[14/12/2012] News

Missione sviluppo sostenibile, l’Italia ci crede… ma allo 0,11%

Di fatto, economia e ambiente ancora non sono integrati nella cultura e nell’azione pubblica

«L'integrazione tra economia e ambiente e tra attività umane e ecosistema sta divenendo uno degli aspetti decisivi nell'elaborazione delle politiche per il futuro, sia a livello locale e micro settoriale, che a livello globale». Non perde tempo per precisare l'importanza dello sviluppo sostenibile, il Cnel (Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro): l'organo di consulenza delle Camere e del Governo - definito direttamente nella nostra Costituzione - esprime un giudizio netto all'interno della propria Relazione annuale.

Ma, effettivamente, lo stesso Stato italiano quanto reputa necessario investire in quest'obiettivo? Dopo le sconfortanti cifre offerte dall'Istat in materia di ricerca e sviluppo ambientale, la relazione del Cnel è un boccone ancora più amaro da inghiottire. «Le spese destinate specificamente alla Missione Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e del mare», si legge nel documento, «ammontano a euro 901.339.074». Rappresentano lo «0,11% del totale delle spese previste nel Bilancio dello Stato» (anno 2010, il più recente disponibile). «Al netto degli oneri del debito pubblico e dei fondi da ripartire, tuttavia - precisa il Cnel - la percentuale di incidenza della Missione Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente sale allo 0,2%». Non conforta molto.

Sono numeri incredibilmente bassi quelli offerti dal Cnel, che eppure riguardano da vicino il problema sociale ed economico più allarmante in questi anni di crisi: la disoccupazione. Il ruolo della green economy come fattore di sviluppo è ormai sempre più diffuso, ma ha bisogno di investimenti oltre che di parole. I presupposti di rilancio che porta con se ormai dovrebbero essere chiari. In Italia, ricordando i dai citati da Marco Gisotti nella sua Guida ai Green jobs, a oggi si contano 150.000 occupati nel settore delle rinnovabili, 400.000 nella selvicoltura, più di 200.000 nell'agricoltura biologica, 103.000 nei rifiuti, 76.000 nel riciclaggio, 80.000 nelle aree protette, 13.000 nella chimica verde, 27.000 nel settore delle bonifiche ambientali, 50.000 nell'ecoturismo, 105.000 nel trasporto pubblico locale e oltre 76.000 nelle ferrovie.

Le prospettive per l'immediato futuro sono ancora più rosee, ma la mano pubblica mostra di non credere a sufficienza nelle proprie possibilità di indirizzare un modello di sviluppo nuovo e più sostenibile, mettendo sul piatto quello 0,11%. Una scarsa rilevanza testimoniata anche dalla percentuale di italiani che non si ritiene sufficientemente informato sulle problematiche ambientali: siamo al 43%, superiore al dato europeo (38%). Questo, nonostante le tematiche ambientali occupino «sempre maggiore spazio sia nel dibattito politico, nazionale e internazionale, sia nella sensibilità dell'opinione pubblica».

Non è evidentemente ancora maturata la consapevolezza di cui parla il Cnel, ossia che «ogni decisione presa in materia di economia influenza le condizioni dell'ambiente naturale e da queste viene a sua volta influenzata». Di fatto, invece, «la cultura politica prevalente» è quella «delle separatezze verticali e orizzontali» tra ambiente ed economia. «Amministrare l'ambiente - chiosa il Cnel - deve significare interpretare il ruolo pubblico come soggetto regolatore al fine di favorire, nei comportamenti dei cittadini e delle imprese, la maturazione di una cultura della sostenibilità».

Integrare le due dimensioni, economica e ambientale (che non possono essere separate da quella sociale), costituisce ancora il cuore dell'economia ecologica come sistema aperto, ed è proseguire su questa strada la sfida principale che ci troviamo di fronte per mantenere promesse di benessere che altrimenti presto sarebbero costrette a cadere.

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