[21/12/2012] News

La fine del mondo (finanziario) arriva in giacca e cravatta. Da Atlanta

Come da programmi, la "profezia Maya" sulla fine del mondo ci ha lasciato del tutto indenni. Con tiepido colpo di coda ha soltanto abbattuto non il globo terracqueo, ma il simbolo della finanza mondiale: il New York stock exchange, il Nyse. La Borsa di New York, a Wall Strett.

Dopo esattamente 220 anni di storia (venne infatti fondato nel 1792), il Nyse non scompare, ma perde la sua indipendenza. Se non troverà opposizione nell'antitrust, infatti, la società finanziaria Ice - Intercontinental Exchange potrà acquistarla con un'offerta da 8,2 miliardi di dollari, dando così vita ad un nuovo colosso della finanza.

 Segno dei tempi che cambiano, un colosso centenario si trova costretto a piegarsi di fronte a un novellino che ha azzeccato il mercato sul quale puntare: la piattaforma di Atlanta è infatti specializzata nel trading di energia e materie prime, e gli sono bastati 12 anni di vita (quando venne fondata da Jeffrey Sprecher, tutt'oggi top executive dell'Ice) per dare scacco matto al re.

Con questa mossa, Sprecher punta ad ampliare ulteriormente il ventaglio delle opzioni e rinsaldare la presa sul settore dei derivati: «il gruppo aggregato - scrive il Corriere della Sera - diventerà uno dei maggiori operatori globali dei derivati» in quanto, dopo l'aggregazione, «da futures e opzioni arriveranno infatti il 44% dei ricavi netti».

Siamo al paradosso delle materie prime che, cannibalizzate dalla finanza anche grazie all'utilizzo spregiudicato di strumenti come i derivati (utilizzo che ha contribuito in modo massiccio ad alimentare l'inizio della crisi finanziaria del 2007, e che adesso torna con vigore a prendere quota, soprattutto negli Usa), diventano tanto rilevanti da mangiarsi anche il resto della torta.

Non c'è però da consolarsi più di tanto, anzi. L'economia reale (con il suo carico di materie prime) non torna così a far valere il peso che le spetta: piuttosto, non riesce a liberarsi da quella logica del capitalismo finanziario che la intrappola.

Se il ruolo della (buona) finanza rimane quello di concedere credito e respiro ad un'economia sana che produca benessere per il maggior numero possibile di individui - e, nell'ottica di un nuovo modello di sviluppo, ciò significa anche investire nella cosiddetta green economy - l'incertezza che dovrebbe essere sopportata negli investimenti è quella dell'allocazione in progetti dipendenti dall'innovazione tecnologica e culturale, per loro natura fortemente aleatori. La speculazione sulle materie prime non rientra in questo novero: dovremmo ricordacelo se, Maya o non Maya, dalla fine di un "mondo" (anche se solo finanziario) vogliamo che ne nasca uno più sano.

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