2012.  Sono in corso riunioni tecniche per definire i dettagli degli accordi e il testo finale dovrebbe fare chiarezza sulla responsabilità ambientale in seguito ad un incidente offshore, sulla partecipazione dell'opinione pubblica al processo di rilascio delle licenze offshore e sui dettagli del "major hazard report"  e sul ruolo delle autorità competenti. La Presidenza irlandese prevede di ottenere l'adozione definitiva da parte del Consiglio Energia del 22 febbraio.

La definizione approvata nell'ottobre 2012  dal Parlamento europeo recita: «Per l'"oil spill response gap" si intende una situazione nella quale  si svolgono attività che possono causare una fuoriuscita di petrolio nei momenti in cui una risposta efficace non può essere ottenuta, sia perché la tecnologia disponibile non è  efficace o perché la sua applicazione è preclusa dalle condizioni ambientali o da altri fattori limitanti».

Ma secondo quanto sosterrebbe  il governo britannico le fuoriuscite di petrolio possono essere disperse dal vento e dalle onde e questa sarebbe, di per sé, una forma di efficace "risposta". Su questa base abbastanza indecente, dovrebbe essere eliminata dal testo della Direttiva Ue  il termine "oil spill response gap" e non deve essere nemmeno menzionato negli allegati che si occupano di dettagli, nei  sui rapporti sul rischio rilevante e nei Piani di risposta di emergenza.

Paal Frisvold, presidente di Bellona Europa è molto preoccupato: «L'Ue deve adottare un approccio cauto per le trivellazioni offshore nell'Artico. La tecnologia attuale e le condizioni climatiche estreme precludono interventi di emergenza efficaci e mettono a rischio questo ecosistema molto fragile.  Bellona esorta vivamente il relatore di questo dossier, Ivo Belet, a sostenere la definizione di "oil spill response gap" , introdotta   dal Parlamento. Questa specifica valutazione dei rischi deve far parte di ogni rapporto sui principali rischi per quantificare la preparazione alle emergenze. Allo stesso modo, gli allegati tecnici devono essere incrociati con la "oil spill response gap" per fare in modo che le autorità competenti approvino i piani solo se soddisfano questi requisiti». 

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